Migranti: altro che invasione, la vera integrazione può partire dalle periferie
di Matteo Vairo
Tolte le vesti da “ultras” all’italiano medio, si potrebbe tranquillamente spiegare che, dati alla mano, i numeri dell’immigrazione in assoluto sono pacificamente gestibili. Non c’è nessuna “invasione”, ma, come conferma il caso dei “fuggitivi” di Rocca di Papa, l’Italia (per più e più motivi) è considerato ormai meramente come un luogo di transito per i migranti.
Assodato questo, è innegabile che esista un dovere etico e giuridico dell’accoglienza e sappiamo che se non si ripristinano ed incoraggiano corridoi di immigrazione legale gli “umori” della politica e della percezione migratoria italiana saranno regolarmente influenzati dagli scafisti d’oltre Mediterraneo e dagli speculatori nostrani.
Sappiamo benissimo che lo slogan “aiutiamoli a casa loro”, se non fosse drammaticamente vuoto di intenzioni e quindi una facile e comoda scusante per politiche muscolari e celoduristiche, sarebbe sinonimico di investimenti in progetti concreti per lo sviluppo dei Paesi di provenienza dei migranti e la fine di azioni speculative (come il land grabbing e simili).
Esplicato in questi termini tuttavia, il fenomeno delle migrazioni forzate potrebbe apparire come “intangibile”, ma la realtà dei fatti è ben diversa e risulta doveroso affermare che i fenomeni migratori vanno a ricadere economicamente, socialmente ed inevitabilmente in modo “fisico” solo su una parte della popolazione locale che è quella cosiddetta “popolare” già pesantemente esposta alla crisi ed agli oneri (più che agli onori) della globalizzazione.
Questo avviene nei fatti con la convivenza quasi forzata dettata dal fatto che le strutture di accoglienza, i contesti sociali, lavorativi, i mezzi di trasporto, i luoghi di aggregazioni, i giardini, le panchine le case in affitto vissute dai migranti sono collocate principalmente nella “periferia” sociale, economica e culturale del Paese.
Denoterebbe poca onestà intellettuale la mancata osservazione, soprattutto nei medio-grandi contesti urbani, del rapporto locali/stranieri in termini di numeri che, sapientemente (e malvagiamente) combinata con la strategia della paura perorata da gran parte dell’attuale governo, può portare instabilità e conflitti sociali.
Ecco quindi come l’immigrazione si rivela nei fatti: una importante questione sociale.
Come cercare di risolverla?
Ad esempio con investimenti sostanziosi nel welfare, concretamente: scuole, trasporti, cultura, reddito, coinvolgimento, intercultura, convivenza, educazione alla cittadinanza …
Perché le più grandi “opere pubbliche” per i prossimi anni non possono essere le periferie?
I problemi degli italiani si potrebbero risolvere non contro i migranti, ma con i migranti.
Per far questo è assolutamente necessario che chi affronta (e si confronta) sul tema dell’immigrazione si cali nella concretezza dei problemi non restando ancorati solamente alla parte “scientifica” dei vari fenomeni che costellano la galassia immigrazione.
Il governo della paura si può sconfiggere così, senza disumanizzarsi ma ripartendo dalla materialità, dalla corporeità, dalla vita pulsante che brulica e che rappresenta un capitale umano e culturale immenso nelle nostre periferie e dando vita ad un progetto di convivenza ed integrazione in grado di rispondere con i fatti a chi semina odio e predica muri e divisioni.