Testimonianze da un CARA (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo). We have a dream, di Matteo Chiarello
Il tema delle migrazioni è un tema caldo, per la politica, per la società e per la nostra umanità. E’ un tema che ci sta molto a cuore e il nostro modo per affrontarlo è quello di capire, di conoscere in presa diretta.
Associazione per i Diritti umani ha rivolto alcune domande al regista Matteo Chiarello che ha visitato il CARA di Castelnuovo di Porto (Roma) e ha raccolto alcune testimonianze.
Ecco per voi il link al documentario WE HAVE A DREAM di Matteo Chiarello, che ringraziamo molto:
https://vimeo.com/287419669?1&ref=fb-share
Come nasce il suo interesse per il tema delle migrazioni?
Da sempre sono sensibile al tema della migrazione. Sono nato a Pordenone, da una famiglia
di migranti, fuggiti dall’Istria quando questa passò all’ex Jugoslavia per trasferirsi in Friuli, una regione di confine, crocevia di culture e genti diverse, meta poi negli anni ’60 di una forte immigrazione di lavoratori provenienti dal sud d’Italia. Sono cresciuto tra discussioni di appartenenza, integrazione e purtroppo anche di segregazione.
In che modo avete preparato il documentario?
La preparazione è stata graduale e istintiva. Oggi abito alle porte di Roma, vicino alla barriera autostradale di Castelnuovo di Porto dove una struttura della Croce Rossa Italiana è stata allestita a CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo politico). Ogni giorno che rientravo a casa osservavo quella struttura a metà tra una caserma militare e una costruzione postmoderna.
Fuori, un andirivieni di persone, come anime perse, completamente dissociate dal contesto sociale e spesso vittime di ingiurie e disprezzo da parte della comunità locale, senza un motivo concreto o per qualche vicenda accaduta ma solo per supposizioni.
Ho sentito la forte necessità di entrare e ho chiesto al prefetto di Roma l’autorizzazione per una visita professionale e rendermi conto di persona di chi fossero gli ospiti di quella struttura aliena.
Con grande stupore ho scoperto che invece di Siriani la maggior parte dei richiedenti asilo sono Eritrei. Tutti arrivati con i barconi fatiscenti dalla Libia. Eritrea? Ma cosa succede in Eritrea? Perché non sono aggiornato e come me molti dei miei colleghi e amici?
Ho raccolto le testimonianze di 5 giovani ragazzi, poi attraverso una corrispondenza a distanza con dissidenti residenti in varie parti del mondo e documenti ufficiali Onu ho completato l’informazione sulla questione eritrea.
Come vivono i migranti nel centro di Castelnuovo di porto? I rifugiati eritrei sono già in contatto con la loro comunità a Roma e nel resto d’Italia?
Gli Eritrei all’interno del centro vivono bene per quanto possa essere piacevole una residenza forzata. La cooperativa che lo gestisce pare sia una delle più efficienti e sensibili.
Ciononostante l’iter previsto per un richiedente asilo è l’attesa di un documento che attesti lo status di rifugiato politico con il quale poi può essere ricollocato in altri paesi europei o rimanere in Italia per cominciare una nuova vita.
Fino a quel momento non può fare nulla. Non può lavorare perché sprovvisto di documenti e i bambini non possono essere iscritti a scuola. Non sarebbe un grosso problema, se non fosse che i tre mesi previsti per tale procedura in Italia possono diventare anni. Di qui il senso di insofferenza e sconforto che purtroppo spinge alcuni giovani a scappare dal centro e tentare l’ingresso in altri paesi illegalmente e con tutti i rischi che ne derivano. Tra loro gli Eritrei hanno un forte legame sia per necessità (si scambiano informazioni di ogni genere non avendo ufficialmente un governo che li supporti) sia per questioni religiose. Gli Eritrei sono molto devoti, il 50% sono Cristiani e l’altra metà musulmana e tra i diversi credi non c’è astio.
Ci può anticipare la vicenda di Ibrahim e la sua richiesta?
Ibrahim è l’ospite che rappresenta concretamente il paradosso di tutta questa situazione.
Una storia che ricorda i tanti destini bizzarri che sono appartenuti ai nostri nonni durante le guerre mondiali.
E’ arrivato in Italia quando ancora era minorenne. E’ originario della Guinea. Si è messo in viaggio per cercare il padre che non ha mai conosciuto. Si diceva che probabilmente era in Libia e Ibrahim è andato lì per cercarlo. E’ stato scambiato per un profugo e imprigionato nelle carceri. Una volta rilasciato, si è rimesso sulle tracce del padre ma qualcuno lo ha imbarcato su un gommone per raggiungere l’Italia insieme ad altri migranti, a sua insaputa! E’ difficile capire se chi lo ha imbarcato avesse a cuore le sorti di Ibrahim o lo avesse semplicemente ingannato.
Quali sono tutti gli argomenti e le riflessioni che vuole esporre con questo lavoro?
Profughi, migranti irregolari, clandestini, rifugiati: c’è tanta confusione quando si utilizzano questi aggettivi. Uomini, donne e bambini che naufragano sulle nostre coste senza che nessuno sappia bene la loro storia, la loro provenienza, le loro motivazioni. E quando c’è ignoranza lo sciacallo è sempre pronto a divulgare con successo l’antica paura per lo straniero al fine di biechi e oscuri obiettivi perlopiù personali, siano essi politici o economici.
Con questo documentario ho voluto scoprire e far conoscere chi risiede nei centri di accoglienza allo scopo di informare al meglio le tante persone che, in mancanza delle giuste nozioni, si abbandonano a giudizi e pregiudizi che oscurano sempre più questo nostro momento storico.
We have a dream, perché tutti dobbiamo avere un sogno. Per i migranti è scontato, per noi un po’ meno.