Il Venezuela in una valigia
di Tini Codazzi
Come potrei definire il venezuelano? È un mix di culture diverse, di etnie diverse. La storia dello sviluppo della nazione è stata accompagnata, già da diversi secoli, da ondate di immigrazioni provenienti dai diversi continenti. Il Venezuela è stata la nazione dell’America Latina che storicamente ha ospitato nel suo territorio il maggior numero di immigrati. Persone di tante nazionalità che disperate uscivano dai loro paesi per motivi politici, sociali, sanitari, economici. La terra venezuelana è stata letteralmente “invasa”, per così dire, da: africani, dominicani, haitiani, cubani, tedeschi, italiani, spagnoli, portoghesi, sloveni, croati, polacchi, cechi, colombiani, peruviani, ecuadoregni, cileni, argentini, cinesi, libanesi, siriani, arabi… e potrei continuare. Questo ha fatto sì che la cultura e le tradizioni del Venezuela antico siano state influenzate da questo affascinante Melting pot. Siamo figli del mondo. Per questa ragione, siamo sempre stati un popolo ospitale, sorridente e pronto ad aprire le braccia per accogliere questi immigrati e farli sentire come a casa propria. Abituati da sempre così, siamo cresciuti accanto allo straniero, al profugo, al bisognoso, a quello diverso dal punto di vista della religione o del colore della pelle, e in un modo o nell’altro quella terra promessa che era il Venezuela ha dato lavoro, felicità, amore, in sostanza, un futuro. Io stessa sono nipote di un italiano del sud arrivato in nave con la sua valigetta, così come avete visto in tanti film, e di un colombiano di Bogotà che ha attraversato la frontiera tra mille difficoltà. Tutti e due hanno trovato il loro futuro in Venezuela e sono orgogliosa di far parte, per partita doppia, di questa realtà.
È per questa ragione che mi sento immensamente triste e perfino arrabbiata vedendo quello che succede in queste settimane ai profughi venezuelani protagonisti di questa terribile ondata di emigrazione forzata grazie al regime di Nicolas Maduro. L’esodo venezuelano si è incrementato dal 2016. Fino a questo momento, 2,3 milioni di venezuelani sono fuori dal paese, più o meno il 7% della popolazione, secondo l’ONU, ma nelle ultime settimane c’è stato un boom che ad oggi non si ferma. Uomini, donne, bambini, anziani, ai bordi delle strade, con in mano una valigia o un sacchetto di plastica e un manto pieno di disperazione e tristezza che li copre passo dopo passo. Scappano dalle malattie, dalla fame, dall’insicurezza, dalla repressione, dalla miseria, dalla mancanza di lavoro, acqua potabile, elettricità, gas… Ormai è una sorta di guerra quella che si vive in Venezuela e la popolazione fugge disperata come qualunque altra popolazione in guerra. Noi in Italia viviamo accanto alla realtà dei profughi che arrivano nei barconi attraversando il Mediterraneo: ebbene, il continente sudamericano ormai vive accanto alla realtà dei profughi venezuelani che attraversano strade, montagne e città a piedi per raggiungere Colombia, Ecuador, Peru e Brasile. Secondo l’Agenzia delle Nazione Unite per i Rifugiati, nel primo semestre del 2018, 90 mila venezuelani hanno chiesto asilo in Perù, 6.900 in Brasile. In Colombia ci sono 600 mila venezuelani e in Ecuador 39.500. Le frontiere di questi 4 paesi sono in crisi, non sanno come gestire questo flusso mai visto nel continente. Rappresentanti dei quattro governi si sono uniti per cercare una soluzione alla crisi. Tra 700 e 800 venezuelani stanno attraversando la frontiera con il Brasile, dove c’è già un campo profughi. La frontiera brasiliana è militarizzata per garantire la sicurezza nella regione di Roraima. Perù e Colombia hanno creato un database per schedare i venezuelani che arrivano in modo illegale.
Si sono già verificati episodi di xenofobia, di maltrattamento, di violenze sessuali. C’è molta preoccupazione. Questi migranti non sono accolti sempre bene dagli ecuadoregni, peruviani e colombiani. C’è mancanza di solidarietà. Evidentemente, purtroppo i tempi sono cambiati, non possiamo aspettarci che l’America Latina apra le braccia al venezuelano così come lui lo fece in passato con il latino-americano. Ma un po’ di solidarietà, di comprensione e di compassione sì. È necessario ed urgente instaurare un coordinamento regionale nelle zone critiche, dovrebbe arrivare l’aiuto di organizzazioni come l’OEA, ONU, UNHR-rifugiati per contenere questa minaccia di bomba a orologeria che è questo esodo sproporzionato. Creare politiche di armonizzazione nell’accoglienza, educare la popolazione che ospita queste persone, è imperativo in questo momento. Speriamo che così succeda.
Nel frattempo, Maduro nega in TV che ci sia un esodo, afferma che esiste una guerra economica creata dai paesi della regione per screditare il governo. Manda un messaggio a tutta la diaspora che vive in questi paesi critici perché rientri nella nazione, attraverso frasi banali e bugie. Jorge Rodríguez, ministro dell’informazione, dichiara che la crisi umanitaria è un castello di carte costruito grazie alle fake news. L’ennesimo tentativo di nascondere la luna con un dito.
Sperando che il venezuelano si risvegli definitivamente…Ma mi sembra troppo tardi. Il danno è già stato fatto.