Il genocidio degli yazidi: intervista a Simone Zoppellaro
di Alessandra Montesanto
Associazione per i Diritti umani ha intervistato Simone Zoppellaro, autore del saggio Il genocidio degli yazidi. L’Isis e la persecuzione degli “adoratori del diavolo, edito da Guerini e Associati. Il libro racconta la storia e la cultura di un’antica minoranza religiosa, quella degli yazidi, e il genocidio compiuto contro di loro. Nell’agosto 2014 lo Stato Islamico si lancia alla conquista della regione del Sinjar, nell’Iraq nord occidentale, massacrando in pochi giorni più di tremila yazidi; questo sterminio coincide con il rapimento di oltre seimila persone, in prevalenza bambini e donne, ridotte in stato di schiavitù sessuale dagli uomini dell’Isis.
Ringraziamo molto Simone Zoppellaro per la sua disponibilità.
Iniziamo a collocare gli yazidi geograficamente e culturalmente…
Si tratta di un’antica minoranza religiosa che ha avuto origine in quell’area ricchissima di fedi, culture e storie che è la piana di Ninive, nel Kurdistan iracheno. Minoranza nella minoranza, alla cultura curda andranno ricondotte anche l’identità e la lingua di questo piccolo popolo, che a causa della sua fede eterodossa – un sincretismo originale che ha tratto diversa ispirazione dalle religioni abramitiche e da quelle iraniche – ha subito molte persecuzioni nella sua storia millenaria, dimostrando capacità di resistenza davvero straordinarie, ma anche un’inevitabile chiusura nei confronti dell’esterno, soprattutto nei momenti di maggiore crisi. Oggi, dopo l’ultimo attacco subito, gli yazidi vivono sparsi per il mondo: dal Medio Oriente – dove si trovano in moltissimi casi stipati in campi profughi, strappati dalle loro terre – al Caucaso del Sud, fino al Canada, agli USA e alla Germania, che è stato l’unico paese che si è impegnato in programmi di sostegno materiale e psicologico per questa comunità che, allo stato attuale, è sul punto del collasso e rischia di scomparire.
Quando è iniziato l’ultimo genocidio – in ordine di tempo – di questa minoranza?
Nell’agosto 2014 lo Stato Islamico si lancia alla conquista della regione del Sinjar, nell’Iraq nord occidentale, massacrando in pochi giorni più di tremila yazidi, incapaci di porre alcuna resistenza nei confronti di un nemico assai più potente e organizzato da un punto di vista militare. La loro persecuzione – apertamente rivendicata anche nei canali mediatici dell’Isis – è giustificata in primo luogo da ragioni di propaganda, nonché dal rapimento di migliaia di donne e ragazze, vendute e utilizzate come schiave. Allo stesso modo, anche molti bambini yazidi, strappati dalla loro terra e dalle loro famiglie, sono stati addestrati e persino usati in missioni suicide, come kamikaze. E proprio questo, oggi come ieri, significa genocidio: un tentativo, studiato a tavolino e portato avanti con determinazione e ferocia, di estirpare dalla faccia della Terra un intero popolo, andando a colpire in particolare gli anelli fondamentali di questa cultura: le donne, i bambini, e i legami di comunità rappresentati dal suo collante religioso.
La comunità ha fatto appello alla Corte Penale Internazionale e alle Nazioni Unite: ci può parlare dell’iter per il riconoscimento del genocidio?
Siamo ancora in alto mare. Agli yazidi mancano, come ho avuto modo di appurare in Kurdistan, le risorse finanziarie, il supporto politico (dentro e fuori dall’Iraq) gli uomini e le tecnologie per poter portare avanti con successo una causa di riconoscimento del loro genocidio, sia a livello nazionale che internazionale. Le decine di fosse comuni che sono state scoperte negli ultimi mesi, man mano che i miliziani dello Stato Islamico arretravano sconfitti, non possono essere analizzate per mancanza di fondi, dando un’identità a questi corpi martoriati. E questo è solo un esempio, un triste paradosso di un genocidio che non ha ricevuto l’attenzione che meritava, nonostante sia ben nota a tutti gli attori internazionali, e da lungo tempo, l’entità dei crimini commessi. In questo disastro della diplomazia internazionale, mi piace segnalare un caso positivo, per quanto su piccola scala. Il parlamento armeno, all’inizio di quest’anno, ha approvato una risoluzione sul genocidio degli yazidi. Un gesto simbolico ma importante, per un piccolo Paese che accoglie oggi 35.000 membri di questa minoranza perseguitata, ma anche e soprattutto una lezione che ci dimostra come dalla storia, a volte, si possa imparare qualcosa di importante: un secolo fa esatto, infatti, furono gli yazidi a fornire supporto agli armeni perseguitati e vittime di genocidio nell’Impero Ottomano.
In che modo anche la UE, può contribuire alla lotta contro la persecuzione delle minoranze religiose in Iraq e in Siria?
Tanto può essere fatto, innanzitutto fornendo supporto materiale e politico alle vittime di questo genocidio e alla comunità che le rappresenta, che ha cercato come meglio poteva di fare fronte a questa catastrofe umanitaria, pur in mancanza di mezzi. Gli yazidi devono poter avere la possibilità di tornare nelle loro terre, da dove sono fuggiti e dove a migliaia sono morti, sotto gli occhi dei loro famigliari e amici. Ma, affinché ciò avvenga, servono garanzie per la loro sicurezza, e serve che i responsabili di questi crimini siano identificati e condannati. E questo ancora non è avvenuto. Accogliere poi, naturalmente, chi di tali violenze è stato vittima, sarebbe un segno importante, ma anche in questa direzione poco o nulla e stato fatto, anche nel nostro Paese.
Qual è la differenza tra il genocidio subìto dagli yazidi per mano dell’Isis rispetto a quelli del Passato?
Questo è il primo genocidio della storia raccontato in presa diretta dai suoi carnefici, che hanno utilizzato internet per un macabro esercizio di propaganda. Questo è certamente un elemento di novità all’interno di un fenomeno, quello genocidario, che attraversa tutta la storia umana. Una rivendicazione che è avvenuta moltiplicando video, foto e storie delle vittime, ma anche con un’immediata dichiarazione di intenti e una teorizzazione aperta, che non lascia adito ad alcun dubbio su quale sia la natura di quanto avvenuto. Per concludere, trascorsi ormai oltre quattro anni dall’inizio di questo genocidio, riporto le parole di Murad Ismael dell’organizzazione Yazda, fra le più importanti a rappresentare gli yazidi a livello internazionale: «Il genocidio degli yazidi non è ancora concluso, poiché i 2/3 delle vittime non hanno il diritto di tornare alla loro terra, oltre 3.000 fra donne e bambini risultano dispersi, più di 60 fosse comuni restano ancora da esumare, nessuno dei colpevoli di questo crimine è stato portato di fronte alla giustizia, e le vittime continuano a soffrire».