“Stay human. Africa”. Una dolcissima idea
di Veronica Tedeschi
Il cioccolato, uno dei cibi più desiderati da ogni persona, in qualsiasi parte del mondo questa si trovi. Ma dove viene prodotto? E in che modo?
Il primo produttore al mondo di cacao è la Costa d’Avorio che da sola rifornisce il 40% del mercato globale e nel 2017 ha esportato quasi due milioni di tonnellate di semi. L’esportazione di tali semi ha assicurato il 20 % del Pil nazionale ma proviamo a pensare praticamente a quello cha accade nell’iter produttivo: braccianti ivoriani raccolgono semi di cacao che vengono immediatamente commerciati dalle diverse multinazionali presenti sul territorio, senza che avvenga nessuna trasformazione primaria in terra africana.
Quando il prodotto grezzo è trasformato in bene di consumo, il suo commercio può alimentare il mercato interno innescando un circolo virtuoso che produce maggiore ricchezza e occupazione. Inoltre, le regole morali delle multinazionali presenti in Costa d’Avorio (ma non solo…) non sono per nulla ammissibili. Uno studio dell’organizzazione non governativa Mighty Earth denuncia come una grande quantità di cacao utilizzato dalle principali aziende produttrici di cioccolato come Mars, Nestlé, Ferrero e Lindt, sia coltivata illegalmente nei parchi nazionali e in altre aree boschive tutelate.
Secondo l’Ong, il business è talmente vasto che le aree protette sono a volte diventate vere e proprie città, come è avvenuto in una foresta tutelata, nella quale vivono migliaia di abitanti e nel tempo sono stati costruiti ventidue magazzini di cacao, una moschea, una scuola, decine di negozi e dispensari medico-sanitari. Tutto ciò porta a conseguenze devastanti sia sotto il punto di vista sociale (meno ricchezza per la popolazione) sia sotto il punto di vista economico (il rigiro di denaro che resta in Costa d’Avorio è bassissimo).
Quale soluzione possibile? Semplicemente, basterebbe innescare dei commerci di trasformazione, anche piccoli, in cui il raccolto dei contadini si possa trasformare in cioccolato di qualità direttamente in Africa.
Questo è quello che lentamente sta accadendo, ad Abidjan sono sorte piccole botteghe che raccolgono, trasformano e vendono il cioccolato, tutto in Costa d’Avorio.
Un esempio su tutti è Mon Choco, una piccola impresa costituita da sei dipendenti e diretta da Dana Mroueh, 29 anni, che ha come scopo produrre cioccolato per gli ivoriani e, chissà, anche esportarlo.
“Vado di persona a selezionare il cacao migliore in piantagioni che non usano fertilizzanti chimici” spiega Dana, che ha avuto un’idea ancora più innovativa per la sua azienda: una cyclette come macina.
Anziché utilizzare una macchina elettrica industriale, che comporterebbe un alto consumo di energia elettrico (non supportato da un paese che ancora è soggetto a continui black out), le fave vengono sbriciolate con una sorta di macina collegata ad una cyclette. Un’idea sostenibile e socialmente utile, oltre che importante per la salute dei dipendenti che giornalmente sono costretti a fare anche attività fisica.
Un modello di impresa, funzionale e riproponibile che potrebbe segnare una svolta importante nello sfruttamento di terre e risorse tutt’oggi in atto da molte multinazionali e che potrebbe far crescere il numero dei posti di lavoro e il livello di vita di molti ivoriani.