“LibriLiberi”. La dimensione oscura
di Alessandra Montesanto
Qualcuno si ricorderà una serie di telefilm di fantascienza intitolata “Ai confini della realtà” che veniva trasmessa negli anni’70: Nona Fernàndez, autrice del romanzo La dimensione oscura edito da Gran Via, vi fa spesso riferimento perchè i fatti narrati sono crudi e difficili da spiegare razionalmente, ma sono accaduti davvero. Purtroppo.
Nona Fernàndez, classe 1971, di Santiago del Cile, con questo suo ultimo lavoro (il primo, pubblicato sempre dalla stessa casa editrice italiana, si intitola Mapocho) ha vinto il Premio Sor Juana Inés de la Cruz, premio prestigioso e meritato per il coraggio del tema affrontato e per l’originalità della stesura.
Un romanzo sì, ma anche un’inchiesta dato che vengono riportate le esatte parole di “un uomo alto, magro, moro, con folti baffi”. Costui si chiama Andrès Antonio Valenzuela Morales, alias “l’uomo delle torture”. Il 27 agosto 1984 quest’uomo entra negli uffici di una rivista di opposizione a Santiago e decide di rilasciare ad una giornalista la sua testimonianza, ricca di dettagli: una denuncia, una confessione sui metodi della dittatura che coprì di sangue gli anni’60 e ’70 del Cile – così come di altri Paesi latinomaericani – ma facendo scomparire nel nulla i corpi dei dissidenti.
Il nido 20, La firma, l’hangar di Cerrillos, la costa Barriga, sono i luoghi, i nascondigli in cui venivano portate le vittime, per poi essere sottoposte ad ogni genere di violenza e uccise; uomini e donne, giovani e meno giovani, figli, padri, madri, studenti, avvocati, intellettuali, persone comuni. Come ridare loro un volto, un nome, una dignità? Attraverso la Memoria e tramite chi può e vuole rimettere in circolo le informazioni. Un pentito e una giornalista a confronto. E una scrittrice che molto immagina per riempire il vuoto lasciato dal tempo trascorso – che sbiadisce e confonde – e dall’omertà di chi c’era e, oggi come allora, fa finta che nulla sia accaduto.
L’escamotage narrativo è quello di alternare la potenza dolorosa della descrizione delle modalità repressive con quella di alcuni episodi cinematografici o televisi, continui riferimenti alla fantasia che invece di far svagare il pubblico, diventano qui pietra di paragone con una realtà in cui si è totalmente perso il confine tra Bene e Male. Si legge, infatti: “Un horror il cui narratore e protagonista era un uomo comune e banale, che somigliava molto al nostro professore di scienze naturali, così pensavamo, con i baffi dello stesso taglio e spessore” ed echegggia la banalità del Male della Arendt che striscia, più o meno vilmente, attraverso tutte le epoche, quella banalità che viene giustificata, ad esempio, dall’obbedienza ad un ordine superiore.
Molte le suggestioni e gli spunti di riflessione che non riguardano necessariamente solo quel periodo storico-politico. Una domanda ricorrente è: “Quanti volti può racchiudere un essere umano?” Qui troviamo la ricerca dell’identità, la capacità metamorfica e kafkiana di mutare a seconda delle circostanze, la perdita della rettitudine.
Come in una tragedia greca, l’impianto del libro prevede un protagonista (o meglio, MOLTI protagonisti), gli antagonisti e il coro. Quest’ultimo è composto dai personaggi di sfondo, ma non solo nel racconto, anche nella vita vera: quelli che si nascondono dietro a un dito, che si girano dall’altra parte, che credono sia meglio non interessarsi di “certi argomenti”. Qui ci si riferisce alle istituzioni, alla stampa, ad una parte della società civile. E tornano l’universalità e l’attualità di questo romanzo. Ma allora i buoni dove sono? Come la giornalista – alter ego dell’autrice che ripete, quasi ossessivamente – “Io so” oppure “Io immagino”- sono i figli e i nipoti delle vittime che, loro malgrado, prendono il testimone dei loro genitori e parenti. Sono le nuove generazioni che garantiscono un Futuro di verità e giustizia, mantenendo viva e forte la voce dei propri cari.
E’ un grande gioco di specchi, quello che si viene a comporre grazie alla struttura sapiente costruita da Nona Fernàndez, un gioco che mette in crisi le certezze e che pone dubbi sull’Etica. Ma questo è esattamente quello che dovrebbe accadere ogni volta che ci guardiamo in faccia.