“Stay human. Africa”. Violenza sessuale come arma di guerra in Repubblica Democratica del Congo
di Veronica Tedeschi
“Quando mio padre scoprì quello che mi avevano fatto il suo dolore fu immenso e in lui tutto si frantumò. Mia madre invecchiò di cento anni, in un’unica notte, mio fratello da quel momento non è riuscito più a guardarmi negli occhi, ed io non ho più guardato i suoi, perché non vuole che io soffra più di quello che ho già sofferto. Con il loro gesto a lui sembra che gli abbiano portato via la sua virilità. Quando ha scoperto, che quelli che credono di essere degli uomini, sono solo invece tali perché hanno degli attributi maschili, ha iniziato a odiare la sua virilità. Per quelli che si definiscono uomini, la dignità, la nobiltà e la castità non ha nessun valore e significato.”
Questa frase, tratta da una lettera di Bahareh Maghami, vittima iraniana di stupro, fece da introduzione alla mia “ormai lontana” tesi di laurea universitaria.
Una lettera (per leggerla integralmente: Clicca qui) che mi colpì molto per l’intensità con la quale venne analizzato un gesto tanto meschino e che esattamente ricopriva la funzione di apertura di un tesi sullo stupro come violazione dei diritti umani e sullo stupro come arma di guerra.
Stupro come arma di guerra: è quello che accade oggi nella Repubblica democratica del Congo (da ora RDC), dove gli stupri sono utilizzati come un’arma e sono svolti con una crudeltà inaudibile che in questi anni ha portato a genocidi silenziosi di uomini che odiano le donne.
La RDC non è una terra per esseri umani, né per uomini nè, e forse soprattutto, per le donne. Un paese che parte da una storia e da una colonizzazione belga lunga e dolorosa e che, ancora oggi, lascia cicatrici profonde su un’intera popolazione.
Già dalla fine degli anni 90 si iniziarono a verificare i primi casi di stupro utilizzati con uno scopo preciso che era quello di intimidire gruppi di persone o etnie, fino ad arrivare ad abusi sistematici e a torture.
Nonostante il processo di pace cominciato nel 2003, l’aggressione sessuale da parte di soldati di gruppi armati e dell’esercito nazionale continua nelle province orientali del paese. Prove dello stupro di guerra emersero quando le truppe delle Nazioni Unite entrarono in aree precedentemente devastate dalla guerra, dopo che il processo di pace ebbe inizio.
Più di 500 stupri furono documentati nell’est del Congo nell’agosto 2010, portando ad una richiesta di scuse da parte di Atul Khare, il funzionario dell’ONU che fallì nel tentativo di proteggere la popolazione dalle brutalità.
Nel 2015 furono registrati 15mila casi accertati di violenze sessuali.
“Qui in Congo le donne sono state stuprate tre, quattro, dieci volte da uomini diversi. Più che uomini bisognerebbe chiamarli animali. Finora ne abbiamo curate 384 ma continuano ad arrivare. Parecchie atterrite dalla violenza sono fuggite nella giungla e hanno paura a tornare per farsi curare.”
Giorgio Trombatore, Capomissione e incaricato della sicurezza dell’organizzazione non governativa americana IMC (International Medical Corp).
Gli strumenti e le istituzioni per combattere questi fenomeni ci sono ma, a quanto pare, non sono sufficienti per contrastare un fenomeno di così ampia portata (soprattutto per quanto riguarda il caso della RDC). Solo per citare le più importanti, a fianco della Commissione africana dei diritti umani, lavora l’IHRDA, l’Institute for Human Rights and Develompment in Africa che è un’organizzazione non governativa Africana il cui primario scopo è la fornitura di un consulente legale alle vittime di violazioni di diritti umani.
Ultima ma importante citazione va al chirurgo Denis Mukwege, Nobel per la pace 2018, che instancabile continua a lavorare al fianco di queste ragazze e rappresenta oggi, insieme a tutte le Ong che sul posto seguono i casi più gravi, il simbolo più tangibile della volontà di aprire una lotta contro la violenza sessuale, vista sia come reato sia come strumento di guerra.
“È una battaglia necessaria, gli stupri non distruggono solo le donne e il loro corpo ma l’intera società. Dopo essere state violentate le vittime vengono considerate colpevoli dai mariti e vengono per questo allontanate e isolate. Ci sono alcune donne che contraggono l’hiv, che è una malattia che provoca una stigmatizzazione dell’ammalato, e altre che soffrono di perdite e incontinenza e quindi vengono derise e umiliate dalla comunità. È una tragedia che va fermata, occorre intervenire su moltissimi fronti, anche con un profondo lavoro di sensibilizzazione nei villaggi e nelle città, per far si che le comunità non considerino più queste donne colpevoli della tragedia che è loro toccata”. (Denis Mukwege)