di Patrizia Angelozzi
Voglio parlare di te, Donna.
Senza numeri e statistiche. Senza distinzioni di colore, luoghi di origine, lingua e cultura.
Qualcuno ha atteso nove mesi per vederti nascere, crescere, sorridere e sbadigliare per la prima volta. I passi, i giocattoli, la scuola, i libri per conoscere il mondo, le lingue per comprenderlo. L’amore, quello per ridere insieme. I progetti e i sogni dentro i tuoi ‘domani’.
A te, Madre, coi giorni da vivere per ascoltare parole nuove, piccole e grandi, abbracci teneri, giorni da festeggiare. Fotografati nella memoria. Incisi e tatuati.
A te, con addosso il profumo dei capelli dei tuoi figli, le lacrime dei loro dolori e le speranze per il loro futuro.
E la tua paura.
Avrai avuto sicuramente paura, avrai avuto vergogna nel parlarne. Scavalcando ogni resistenza ti sarai spinta dentro un commissariato o un centro in cerca di tutele. Qualcuno ti avrà aiutato, consigliato, invitato a ‘fare attenzione’…
Pazzia, si chiama così, pensare che tu possa essere un bene di proprietà…, come una strada privata a senso unico, un passo carrabile, una voragine, dove farti finire, annientare, punire per sempre.
Punita per esistere, pensare, parlare, amare, decidere, scegliere, vivere.
Per tutte le Donne che non ci sono più, per le armi usate contro di loro, per le parole taglienti e sanguinanti di odio, per tutti i rancori, la rabbia, la ferocia, le torture, il martirio, i silenzi spesi ad aspettare che un mostro diventasse buono…
Per le Donne non amate, ma odiate, strattonate, violate. Indifese, offese, stuprate nell’anima e nel corpo, quelle dagli occhi spenti e il coraggio di continuare a proteggere quella che credevano una famiglia. Per quelle che hanno urlato, denunciato, raccontato, allontanato senza riuscire a sopravvivere.
Per te, per voi, oggi chiedo giustizia. Protezione. Aiuto.
L’urgenza è vivere e non morire. Mai più.