Silvia e l’amore per il Kenya
di Veronica Tedeschi
Kenya, magnifica terra dai mari cristallini.
Meta turistica di moltissimi italiani e destinazione di numerosi volontari.
Il Kenya è lo stato africano ad ospitare il maggior numero di villaggi turistici gestiti da italiani e per questo è diventato uno dei paesi-simbolo della vacanza-relax di cui la maggior parte di noi, abitanti del bel paese, ha bisogno dopo un anno di lavoro. Il turismo è la prima fonte di guadagno dello Stato e molte tutele vengono prese nei confronti di tutti i turisti europei; preservare il benessere del viaggiatore mira ad avere maggiori entrate nel paese.
Connesso al turismo, il Kenya è anche diventato il Paese africano per eccellenza in cui si è maggiormente sviluppato il così detto turismo della povertà, caratterizzato da uno spostamento dei turisti dai villaggi turistici ai tipici villaggi africani.
Qui a destra la capanna di Amina, che con tre figli e un marito ucciso in guerra non riesce a sopravvivere e qui avanti, alla vostra sinistra questa bellissima scuola in cui i bambini, costretti a studiare tra mura di lamiera, sono anche obbligati a ringraziarvi per il vostro ‘passaggio’.
Un paese forte che ha superato periodi duri e che negli ultimi anni ha assistito ad una grande crescita economica e imprenditoriale.
La vicinanza con la Somalia ha, però, portato negli anni tantissimi disagi, a partire dalle flotte di rifugiati in fuga per arrivare agli al-shabab, le cellule terroristiche somale di al-qaida. La formazione islamista degli al-shabab si è sviluppata e stanziata nelle regioni del sud della Somalia e mantiene vari campi di addestramento nei pressi di Chisimaio… tutto troppo vicino ai confini kenioti.
Non so cosa abbia spinto Silvia Romano a partire per il Kenya. Sono volontaria come lei e posso solo provare a spiegare cosa spinge una ragazza di 23 anni ad andare in Africa.
Cosa porta una persona a non tener conto della presenza degli al-shabab. A partire anche in presenza di un’epidemia o ancora, a vivere in condizioni di non confort e sporcizia.
Avete mai chiesto ad un prete cosa lo spinge a proseguire nella sua vocazione?
No, sarebbe una domanda scomoda.
Tanto quanto sta divenendo scomoda la domanda di tutti quelli che in questo periodo mi chiedono: “Ma sei ancora sicura di partire dopo quello che è successo?”.
Siamo stanchi, noi volontari, di essere trattati da ingenui e irresponsabili.
Il sentirsi a metà, non completa, è una sensazione terribile da sopportare e che si impone nella routine di ogni giorno, provocando insoddisfazione.
Sapere di poter fare tanto, molto di più, ma non aver il coraggio e rimanere inchiodati al divano e forse ancora peggio.
La curiosità, la scoperta e la voglia di star bene con se stessi.
La forza enorme che nasce quando davanti ad una situazione di disagio ripeti a te stessa perché sei lì e perché vuoi vivere tutto quello.
È difficile da spiegare e, dopo anni di viaggi, ancora mi risulta faticoso spiegarlo a mia madre. Spiegarle che è tutto ok, l’Africa ha aspetti positivi e negativi, come molti paesi nel mondo, e sminuire un’epidemia o una situazione di disagio fa parte della vocazione.
Non si sottovaluta il pericolo, tutti i volontari hanno paura durante le loro missioni per i motivi più disparati ma provano anche emozioni e sensazioni così forti delle quali poi è impossibile fare a meno.
Silvia non è irresponsabile, Silvia ha avuto una vocazione che tutti noi dobbiamo rispettare.
#silvialibera