“Notizie di chiusura”. VI Rapporto della Carta di Roma
Presentato il VI Rapporto della Carta di Roma “Notizie di chiusura”. L’alta visibilità mediatica, le cornici della sicurezza e della criminalità, la marginalizzazione dell’accoglienza e del soccorso in mare, la sovrapposizione dell’agenda della politica hanno determinato un inasprimento dei toni e del lessico non tanto in chiave allarmistica quanto di divisione e di inconciliabilità tra noi e gli “altri”
È stato presentato alla Camera dei Deputati, lo scorso 11 dicembre, il VI Rapporto della Carta di Roma “Notizie di chiusura”, un’analisi dei media italiani aggiornata al 31 ottobre 2018 e realizzata con l’Osservatorio di Pavia.
Nel suo saluto, Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ha parlato di come il significato di alcune parole sia stato rovesciato nel racconto mediatico. «Vorrei introdurre un modulo di contrasto alle parole d’odio condiviso e obbligatorio per tutti – ha detto – Tutti dovrebbero conoscere e rispettare la Carta di Roma».
«Pacchia, crociera, clandestino, la paghetta dei 35 euro, invasione, sono le parole con cui la politica fa la sua propaganda, ma che rimbalzano su tutti i giornali e su tutti i telegiornali, senza contraddittorio», afferma invece Valerio Cataldi, Presidente dell’Associazione Carta di Roma. Prosegue ribadendo la centralità delle parole che “possono trasformare la realtà” soprattutto rispetto ai concetti di responsabilità e di correttezza dell’informazione di chi scrive e riproduce quelle parole.
«La funzione sociale del giornalista è quella di essere arbitri del linguaggio utilizzato – dice il vicedirettore de L’Espresso Lirio Abbate – Pacchia e invasione sono parole disumanizzanti e anche migrante è diventata una parola politica. Io penso che sia la strumentalizzazione che si fa del migrante a generare paura. Oggi abbiamo paura di avere paura, e questo ci fa fare tanti errori, anche giornalistici».
L’attenzione sul fenomeno migratorio è stata maggiore nella tv e minore nella carta stampata. Sulle prime pagine dei principali quotidiani nazionali, si assiste a una riduzione di notizie sul tema rispetto agli anni precedenti: nel 2018 sono 834, contro le 1.006 del medesimo periodo nel 2017. Invece nei telegiornali di prima serata delle reti Rai, Mediaset e La7, aumenta il numero di notizie: 4058 nei primi dieci mesi del 2018, il 10% in più rispetto all’anno precedente.
«Fare la conduttrice di talk show significa spesso fare da mediatori tra le diverse posizioni in campo – sostiene la conduttrice di Agorà Serena Bortone – Bisogna parlare di tutto quello che succede perché il compito del giornalismo è quello di raccontare il mondo per favorire gli strumenti al politico per cambiarlo e ai cittadini per comprenderlo». Sul tema dell’immigrazione aggiunge, «Si sono vinte e perse elezioni su questo argomento. La critica alla gestione del fenomeno, è diventata una critica al fenomeno stesso, risultata poi nella criminalizzazione del migrante».
«C’è stato un cambiamento di clima nei confronti dell’immigrazione – sostiene il politologo Ilvo Diamanti. – Fino a qualche anno fa, l’immigrazione veniva raccontata con i segni dell’accoglienza. Oggi non è più così. Siamo passati dalla comprensione e la pietà verso l’altro alla paura. E aver paura dell’altro mostra una crisi di identità da parte nostra. Sarebbe vantaggioso non avere paura, ma integrare, perché è ovvio che non possiamo soltanto subire un fenomeno».
Un filo conduttore dell’informazione nei sei anni analizzati è quello dell’emergenza permanente, il lessico adoperato delinea una cornice di «crisi infinita», endemica, che muta nel tempo e dilaga dalla cronaca al dibattito politico, interno all’Italia e tra istituzioni europee. Le parole simbolo degli anni esemplificano le mutazioni delle cornici della crisi: Lampedusa nel 2013, Mare nostrum nel 2014, Europa nel 2015, muri nel 2016, Ong nel 2017 e Salvini nel 2018.
La presenza di immigrati, rifugiati e richiedenti asilo nei notiziari del 2018 passa dal 7% dell’anno precedente, al 16%, ma non è una buona notizia perché i contesti tematici principali in cui sono presenti sono due: le aggressioni e gli attacchi di matrice razzista e i casi di caporalato e sfruttamento lavorativo.
«L’analisi del dibattito sulle pagine Facebook dei principali quotidiani italiani, in concomitanza del raid razzista a Macerata il 3 febbraio 2018, ha scatenato reazioni, anche feroci, sui social, mettendo in luce alcuni aspetti della comunicazione online – spiega il ricercatore Giuseppe Milazzo dell’Osservatorio di Pavia – la presenza e permanenza di un linguaggio apertamente ostile e discriminatorio, declinata in vari livelli, che vanno dagli insulti al turpiloquio, all’apologia della violenza contro un gruppo su base etnica».
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