Profumo di vita. I newborn e la violenza assistita
a cura di Alessandra Montesanto
Associazione Per i Diritti umani ha intervista la fotografa Elena Givone sul suo nuovo progetto intitolato Profumo di vita in cui affronta il delicato tema dei neonati e la violenza assistita.
Il tuo lavoro riguarda spesso le bambine e i bambini, in Italia e nel mondo: perché questo interesse nei confronti del mondo dell’infanzia?
Il mio lavoro ha una forte componente etica e sociale, in cui spesso si mette in scena la voce di un’umanità la cui parola è stata tolta. Non importa che si tratti di un carcere in Brasile, di un orfanotrofio, di una strada, o di una tenda, poiché tappeti, lampade o gufi, diventano degli strumenti per capire la società in cui vivono i protagonisti ritratti, per sovvertire la normalità e regalare loro anche solo per pochi attimi, il dono della leggerezza.
Per questo motivo ho scelto di lavorare sull’infanzia.
Questo progetto, intitolato Profumo di vita, vede ritratti i neonati, sorretti da mani e braccia di adulti, uomini e donne, su sfondo nero. Al centro dell’attenzione, i newborn. Perchè questa scelta artistica?
Il progetto artistico-sociale Profumo di Vita #neldirittodelbambino – da un’idea di Legal@rte, con la curatela di Roberta Di Chiara – nasce per creare un momento di approfondimento rispetto al fenomeno sommerso della “violenza assistita” in famiglia da minori, al fine di far conoscere le conseguenze che si riscontrano nei bambini che ne sono inermi spettatori.
Nelle immagini realizzate presso l’ospedale Sant’Anna di Torino, con neonati appartenenti a differenti zone geografiche e culturali, si vuol cogliere l’essenza della vita: la fragilità di un neonato, le mani di un genitore che lo hanno messo al mondo e che lo proteggeranno ed aiuteranno a crescere al meglio.
Il progetto nasce per celebrare la Giornata mondiale dei diritti del fanciullo il 20 novembre, ha il desiderio di diventare un progetto con un respiro nazionale ed internazionale, riuscendo nell’intento di diffondere informazioni riguardo ai danni invisibili della violenza assistita, creando prevenzione e consapevolezza.
Il lavoro è legato ad un tema sociale molto importante, quello della violenza assistita. Ce ne vuoi parlare? Quali sono le conseguenze per i minori, vittime di questo fenomeno?
I minori oggetto di questa tipologia di traumi, risultano mediamente più esposti degli altri a sintomatologie post-traumatiche, problemi relazionali e soprattutto, rischiano di perpetuare la violenza, agendola o subendola.
Gli adulti che anno subito tali soprusi, diventati genitori, corrono un alto rischio di trasmissione intergenerazionale delle condotte maltrattanti/abusanti.
Secondo il Primo rapporto mondiale su violenza e salute emesso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il 90% delle aggressioni subite dalle donne si verificano in presenza dei figli.
La “violenza assistita”, punita con l’art. 572 del Codice Penale:“Maltrattamenti in famiglia”, ancor prima che un problema da contrastare sul piano giuridico, è una questione sociale che deve investire tutti noi. Crescendo, i minori che hanno subìto questo tipo di violenza, presentano una maggiore esposizione a sintomatologie post-traumatiche e problemi relazionali per i quali, Per violenza assistita si intende quella particolare forma di maltrattamento sottovalutata ed a volte ignorata anche dai genitori.
Il bambino spesso assiste ad atti di abuso fisico, verbale, psicologico, sessuale o economico, diretti verso la madre o verso figure familiari per lui affettivamente importanti.
L’esposizione a queste forme di violenza in famiglia può avere effetti devastanti, compromettendo lo sviluppo personale e l’interazione sociale, sia nell’infanzia che nell’età adulta.
Il bambino attiva diversi meccanismi di difesa, può assumere la stessa condotta aggressiva del maltrattante, imitandolo fisicamente e nel comportamento; i ricordi e i vissuti emotivi vengono spesso relegati nell’inconscio. La mente si divide in due parti, una riconosce l’avvenimento traumatico, l’altra lo nega e vi sostituisce una costruzione fantastica (come accusarsi della violenza o di non aver protetto il genitore maltrattato). In età adolescenziale possono inconsciamente ritrovarsi in situazioni e in relazioni dolorose, ripetendo inconsapevolmente le passate esperienze.
Questi bambini vivono in uno stato di costante allerta, insicurezza, paura, ansia mista a rabbia, imbarazzo e umiliazione, sviluppando sintomi quali disturbi del sonno, la mancanza di concentrazione con scarso rendimento scolastico, ritardi di sviluppo, riduzione delle capacità cognitive, deficit di attenzione e l’iperattività.
Possono insorgere somatizzazioni a carico dell’apparato gastrointestinale, cefalee, enuresi, tristezza, depressione e rabbia. Possono manifestare comportamenti d’accudimento e di protezione verso le vittime, mettendo in atto numerose strategie, come controllare chi suona alla porta, rispondere al telefono per filtrare le chiamate, prendersi cura del genitore aggredito, rifiutando di separarsi da esso o controllando le sue attività. Come il loro genitore maltrattato, i figli possono sviluppare pensieri ricorrenti rispetto alle modalità per impedire le violenze e calmare il maltrattante.
La sintomatologia citata ha un riscontro biologico, l’esposizione alla violenza innalza la quantità di ormoni dello stress, spesso neurotossici (in particolare il cortisolo).
L’eccesso di cortisolo, può contribuire alla diminuzione della massa encefalica, provoca deficit nel funzionamento cognitivo, rende inefficiente l’ippocampo sede della memoria, dell’integrazione dei ricordi e delle emozioni, infine può ipersollecitare l’amigdala, area sede delle emozioni, tra le quali paura.
Le cause della violenza assistita sono complesse e necessitano pertanto di interventi multi professionali di prevenzione e di cura, sia per le vittime che per gli autori.
Come ti sei preparata per affrontare un tema così delicato? Quali persone hai incontrato durante lo svolgimento di questo progetto?
Prima di tutto ho studiato molto tempo la fotografia Newborn, frequentando i grandi maestri del genere, tra i quali Kelly Brown dall’Australia.
In secondo luogo realizzare questi progetti all’interno delle strutture sanitarie, vuol dire ricevere l’autorizzazione dal Direttore Sanitario stesso e dal Primario del reparto, frequentando giornalmente ostetriche, infermiere pediatriche ed i medici di riferimento.
I genitori sono contattatati e coinvolti uno ad uno, nelle proprie stanze. Dopo aver spiegato loro la bellezza e la bontà del progetto, risultano entusiasti, fornendo la liberatoria alla pubblicazione delle immagini.