“Imprese e diritti umani”. Gli obblighi di rendicontazione non finanziaria per le imprese
di Fabiana Brigante
Nel percorso verso un’economia globale sostenibile e che coniughi redditività a lungo termine, giustizia sociale e protezione dell’ambiente, la trasparenza delle imprese circa il proprio operato acquista, come è facilmente intuibile, un ruolo fondamentale. Nel 2011 la Commissione Europea poneva l’accento sulla necessità di fissare uno standard uniforme tra gli Stati Membri circa la trasparenza delle informazioni “non finanziarie” fornite dalle imprese nei rispettivi settori. Nel 2014 l’Unione Europea approvava la Direttiva 2014/95/UE, recante alcune modifiche alla precedente Direttiva 2013/34/UE, stabilendo nuovi standard minimi di comunicazione da parte delle imprese con più di 500 dipendenti di informazioni in materia ambientale e sociale, in relazione alla gestione del personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta alla corruzione attiva e passiva, allo scopo di fornire agli investitori e alle altre parti interessate un quadro più completo sullo sviluppo, performance ed impatto della propria attività di produzione.
Secondo quanto previsto dalla Direttiva, le imprese sono tenute ad elaborare una dichiarazione comprendente le politiche attuate, i risultati conseguiti e i rischi connessi alla propria attività, insieme ad altre informazioni circa le procedure in materia di due diligence. In materia ambientale, la Direttiva prevede che le dichiarazioni devono contenere “informazioni dettagliate riguardanti l’impatto attuale e prevedibile delle attività dell’impresa sull’ambiente nonché, ove opportuno, sulla salute e la sicurezza, l’utilizzo delle risorse energetiche rinnovabili e/o non rinnovabili, le emissioni di gas a effetto serra, l’impiego di risorse idriche e l’inquinamento atmosferico”, mentre per quanto concerne gli aspetti sociali e attinenti al personale, le informazioni richieste riguardano “le azioni intraprese per garantire l’uguaglianza di genere, l’attuazione delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro, le condizioni lavorative, il dialogo sociale, il rispetto del diritto dei lavoratori di essere informati e consultati, il rispetto dei diritti sindacali, la salute e la sicurezza sul lavoro e il dialogo con le comunità locali, e/o le azioni intraprese per garantire la tutela e lo sviluppo di tali comunità”. Non ultimo, la Direttiva prevede l’inclusione di informazioni sulla prevenzione delle violazioni dei diritti umani e sugli strumenti esistenti per combattere la corruzione attiva e passiva.
In Italia, la Direttiva 2014/95/UE è stata attuata dal Decreto Legislativo 30 dicembre 2016, n. 254; il provvedimento è entrato in vigore il 25 gennaio 2017 e le sue disposizioni si applicano agli esercizi finanziari a partire dal 1 gennaio 2017.
Nonostante la Direttiva costituisca senza dubbio un passo importante nel definire obblighi di trasparenza delle imprese circa le misure da adottare per operare nel pieno rispetto dei diritti umani, è stata criticata in quanto la stessa non specifica in modo sufficientemente dettagliato quali informazioni debbano essere divulgate, lasciando dunque uno spiraglio aperto alla inadempienza dei suoi destinatari. Come già detto, garantire una divulgazione di alta qualità su questi temi ha un ruolo fondamentale nel perseguimento di obiettivi di crescita sostenibile e nella gestione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico o dal degrado ambientale, per citarne alcuni.
Per affrontare questo problema, alcune organizzazioni ed esperti si sono riuniti nell’ambito di un progetto di ricerca triennale (Alliance for Corporate Transparency) con l’obiettivo di analizzare gli step intrapresi dalle imprese europee al fine di implementare le disposizioni della Direttiva NFR (Non- Financial Reporting) e qualisiano le azioni da intraprendere per migliorare il quadro UE sul tema.
Nel 2018, il progetto ha valutato oltre 100 aziende appartenenti ai settori dell’energia ed estrattivo, delle tecnologie dell’informazione, della comunicazione e dell’assistenza sanitaria. Il campione iniziale di società comprendeva gruppi più grandi di oltre 20 società provenienti da Spagna, Francia e Regno Unito e campioni di controllo più piccoli provenienti dalla Germania, dalla penisola scandinava e dall’Europa centrale e orientale (Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia).
L’analisi dei dati raccolti mostra che la maggioranza delle aziende riconosce nei propri rapporti l’importanza delle questioni ambientali e sociali per il proprio business. Tuttavia, solo nel 50% dei casi per le questioni ambientali e in meno del 40% per le questioni sociali e relative alle misure anti-corruzione, le informazioni fornite sono considerate chiare in termini di questioni concrete, obiettivi e principali rischi. Infatti, è stato ritenuto che le informazioni generali fornite dalla maggior parte delle aziende non consentono ai lettori di comprendere il loro impatto e, per estensione, il loro sviluppo, come richiesto dalla Direttiva NFR.
I risultati più rilevanti della ricerca sono i seguenti:
– Per quanto riguarda il cambiamento climatico, il 90% delle aziende riferisce sui cambiamenti climatici, ma solo il 47% specifica chiaramente quali siano gli obiettivi perseguiti dalle proprie politiche ambientali ed in che modo gli stessi siano concretamente perseguiti. È considerato come un dato allarmante il fatto che solo il 26% delle società analizzate appartenenti ai settori dell’energia e a quello estrattivo abbia definito le proprie azioni per diminuire le emissioni di gas a effetto serra in linea con quanto previsto dall’Accordo di Parigi (mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2° rispetto ai livelli preindustriali). Al riguardo, si ritiene che gli interventi legislativi dovrebbero chiarire quali informazioni debbano essere contenute nei piani di transizione a lungo termine delle società verso un’economia a zero emissioni di carbonio e le loro implicazioni economiche.
– Circa le problematiche ambientali, le aziende in esame hanno riferito su temi come l’utilizzo di risorse idriche, l’inquinamento, i rifiuti e, in misura minore, la biodiversità, ma alcuni aspetti chiave sono stati trascurati. Questi aspetti includono, ad esempio, l’inquinamento causato dai trasporti, che è menzionato dal 21% delle aziende, o il consumo di acqua e i rischi nelle aree dotate di scarse risorse idriche e di confine, segnalate solo dal 24% delle aziende in esame.
– Sul tema delle questioni legate ai lavoratori e alle problematiche sociali, la maggior parte delle aziende riporta indicatori legati ai propri dipendenti diretti, mentre raramente sono fornite informazioni sui lavoratori esternalizzati, che rappresentano la parte più vulnerabile della forza lavoro delle aziende. La selezione di questi indicatori è, tuttavia, lungi dall’essere standardizzata. La maggior parte delle aziende fornisce informazioni sul numero di dipendenti (92%), equilibrio generale di genere (81%), politiche antidiscriminatorie (79%), salute e sicurezza (80%). Un numero interiore di aziende rivela informazioni più dettagliate sugli effetti delle proprie politiche (il 36% riferisce di miglioramenti conseguenti alle politiche antidiscriminatorie intraprese) e pochissimi forniscono informazioni paese per paese su questioni delicate quali pari opportunità (6%) e libertà di associazione dei lavoratori (10%). Vale anche la pena notare che il 39% delle aziende non ha fornito informazioni sulla capacità dei propri dipendenti di esprimere preoccupazioni senza timori di subire ripercussioni.
– Diritti umani: Oltre il 90% delle aziende esprime il proprio impegno a rispettare i diritti umani e il 70% si impegna a garantire la protezione dei diritti umani anche nelle proprie catene di approvvigionamento. Tuttavia, solo il 36% descrive il proprio sistema di due diligence dei diritti umani e il 10% descrive esempi o indicatori di una gestione efficace di tali questioni. Le aziende segnalano comunemente informazioni sugli audit sui diritti umani (58%), ma la divulgazione dei risultati è molto meno comune (25%), così come la divulgazione delle azioni conseguentemente adottate (16%). Analogamente, solo l’8% delle aziende discute i limiti degli audit nel valutare l’impatto della propria attività sui diritti umani, nonostante gli stessi siano universalmente riconosciuti, come dimostrato dal crollo del Rana Plaza nel 2013 e da innumerevoli altri incidenti che nel corso del tempo sono stati registrati nelle fabbriche delle società controllate.
– Lotta alla corruzione: Come mostrato in tutta la ricerca, vi è una notevole attenzione alla divulgazione dei programmi anti-corruzione; i risultati delle valutazioni mostrano un alto livello di rendicontazione dell’impegno contro la corruzione (91%), disciplina del whistleblowing (76%), programmi di formazione (75%) e regole su regali e ospitalità (73%). Nonostante ciò, un numero relativamente basso di aziende spiega effettivamente i principali elementi propri programmi anticorruzione (62%). Per quanto riguarda le informazioni sull’influenza politica, va notato che il 54% delle aziende rivela le proprie politiche in merito al divieto o alla divulgazione di contributi politici. Tuttavia, pochissime aziende divulgano informazioni sui propri sforzi per influenzare le politiche pubbliche (solo il 10% rivela le proprie spese di lobby).
Come dimostrato dalla ricerca, allo stato attuale il reporting di sostenibilità aziendale non consente agli investitori e agli altri stakeholders di comprendere gli impatti e i rischi delle società e le loro strategie per affrontarli; tale pratica è alimentata dal fatto che né la direttiva NFR né le linee guida includano requisiti chiari per la forma della dichiarazione non finanziaria.
La soluzione a questa situazione sarebbe quella di migliorare la specificità della direttiva NFR in relazione alle informazioni che le società dovrebbero divulgare. I risultati della menzionata ricerca suggeriscono ulteriori modifiche che migliorerebbero l’attuazione della direttiva NFR e che dovrebbero essere prese in considerazione. Esse comprendono:
– un maggiore controllo da parte dei governi nazionali;
– la pubblicazione di un elenco di società destinatarie della direttiva con indicazione delle loro supply chains per consentire il monitoraggio di terze parti;
– fornire alla società civile strumenti per richiedere il rispetto della normativa.
Per consultare il testo integrale del report (in lingua inglese), si veda: http://allianceforcorporatetransparency.org/assets/2018_Research_Report_Alliance_Corporate_Transparency-66d0af6a05f153119e7cffe6df2f11b094affe9aaf4b13ae14db04e395c54a84.pdf