“LibriLiberi”. Tre figlie di Eva
di Alessandra Montesanto
Istanbul e Oxford: due città che rappresentano la Vecchia Europa e i suoi ideali e quella di un possibile Futuro, contaminata, interculturale. Due città raccontate attraverso i ricordi di Peri, giovane donna sposata con tre figli legata indissolubilmente ad altre due, sue ex compagne di università: Mona e Shirin. E un uomo, il professor Azur.
Peri è cresciuta tra la Fede islamica intransigente e bigotta della madre e il laicismo aperto del padre; Mona è americana, di origini egiziane, musulmana osservante; Shirin, la bella iraniana, atea convinta. E poi entra in scena, a sparigliare le carte in questo gruppo femminile e disomogeneo, colui che pretende di dissertare di Dio, chiedendo assoluta franchezza, mancanza di pregiudizi e apertura mentale: “Aveva preteso di trasformare Dio in una lingua che potesse essere, se non parlata, almeno compresa e condivisa da molti…Se spogliata di ogni etichetta e dogma, poteva la ricerca di Dio diventare un campo neutro in cui tutti, atei e politeisti compresi, partecipassero ad un dibattito ad alto livello?”. Impresa ardua, certo, idea bizzarra che si pone, però, come una soluzione possibile ai gravi problemi alla base di quello che alcuni definiscono, oggi, uno “scontro di civiltà”.
La questione di Dio è al centro, quindi, dell’ultimo romanzo di Elif Shafak – una delle voci più importanti della narrativa turca, già nota in Italia per il romanzo La bastarda di Istanbul – che qui, con Tre figlie di Eva (Best Bur), torna ad interrogarsi sul rapporto tra la Turchia e l’Occidente, paragonando lo stato di tutela dei diritti umani e civili e le condizioni di vita del genere femminile; raccontando come si può sentire una ragazza che ha lasciato il proprio Paese d’origine e che deve inserirsi in una nuova realtà, a lei molto estranea; confrontando il concetto di “democrazia” in base a opinioni e voci diverse: “Il fratello del nostro autista, al paesello, ha otto figli, e fra tutti quanti non avranno letto neanche un libro, eppure fanno dieci voti! In Europa la gente ha studiato e la democrazia non fa danni, ma in Medioriente è tutta un’altra storia! Far votare gli ignoranti è come dare i fiammiferi ai bambini: c’è il rischio che vada a fuoco la casa”.
A tratti con ironia, ma anche con una buona dose di mistero che trattiene fino al termine del libro, l’autrice, come il Prof. Azur, chiede al lettore di mettere in discussione le proprie certezze, di essere attivo nel prendere una posizione tra le tante proposte su argomenti universali e di stretta attualità, non ultimo quello della Giustizia.
Il romanzo, infine, è ricco di citazioni e riferimenti a grandi poeti delle due culture di cui si parla (Rilke, Rabi’a, Hafez) forse perchè anche nella Poesia si possono cercare Dio o il senso di Giustizia.