Transgender egiziana arrestata: forse in una cella maschile, rischia violenze e abusi
Malak al-Kashif, egiziana di 19 anni, da circa tre anni sta cercando di far modificare il genere sul certificato di nascita, senza successo. Pochi giorni fa, proprio per questo motivo, è stata trascinata via dalla National Security, i servizi di sicurezza egiziani, dalla sua casa a Giza ed è stata arrestata. E’ stata portata in cella con altre 70 persone per aver protestato dopo l’incidente ferroviario alla stazione Ramses del Cairo che ha provocato quasi 30 morti e per lei è stato l’inizio di un incubo per la paura (espressa anche dai suoi familiari e dal suo avvocato) di abusi e violenze a cui potrebbe venire sottoposta in carcere; si teme, infatti, che sia in una prigione maschile: sulla carta d’identità è registrata come uomo e quindi è alto il rischio di violenza sessuale da parte di agenti e detenuti.
Dal 2017 Malak racconta su stampa e social la sua transizione da uomo a donna. Fino all’estate 2018 quando tentò il suicidio dopo abusi negli uffici pubblici e molestie per strada:
«Non perché sono trans – disse poi in un’intervista – ma perché è la società che mi ha ucciso, mi rigetta, mi fa male, mi arresta». E, forse, proprio per la sua celebrità e le sue apparizioni i servizi segreti hanno atteso ad arrestarla, aspettando appunto la protesta pacifica a cui aveva preso parte.
In Egitto, come in altri Paesi, la comunità LGBT è vittima di continue violenze, e anche la Polizia non se ne preoccupa, anzi. L’Egitto porta avanti da tempo una vera e propria campagna contro le persone Lgbtqi. I casi più eclatanti li ricorda Il Manifesto:
-75 arrestati nel 2017 per aver sventolato una bandiera arcobaleno al concerto del gruppo libanese Mashrou’ Leila, al Cairo
-la condanna a un anno dell’anchorman Mohamed al-Ghaity per aver intervistato un omosessuale (una legge del 2017 vieta di far apparire sulla stampa Lgbtqi), questo nonostante sia un noto sostenitore del governo e abbia usato l’intervistato per «dimostrare» che l’omosessualità è una malattia.
Oppure, l’arresto di Mohamed al-Ghaity, un noto conduttore televisivo che aveva invitato nella sua trasmissione un ragazzo omosessuale.
La realtà degli abusi nei confronti degli omosessuali e dei transgender, in Egitto, è radicata, anche se lo Stato non li considera reati veri e propri; certo è che la Polizia, tramite i servizi segreti, continua a fare retate, a incarcerare e a torturare, confermando la durezza e l’ipocrisia del Potere.