“Imprese e diritti umani”. Diritto all’acqua e responsabilità d’impresa
di
di Fabiana Brigante
“Tre persone su dieci non hanno accesso ad acqua potabile sicura. Circa la metà delle persone che consumano acqua proveniente da fonti non protette vive nell’Africa sub-sahariana. Sei persone su dieci non hanno accesso a servizi igienico-sanitari sicuri e una persona su nove pratica la defecazione all’aperto.” Sono queste le cifre registrate nel rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche del 2019, che sul tema lancia un monito: “Nessuno sia lasciato indietro”.
Il 22 marzo è stata celebrata la Giornata Mondiale dell’Acqua. La ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite in seguito alla Conferenza di Rio e alla predisposizione della “Agenda 21”, un piano d’azione per lo sviluppo sostenibile da realizzare su scala globale. Con una risoluzione adottata nel dicembre del 1992 (A/RES/47/193), infatti, l’Assemblea Generale invitava gli stati a dedicare tale giornata “ad attività concrete quali la promozione della consapevolezza pubblica attraverso la pubblicazione e la diffusione di documentari e l’organizzazione di conferenze, tavole rotonde, seminari ed esposizioni relative alla conservazione e allo sviluppo delle risorse idriche e l’attuazione delle raccomandazioni dell’Agenda 21”. L’obiettivo di questa giornata è dunque quello di richiamare l’opinione pubblica sull’importanza imprescindibile di questo bene primario per eccellenza, promuovendo al contempo la gestione sostenibile delle risorse idriche.
Ma cosa si intende per “diritto all’acqua” e come possono agire le imprese al fine di non pregiudicare il godimento di questo diritto?
L’acqua è un bene pubblico, essenziale per la vita. Il rapporto delle Nazioni Unite spiega che il suo consumo è aumentato in tutto il mondo di circa l’1% all’anno dagli anni ‘80, spinto da una combinazione di crescita della popolazione, sviluppo socio-economico e cambiamenti nei modelli di consumo. Si prevede che la domanda globale di acqua continuerà ad aumentare a un tasso simile fino al 2050, con un aumento del 20-30% superiore al livello attuale di utilizzo dell’acqua, principalmente a causa dell’aumento della domanda nei settori industriale e domestico. A ciò si aggiunga che le risorse idriche sono inquinate o mal gestite, causando un ulteriore impoverimento delle fonti d’acqua sicure.
Il diritto all’acqua è stato esplicitamente riconosciuto in una serie di strumenti internazionali. Esso è anche condizione per garantire la realizzazione di altri diritti quali il diritto alla vita, contenuto, tra gli altri, nel Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (1966), e il diritto alla salute, al cibo e ad un adeguato tenore di vita, incluso nel Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (1966). Il riferimento esplicito al diritto all’acqua è contenuto in due convenzioni internazionali sui diritti umani:
• La Convenzione sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (1979), al suo Articolo 14(2) dispone che “Gli Stati parti adottano tutte le misure appropriate per eliminare la discriminazione nei confronti delle donne nelle zone rurali, al fine di garantire, sulla base della parità tra uomini e donne, la loro partecipazione allo sviluppo rurale ed ai suoi benefici, in particolare garantendo loro il diritto: […](h) di beneficiare di condizioni di vita decenti, in particolare per quanto concerne l’alloggio, il risanamento, la fornitura dell’acqua e dell’elettricità, i trasporti e le comunicazioni.”
• La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia (1989), la quale cita il diritto all’acqua nel suo Articolo 24, il quale prevede che “1. Gli Stati parti riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi. 2. Gli Stati parti si sforzano di garantire l’attuazione integrale del summenzionato diritto e in particolare adottano ogni adeguato provvedimento per: […]c) lottare contro la malattia e la malnutrizione, anche nell’ambito delle cure sanitarie primarie, in particolare mediante l’utilizzazione di tecniche agevolmente disponibili e la fornitura di alimenti nutritivi e di acqua potabile, tenendo conto dei pericoli e dei rischi di inquinamento dell’ambiente naturale[…].”
Il Commento Generale No.15 del Comitato ONU sui Diritti Economici Sociali e Culturali (CESCR) è il primo documento ufficiale delle Nazioni Unite che espone in dettaglio il contenuto del diritto all’acqua. I “General Comments” non sono altro che interpretazioni delle disposizioni di un trattato, fornite da organismi previsti dal trattato stesso. Essi cercano di chiarire determinati aspetti e suggeriscono approcci da seguire da parte degli Stati Parti per l’attuazione delle disposizioni del trattato. Il Commento Generale No. 15 è stato adottato nel 2002 e si concentra sugli Articoli 11 e 12 del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, i quali trattano, rispettivamente, il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato e il diritto a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che egli sia in grado di conseguire.
Il Commento afferma chiaramente che il diritto all’acqua è indispensabile per un adeguato tenore di vita in quanto è una delle condizioni fondamentali per la sopravvivenza: “Il diritto umano all’acqua autorizza tutti a disporre di acqua sufficiente, sicura, accettabile, accessibile fisicamente e accessibile per uso personale e domestico. È necessaria una quantità adeguata di acqua sicura per prevenire la morte per disidratazione, ridurre il rischio di malattie legate all’acqua e provvedere al consumo, alla cottura, alle esigenze igieniche personali e domestiche”.
Il Comitato inoltre precisa i seguenti fattori che devono essere presenti affinché possa ritenersi rispettato il diritto all’acqua:
– Disponibilità: Una quantità adeguata di acqua deve essere disponibile per ogni individuo per usi personali e domestici secondo le linee guida internazionali.
– Qualità: L’acqua deve essere sicura, quindi priva di microrganismi e sostanze chimiche che costituiscono una minaccia per la salute; dovrebbe essere inoltre di un colore, odore e sapore accettabili.
– Accessibilità: Intesa come accessibilità sia fisica che economica. Nel primo senso si intende che le strutture e i servizi idrici devono essere accessibili a tutti senza alcuna forma di discriminazione. Per accessibilità economica si intende invece che i costi e gli oneri diretti e indiretti associati all’utilizzo di risorse idriche non devono essere eccessivamente onerosi in modo da pregiudicare il godimento del suddetto diritto.
Il diritto all’acqua, al pari di tutti i diritti umani, impone tre imperativi agli Stati:
– Rispettare: Gli Stati devono astenersi dal porre in essere condotte che possano interferire con il godimento del diritto da parte degli individui;
– Proteggere: Gli Stati devono proteggere il diritto all’acqua degli individui dalle possibili interferenze esterne, ad esempio contrastando l’inquinamento.
– Adempiere. Gli Stati devono adottare le misure necessarie per la piena realizzazione del diritto, ad esempio attraverso l’adozione di misure legislative.
Nel contesto appena delineato, risulta chiaro che anche le imprese giocano un ruolo importante nella realizzazione del diritto all’acqua. Ad esempio, tale diritto verrebbe irrimediabilmente compromesso qualora l’impresa, nello svolgimento della propria attività, inquinasse un corso d’acqua sito in prossimità di una comunità che trova in quella fonte il proprio sostentamento. Negli ultimi decenni, in effetti, vi è stato un numero crescente di prove che dimostrano che l’impatto delle attività aziendali sulle comunità povere nei paesi in via di sviluppo può portare alla violazione del diritto degli individui all’acqua. L’organizzazione non governativa FIAN International riferisce che una società privata avrebbe contaminato l’acqua nel bacino del fiume Chambira in Perù. L’organizzazione riporta anche che due impianti di imbottigliamento della Coca Cola in Kerala (India) e Tamil Nadu (India) erano presumibilmente coinvolti nell’esaurimento e nella contaminazione delle acque sotterranee. Posto dunque che l’attività d’impresa può senz’altro intervenire a comprimere questo diritto fondamentale, si pone il problema di individuare se e quali siano gli obblighi che gravano sulle imprese per assicurare che la propria attività commerciale non incida in maniera negativa sul godimento del diritto all’acqua.
Come è stato esposto in precedenza nella presente rubrica, l’adozione delle UNGPs (Principi Guida dell’ONU in materia di diritti umani e imprese multinazionali) nel 2011 aveva già fornito una risposta positiva in tal senso. Uno dei ‘pilastri’ delle Guidelines si occupa infatti della responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani.
La responsabilità delle imprese di rispettare il diritto all’acqua si traduce nell’obbligo per le stesse di astenersi dall’interferire con il godimento di questo diritto. Ciò include sicuramente il divieto per tutti i propri agenti di limitare l’accesso e l’utilizzo delle risorse idriche da parte degli individui ad esse esterni, ma anche l’obbligo di adottare le misure necessarie per garantire il godimento di tale diritto. Nel 2009 PepsiCo è diventata una delle prime società multinazionali a impegnarsi pubblicamente a rispettare il diritto all’acqua in tutte le sue operazioni globali. Questo impegno, guidato in parte dalla risoluzione di un azionista e dalla collaborazione con NorthStar Asset Management, richiede all’azienda di agire in modo proattivo per garantire che le sue strutture non danneggino l’accesso di tutte le comunità a risorse idriche sufficienti e pulite, oltre a fornire a tali comunità ruolo significativo nello sviluppo di processi che estraggono l’acqua dalle forniture condivise. Questi obiettivi possono essere raggiunti riducendo il consumo di acqua, in particolare in luoghi vi è scarsità di questa risorsa, migliorando il trattamento delle acque reflue, effettuando valutazioni d’impatto ambientale e comunicando regolarmente con le comunità potenzialmente colpite.
Oltre a sviluppare politiche aziendali inclusive del diritto all’acqua, le imprese devono mettere in atto procedure di due diligence che consentano di valutare gli impatti negativi che la propria attività commerciale potrebbe avere sul godimento di questo diritto. In ogni caso, devono essere messi a disposizione delle vittime attuali e potenziali rimedi adeguati per porre fine alle eventuali violazioni. Nel fare ciò, le imprese sono chiamate a consultare esperti, utilizzare altre risorse e impegnarsi in modo significativo con le parti interessate. Ad esempio, le aziende devono assicurarsi di consultare non solo i leader della comunità, che tendono ad essere uomini, ma anche donne, minori e soggetti con disabilità. È fondamentale interagire e collaborare con le comunità e le altre parti interessate nel definire l’ambito e la natura dell’impatto dell’attività d’impresa sul diritto al godimento delle risorse idriche. L’adozione di strategie comuni da parte di tutti gli attori in gioco può senz’altro tradursi in benefici; un esempio in tal senso è rappresentato dal Kenya, sulle sponde del lago Naivasha, tradizionalmente una risorsa preziosa per l’irrigazione, la pesca e l’agricoltura. A causa dell’inquinamento e del declino della biodiversità, il bacino è stato messo sotto stress, mettendo a repentaglio i mezzi di sussistenza. Vi sono grandi irrigatori che conducono l’orticoltura commerciale, i pastori che vivono un’esistenza nomade nella regione, una vivace industria del turismo, fornitori di servizi idrici che forniscono acqua potabile ai residenti locali e utenti commerciali che usano l’acqua per elettricità geotermica. Data la presenza di diversi attori con interessi diversi, era necessario adottare un approccio collettivo per affrontare il problema della deficienza idrica nella regione. Questo si è tradotto in diverse iniziative, quali quella del gruppo dei coltivatori del lago Naivasha, che comprende diverse società, i quali hanno finanziato un piano di assegnazione delle risorse idriche per guidare l’istituzione di più associazioni locali di utenti di risorse idriche e nell’adottare misure di conservazione dell’acqua e strategie di sostentamento rispettose dell’ambiente.
Una gestione efficace delle risorse idriche è una condizione essenziale al fine di limitare al massimo le conseguenze negative dell’attività d’impresa; stabilire obiettivi trasparenti che riducano la quantità di acqua utilizzata nei processi produttivi e adottare misure per prevenire l’inquinamento dei sistemi idrici dovrebbe essere una pratica adottata da tutti gli operatori. Nell’ambito delle proprie procedure di due diligence le imprese dovrebbero studiare il probabile impatto delle loro operazioni sull’accesso pubblico all’acqua per uso domestico; ciò è possibile, ad esempio, studiando i modelli di accesso operando una distinzione per genere al fine di garantire che donne e uomini abbiano uguali possibilità di usufruire di questa risorsa.
Nel valutare l’impatto della propria attività sull’effettivo godimento del diritto all’acqua, le imprese dovrebbero confrontare le proprie metodologie con le migliori pratiche disponibili e cercare di colmare le eventuali lacune esistenti. Quando siano identificati impatti negativi effettivi o potenziali sul diritto all’acqua, le imprese dovrebbero prevenirli o attenuarli; ciò ha come conseguenza anche l’assegnazione di chiare linee di responsabilità tra i vari soggetti agenti all’interno dell’impresa, nonché l’introduzione di meccanismi efficaci di supervisione. L’effettiva integrazione del diritto all’acqua (e, più in generale, dei diritti umani) da parte delle imprese richiede tempo e risorse; tuttavia, possono essere segnalati casi in cui sono stati registrati progressi. La Coca-Cola, ad esempio, ha lanciato uno standard aziendale che richiede che ciascuno dei suoi impianti di imbottigliamento valuti la sostenibilità delle risorse idriche utilizzate per produrre le sue bevande, nonché la sostenibilità delle risorse idriche utilizzate dalla comunità circostante. Queste valutazioni delle acque sorgive contribuiscono a comprendere e promuovere meglio la gestione delle risorse idriche per le attività produttive dell’azienda e a sviluppare strategie per ridurre i rischi associati. Nell’ambito di questo programma, tutti gli impianti di produzione sono tenuti a: i) formare un team di gestione delle risorse idriche; ii) collaborare con gli esperti delle risorse idriche per completare una valutazione dei rischi per tutte le acque di sorgente coinvolte nel processo; iii) preparare un piano di protezione delle acque specificando azioni, ruoli, responsabilità e finanziamento; iv) implementare e aggiornare il suddetto piano con intervalli di cinque anni. La società fornisce linee guida, modelli di pianificazione, liste di preparazione e corsi di formazione per facilitare l’impegno e l’attuazione di questo programma.
Le percezioni politiche e della comunità sono spesso fondamentali: una impresa può mantenere la sua “licenza sociale per operare” se le parti interessate e il pubblico ritengono che essa agisca in modo equo o sia veramente impegnata a rispettare i diritti umani. Ciò richiede alle aziende di agire in modo trasparente, non solo in termini di reporting, ma anche nel loro impegno attivo nel proteggere i diritti umani. Sono necessari investimenti privati continui e coordinati in acqua e servizi igienici per raggiungere gruppi di persone molto povere o marginalizzate. Molte aziende stanno già apportando contributi preziosi agli sforzi volti ad ampliare l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari nei paesi in via di sviluppo. Un esempio che può essere citato è quello del programma Water of Life lanciato da Diageo, impresa londinese produttrice di alcolici. Il programma, lanciato nel 2006, aveva come obiettivo quello di aiutare un milione di persone l’anno, sostenendo progetti nelle aree rurali dove la stessa si approvvigionava delle materie prime, concentrandosi sull’accesso all’acqua ed ai servizi igienico sanitari.
Ad oggi, risulta chiaro che il diritto all’acqua non è un diritto di tutti come invece dovrebbe essere. L’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile, il quale ambisce a garantire a tutti gli individui la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie, è lontano dall’essere raggiunto. Per farlo, è necessario un impegno congiunto degli Stati, attori privati ed individui, uniti da un unico scopo: non lasciare indietro nessuno.