Centro Astalli. Crescita, evoluzione, sviluppo. I cambiamenti operati dall’accoglienza
L’accoglienza di migranti gode di maggiore o minor consenso nei diversi contesti sociali, come abbiamo visto negli ultimi anni, condizionato da svariati elementi più o meno strettamente intrecciati: paura di un’invasione; crisi economica; sensibilizzazione mediatica riguardo ai conflitti in corso (pensiamo a quello siriano); emersione a livello mondiale di sovranismi con gli slogan del «prima noi»; ampliamento della forbice sociale non solo tra le diverse regioni del mondo, ma anche all’interno della stessa nazione; una comunicazione che presenta come spreco di risorse l’investimento per l’accoglienza di non cittadini.
Eppure l’accoglienza, come ha dimostrato l’esperienza di anni, se pensata con lungimiranza e nella sua complessità può divenire strumento di crescita, evoluzione e sviluppo perché neutralizza proprio quelle grandi forze disgregatrici che a livello macro sono state fattori determinanti per la partenza di migranti forzati dal loro Paese: l’ingiustizia e i conflitti. Parte di un buon processo di accoglienza infatti è riorganizzare e incanalare all’interno dei territori le forze e le energie legate alla paura di perdere per sé servizi e risorse e di confrontarsi con la diversità. Ciò è possibile solo nei contesti locali, dove si vive la quotidianità delle relazioni, dove si affronta l’esistenza nella puntualità delle situazioni che si presentano giorno dopo giorno, dove il dialogo della vita si gioca in piccoli gesti, nelle risposte a necessità concrete e misurabili, a situazioni esistenziali quali la malattia e il disagio mentale. L’accoglienza richiede di coniugare la complessità del fenomeno migratorio con la complessità del reale, comporta l’incontro di persone ma ha bisogno della creatività di contesti locali che abbiano la voglia e il coraggio di lasciarsi attraversare da presenze inattese. Quando queste condizioni si verificano l’accoglienza, accompagnata con sapienza, può generare la novità di società ancora più ricche in umanità e spesso anche di risorse economiche e di servizi alla persona. La complessità, cifra caratterizzante del fenomeno migratorio e di conseguenza – necessariamente – dell’accoglienza, ha bisogno non solo di un approccio multidisciplinare e di una governance multilivello, ma anche di un sincero spirito di collaborazione di tutti gli attori in vista di un orizzonte comune, di un obiettivo che abbia senso per tutti: nel caso specifico, la speranza di un futuro di convivenza pacifica e fruttuosa. In un suo libro Richard Sennet scriveva: «La collaborazione può avvenire anche in maniera informale, la gente che si ferma per strada a far due chiacchiere o si incontra al bar e parla del più e del meno non pensa consapevolmente ‘Ecco, sto collaborando’. L’atto di collaborazione si riveste dell’esperienza del piacere condiviso»1. Per arrivare a questo punto il cammino è lento e si nutre del graduale apprendimento del sapersi mettere reciprocamente nei panni dell’altro. La capacità di accoglienza, come in una circolarità ermeneutica, è presupposto culturale ma anche conseguenza, e più si procede in esperienze di accoglienza più la sfida culturale dell’accoglienza si radica nei territori grazie alla collaborazione di Stato, ente locale, privato sociale, volontariato, in un esercizio di cittadinanza attiva che non è virtuale ma virtuoso. Le pagine che seguiranno danno conto di tutto questo lento processo, che è l’unica via generativa del futuro.
Questa l’introduzione di Camillo Ripamonti, Presidente del Centro Astalli, alla pubblicazione “Accoglienza. Crescita, evoluzione, sviluppo. I cambiamenti operati dall’accoglienza” uno studio a cura del Centro Astalli ancora più attuale che mai.
Per leggere e consultare il testo: http://centroastalli.it/wp-content/uploads/2018/11/I-Cambiamenti-operati-dallaccoglienza-DEF11.18.pdf