Venezuela: La rete del terrore (Parte I)
di Tini Codazzi
Premessa
In America Latina il potere militare è sempre stato messo in discussione. Il sud del continente è stato attraversato da molti regimi militari che hanno cambiato completamente la storia di alcuni paesi, come per esempio Argentina, Uruguay, Cile, Paraguay, Brasile, Cuba… e adesso Venezuela. Al contrario di come dovrebbe essere, l’approccio con le forze armate, per molti di noi, era ed è tutt’ora difficile, c’è una diffidenza di base, sono persone che sempre hanno abusato della loro posizione di potere e forza, che hanno massacrato popolazioni, che non hanno rispettato i diritti basilari dell’individuo. Quando si conoscono persone che hanno subito torture e abusi da parte di militari, si capisce il modus operandi che sempre li ha caratterizzati, cioè: infrangere paura approfittando della loro forza e della loro posizione di potere, questa è la caratteristica più evidente, sono i possessori delle armi e con queste si fa quello che si vuole, sottomettendo in modo assoluto la popolazione civile. Ci sono eccezioni, come sempre, ne conosco una, ma di solito, fidarsi di un militare in America Latina è una impresa molto difficile. In particolare, in Venezuela, i militari hanno sempre complottato contro il governo di turno, sta di fatto che uno dei più grandi di tutti è stato il golpista Hugo Chavez, ex parà delle Forze Armate e responsabile di molte morti durante il colpo di stato del 1992.
Vorrei però dedicare queste linee ai prigionieri politici militari in Venezuela, a prescindere dalla mia diffidenza storica verso di loro. Si parla poco di questo tema perché è molto scottante e pericoloso, perché è meglio non fare nomi per proteggere i militari ribelli che sono nascosti o che stanno tentando di scappare ,e le loro famiglie. Anche per proteggere tanti ufficiali di polizia del SEBIN y del DGCIM che ancora sono dentro e devono fare il lavoro sporco anche se ormai non lo vogliono più fare. Oppure perché ancora dentro le file delle forze armate c’è un numero molto ampio di ufficiali e soldati che stanno dalla parte della democrazia, ma che ancora sono lì per fini strategici. Tutti i militari che sono prigionieri del regime si sono pronunciati, ribellati, hanno partecipato in tentativi di “golpe” contro il regime. Hanno tradito la patria e questo, per il regime è grave, si paga con il sangue e addirittura con la morte. Le torture e le vessazioni che soffrono da parte degli ufficiali degli organismi di repressione sono spaventose perché l’accanimento e la voglia di vendetta per aver tradito la patria è molto grande.
In Venezuela, in 20 anni di regime, prima con Hugo Chávez e adesso con Nicolás Maduro, civile ma che conta con l’appoggio della cupola delle Forze Armate, si è creata una grande rete di istituzioni militari al servizio del narco regime, che ha come obiettivo sottomettere e minacciare la popolazione che osa parlare o manifestare contro la dittatura; la principale è la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) con 5 componenti, tra cui la Guardia Nacional Bolivariana (GNB), creata nel lontano 1937 come organo di difesa civile, ma adesso sotto accusa per le innumerevoli violazioni dei diritti umani e per traffico internazionale di droga. E’ già stato dimostrato che la GNB coopera con i paramilitari o “colectivos” presenti nel paese. La Dirección General de Contrainteligencia Militar (DGCIM) fa parte di questa “rete del terrore” voluta dal regime Bolivariano, un’organizzazione di controspionaggio creata per impedire lo spionaggio interno ed esterno, ma che oggi si occupa di intimidire la popolazione civile e militare e quindi è responsabile di sequestri, torture e omicidi. Il cerchio si chiude con il Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional (SEBIN), organismo subalterno alla Vicepresidenza della Repubblica, creato nel 2010 da Hugo Chávez con l’obbiettivo di creare paura, una polizia mercenaria che sequestra, tortura e ammazza. La sua sede è il famoso carcere sotterraneo chiamato “La Tumba”, di cui abbiamo parlato diverse volte in queste pagine.
Il tema della repressione verso i militari è venuto a galla perché pochi mesi fa l’Istituto Casla ha presentato davanti all’Organizzazione degli Stati Americani, un report sulla situazione della repressione in Venezuela e un video registrato clandestinamente tra dicembre 2018 e gennaio 2019 dal tenente dell’aviazione ed ex funzionario della DGCIM Ronald Dugarte, che testimonia tutte le atrocità contro i prigionieri politici, soprattutto militari, nella sede della DGCIM a Caracas. Il tenente Dugarte ha rischiato la sua vita mettendo il cellulare nella tasca della divisa e aprendo un buco per registrare il video. Ha raccontato quello che succede ne “El Calabozo”, il carcere dove sono rinchiusi parecchi militari. Ha raccontato che pochi ufficiali possono entrare nelle celle adibite ai torturati e ha consegnato una lista con nomi e cognomi di torturatori, ha intravisto molte atrocità, ha sentito le urla disperate e i lamenti di dolore e ha deciso di aiutare queste persone e passare dall’altra parte. Dugarte ha affermato che li trattano come animali, che hanno diverse tecniche di tortura sia fisica che psicologica, non si forniscono cure mediche, è vietato uscire dalla cella, hanno frequentemente le mani legati alla schiena e gli occhi coperti da una sorta di maschera fatta con cartone e nastro adesivo. Nelle celle non c’è niente, soltanto un materasso per terra e tanta sporcizia e paura. Tutte queste prove adesso sono nelle mani della Corte Penale Internazionale.
In una di quelle celle si trova l’ex capitano della GNB Juan Carlos Caguaripano, che nel video si sente e si vede che parla con i custodi e si rifiuta di fare colazione perché ha dolori allo stomaco e ha urinato sangue. Sono due anni che si trova rinchiuso in cella e secondo i suoi avvocati e parenti viene sistematicamente torturato. Nessuno gli offre la possibilità di cure mediche. Quest’uomo ha un curriculum di tutto rispetto per quello che riguarda la ribellione. Già nel lontano 2008 era stato accusato di cospirazione e nel 2014 era stato sospeso definitivamente dalle forze armate, era scappato a Panama per poi tornare nel 2017 e dirigere l’assalto alla Fortezza Militare Pamaracay, situata nello Stato di Carabobo nel centro del paese. Caguaripano, insieme a una ventina di militari dissidenti, pubblicò un video chiedendo l’insurrezione civico- militare e fece irruzione nella Fortezza. Nel confronto armato morirono alcuni militari ed altri, tra cui Caguaripano, che sono stati catturati e torturati fino ad oggi.
Il Generale Raúl Baduel è un altro ufficiale di alto rango torturato dal regime. Fece parte per molti anni del circolo di fiducia di Hugo Chávez, essendo Ministro della Difesa tra il 2006 e il 2007, ma proprio quell’anno cominciò a esprimere pubblicamente le sue critiche alle decisioni arbitrarie a livello politico che prendeva il governo di allora e manifestando dissenso sulla riforma costituzionale. Nel 2009, il generale venne arrestato dagli agenti del DGCIM per corruzione e fu condannato a 8 anni di carcere per appropriazione indebita durante la sua gestione come ministro. Lui invece si dichiarò innocente di quel fatto e invece disse di essere un prigioniero di Hugo Chávez. Nel 2015 è stato messo in libertà condizionale per poi entrare di nuovo l’anno scorso nel seminterrato del Sebin, nella Tumba, ed essere vittima della tortura bianca tanto famigerata in questo posto infernale.
Caguaripano e Baduel sono due prigionieri conosciuti, alte cariche, ma in Venezuela c’è un esercito di militari torturati tra le sbarre, di cui pochi ne parlano. I parenti hanno iniziato una battaglia per denunciare le torture subite dai loro mariti, compagni, figli, padri… davanti all’Assemblea Nazionale e davanti alla stampa. I racconti dei parenti e degli avvocati sono agghiaccianti: polsi maltrattati, mani gonfie, costole fratturate, polvere di lacrimogeni versata nelle narici e negli occhi per poi mettere un passamontagna intorno al viso, rotule spaccate, botte nelle gambe fino a creare grandi ematomi, polsi legati a una corda che pende dal soffitto, pestaggi di varie entità, privazione di acqua-cibo-sonno, isolamento, posizioni forzate per lunghi periodi, abusi sessuali, scariche elettrice (soprattutto nei testicoli), asfissia. Tutto ciò in mezzo ad una assoluta mancanza di diritto penale. Prigionieri mai processati, udienze preliminari sempre rimandate e mai svolte. Molti degli avvocati che hanno avuto il coraggio di difendere i loro casi sono stati a loro volta intimiditi, minacciati, le loro famiglie arrestate. Quindi, cosa si può fare? Come si esce da questo buco nero? E’ un circolo vizioso che non ha uscita.
Come si sa, negli anni sono venute a galla tutte le violazioni di diritti umani orchestrate e fatte tutt’ora da questi organismi e piano piano, non solo i civili, ma anche tanti militari di diversi gradi e diverse componenti si sono ribellati al regime. Di fatto, il punto di forza per indebolire una dittatura militare è che la stessa forza armata si spacchi, si separi, perda fiducia in sé stessa e quindi salga il malcontento, il timore e la disperazione. Questo succede da diversi anni in Venezuela, sempre più spesso e sempre più forte. Lo scorso aprile, il Foro Penal ha pubblicato l’ultimo report sulla repressione in Venezuela. Due mesi fa c’erano 775 prigionieri politici di cui 99 militari. Il 3 giugno hanno aggiornato questa cifra a 793 persone. Invece la Coalizione per i Diritti Umani e la Democrazia ha dichiarato che il 2018 è stato l’anno record di arresti di militari in Venezuela: dei 163 militari prigionieri, 116 sono stati arrestati l’anno scorso. Istigazione alla ribellione, tradimento alla patria e reati contro il decoro militare sono i presunti delitti per cui si accusano queste persone. La maggior parte sono componenti dell’esercito e della GNB. Questa cifra supera enormemente il numero di militari arrestati da Hugo Chávez. In 14 anni di regime chavista, sono stati arrestati soltanto 13 militari, secondo la Fondazione per un Giusto Processo (Fundepro).
In ambito militare, essere in disaccordo su qualunque cosa e manifestarlo vuol dire correre un rischio ed essere perseguitato. Persino parlare di temi politici in riunioni potrebbe essere la scusa perfetta per accusare un soldato di atti di ribellione o tradimento alla patria. Parenti di militari denunciano che nelle caserme gli ufficiali controllano sistematicamente i cellulari. Il malcontento si castiga con la persecuzione e il risultato è isolamento, tortura e ritardi nei processi penali, per cui è da supporre che tra i soldati e i militari di basso rango imperi la paura per se stessi e per le loro famiglie e anche questa è una forma di tortura psicologica. La violazione sistematica di un giusto processo penale e dei diritti umani dei militari arrestati è stata sempre una costante in tutti e due i governi bolivariani.
Un altro punto importante che ha creato tanta ribellione è che i militari non stanno facendo il loro compito di salvaguardare le frontiere e/o mantenere l’ordine perché queste due cose sono nelle mani dei paramilitari. Non esiste più la meritocrazia in ambito militare, adesso tutte le promozioni dipendono dalla volontà del presidente usurpatore e dal G2 cubano. Ormai, il sistema è così corrotto e marcio che gran parte dei militari si vergogna di esserlo. A causa di tutto ciò e delle numerose richieste di sospensione e di disertori, questo è uno dei momenti più critici per il corpo delle forze armate venezuelane.
Un altro punto importante è quello delle diserzioni. L’attuale Ministro della Difesa Wladimir Padrino Lopez, fedelissimo di Maduro, dice che ci sono un centinaio di militari disertori. Questa cifra è stata subito smentita dal governo di Colombia, perché secondo il loro censimento sono più di 500 i militari che hanno abbandonato la divisa, attraversato la frontiera e chiesto asilo politico. Questo numero è decisamente minore in Brasile, perché si contano soltanto una ventina di militari, ma si stima che nei prossimi mesi questa cifra possa aumentare.
Quindi, le violazioni dei diritti di questi militari che sono anche cittadini venezuelani sono innumerevoli, vivono in uno stato di assoluta paura e frustrazione. Proprio come i cittadini civili, non hanno accesso a medicine e cibo, sono pagati male, non esiste più la meritocrazia, lavorano in uno stato di terrore costante, sono minacciati e anche le loro famiglie, non possono parlare e rischiano la prigione tutti i giorni, sapendo che la prigione per gente come loro ha un significato ancora più scuro. Abbiamo il dovere di parlare, di denunciare quello che questa fetta di venezuelani sta soffrendo.
Il Generale Simón Bolívar diceva: “Siempre es noble conspirar contra la tiranía, contra la usurpación y contra una guerra desoladora e inocua”. Parole che dopo quasi due secoli sembrano molto in vigore e forse lo sanno i militari e i funzionari della polizia che si trovano sequestrati da questo regime che non risparmia nessuno. Qualche parola in loro difesa bisogna farla, perché militari o civili, sono sempre persone.