A Mubarak onori, a Morsi il pavimento: come cancellare le ultime tracce delle rivolte egiziane del 2011
di Giuseppe Acconcia
Lo scorso lunedì l’ex presidente egiziano Mohammed Morsi è morto mentre era in corso un’udienza dei tanti processi che ha dovuto affrontare negli ultimi sei anni. Alcuni giornali hanno avanzato dubbi sulle circostanze della morte e think tank come Amnesty International e Human Rights Watch hanno chiesto un’indagine indipendente sulle cause della morte. Da mesi, giornalisti e politici avevano lanciato appelli denunciando le sue precarie condizioni di detenzione, puntando il dito soprattutto sulla sua condizione di diabetico sessantasettenne senza accesso alle dovute cure e costretto a passare ore e ore a dormire per terra in cella. Tutto questo mentre l’anziano ex presidente Hosni Mubarak è stato rilasciato nel 2014, tutte le accuse a suo carico sono andate via via cadendo e tutti i privilegi della sua carica sono stati ripristinati, nonostante gli episodi di corruzione, la chiusura del Partito nazional-democratico, i crimini commessi in trent’anni, le centinaia di morti in piazza Tahrir, lo stato di emergenza permanente.
Chi non ricorda la solerzia con cui i media egiziani davano notizia costantemente delle sue precarie condizioni per giustificarne il rilascio? Nessun media locale ha invece parlato della volontà di Morsi di confrontarsi a porte chiuse con i giudici per condividere informazioni riservate, come riportato da varie fonti. Di sicuro Morsi aveva notizie da rivelare, anche secondo la giustizia egiziana: uno dei capi di imputazione per l’ex presidente era spionaggio per il partito che governa la Striscia di Gaza Hamas, e per il movimento sciita libanese Hezbollah. Ma rispondiamo a due domande che resteranno forse senza risposta per molti anni: Morsi ha davvero governato l’Egitto nel suo anno al potere tra il 2012 e il 2013? Morsi ha portato gli islamisti al potere o ha fatto a pezzi la Fratellanza musulmana?
Morsi ha davvero governato nel suo anno al potere tra il 2012 e il 2013?
Con la morte di Morsi viene cancellata l’ultima traccia delle rivolte del 2011. L’ex presidente era lo scomodo residuo di una fase storica estremamente problematica per l’attuale regime militare egiziano che è iniziata con le proteste di piazza Tahrir del 25 gennaio 2011 ed è culminata con l’elezione del primo presidente democraticamente eletto della storia egiziana, con non poche manovre dietro le quinte, il 30 giugno 2012, e si è chiusa con il colpo di stato militare del 3 luglio 2013. Morsi è stato seppellito in fretta e furia il giorno dopo la sua morte a Medinat Nasser e sono stati vietati funerali pubblici a Sharqeya, la sua regione di origine, i cui abitanti hanno sempre votato in massa per la Fratellanza musulmana. Questa assenza di celebrazioni e di riconoscimenti per un presidente eletto fa sorgere un quesito molto serio, e cioè se Morsi sia mai stato veramente al potere in Egitto.
Di sicuro Morsi non godeva dell’ausilio del parlamento, a maggioranza islamista, che è stato sciolto immediatamente dopo la sua elezione per il solito gioco di concessioni e repressioni a cui la Fratellanza musulmana è stata sottoposta in Egitto prima del golpe del 2013. Non ha mai potuto contare sul sostegno dei giudici, e per questo aveva tentato il passo di estendere i poteri presidenziali bypassando il controllo della magistratura. Neppure esercito e polizia rispondevano alle richieste dell’ex presidente: al punto che gli islamisti stavano organizzando le loro ronde per mettere in sicurezza il palazzo presidenziale (Morsi è stato arrestato dalla guardia presidenziale), le sedi del partito Libertà e Giustizia e della confraternita. Non solo, lo stesso attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi, da ministro della Difesa del governo islamista, ha tradito la fiducia di Morsi chiedendone l’arresto e procedendo al golpe militare del 2013. L’unico successo dell’ex presidente egiziano è stata l’approvazione della Costituzione nel dicembre 2012, ma anche su questo ci sarebbe molto da dire. La Carta non è mai entrata in vigore, è stata criticata da giudici, attivisti e lavoratori, è stata approvata con i soli voti degli islamisti. Morsi ha poi concesso diritto di cittadinanza a siriani e palestinesi: provvedimento cancellato dal suo successore.
E così il presidente islamista è stato ridicolizzato in politica estera dai suoi detrattori: per le sue dichiarazioni sulla “distruzione” della Diga della rinascita in Etiopia, per le sue possibili concessioni sul triangolo di terra che divide Egitto e Sudan, per il suo atteggiamento meno appiattito sulle posizioni israeliane nell’operazione Pillar of Defense nel 2012. Infine, Morsi non ha mai ottenuto il sostegno dei rivoluzionari liberali e socialisti che non hanno accettato di formare un governo di coalizione con la Fratellanza musulmana dopo la sua elezione. Insomma, il primo presidente egiziano è stato manipolato e marginalizzato al punto che il suo anno al potere è stato cancellato con un tratto di penna anche dai libri di storia egiziana, come se non fosse mai esistito.
Morsi ha portato gli islamisti al potere o ha fatto a pezzi la Fratellanza musulmana?
Ora che l’ex presidente egiziano non c’è più, resta da domandarsi cosa ne sarà della Fratellanza musulmana egiziana e quale è stato il suo ruolo politico. Di sicuro Morsi ha segnato la storia della confraternita che per la prima volta nella sua storia di ottant’anni ha formato un partito politico, nonostante la sua fragilità dopo anni di repressione, ha partecipato al voto e vinto le elezioni. Chi può dimenticare la sua euforia alla vigilia della nomina a guida del partito, Libertà e Giustizia, che abbiamo potuto constatare di persona in un’intervista che ci ha rilasciato Morsi durante l’assemblea del partito nella città satellite del Cairo, 6 Ottobre, nel 2011. Non solo questo, la Fratellanza musulmana è stata essenziale per il movimento rivoluzionario che nel 2011 ha costretto alle dimissioni l’ex presidente Mubarak sia per le sue capacità organizzative sia per le sue capacità di mobilitazione. Una volta al potere i Fratelli musulmani hanno dimostrato di essere un movimento moderato-conservatore che può governare un paese come l’Egitto con il dovuto sostegno da parte delle istituzioni statali.
Morsi si è trovato involontariamente ad essere il leader in questa fase storica così delicata per il movimento dopo la defenestrazione, voluta dai militari, del vero leader carismatico della Fratellanza Khairat al-Shater. Purtroppo però sarà anche ricordato come il politico che ha riportato il movimento nell’illegalità e nell’inattività politica. Sono migliaia le condanne a morte decise contro gli islamisti dopo il golpe del 2013, le ultime nove sono state eseguite pochi mesi fa (sebbene prima del 2013 non si eseguissero le condanne a morte in Egitto) per l’attentato contro il procuratore generale Hesham Barakat nel 2015. Il partito Libertà e giustizia è stato sciolto e così anche la confraternita dopo gli attacchi alla polizia di Mansoura nel 2014. Scuole, ospedali e opere caritatevoli della Fratellanza sono state messe sotto controllo, congelati i beni dei businessman più influenti, chiusi i rubinetti dei finanziamenti dal Qatar, così come le sedi di al-Jazeera al Cairo. Eppure Morsi resta un simbolo di una breve epoca che non verrà dimenticata facilmente dai sostenitori della Fratellanza in tutto il mondo, inclusi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’emiro del Qatar, Tamim la-Thani, dalle centinaia di martiri di Rabaa al-Adaweya, il sit-in islamista riunitosi per affermare la sua legittimità nel quartiere residenziale di Medinat Nasser al Cairo, disperso nel sangue il 14 agosto 2013, dagli islamisti egiziani e non solo delle diaspore in Europa e negli Stati Uniti che hanno lasciato il paese in seguito alla repressione su larga scala decisa dal regime militare.
Nonostante un’economia al collasso, secondo i dati della Banca mondiale che attesta al 60% il numero di egiziani in condizioni di povertà o vulnerabilità, Al-Sisi governerà almeno fino al 2030, in seguito alla riforma costituzionale approvata nell’aprile 2019, Mubarak riceverà gli onori riservati ai presidenti, mentre nessun tributo è stato concesso a Morsi, pur sempre il primo presidente eletto della storia egiziana, in attesa che la Fratellanza musulmana egiziana si risvegli finalmente dal suo torpore.