“Imprese e diritti umani”. Toxic Nicotine
di Cecilia Grillo
Il 31 maggio 2019 il the Guardian ha pubblicato il report ‘I had pain all over my body: Italy’s tainted tobacco industry’.
L’inchiesta del quotidiano britannico si concentra principalmente sull’accusa a tre dei colossi produttori di tabacco: Philip Morris, British American Tobacco e Imperial Brands, che acquistano foglie di tabacco raccolte da migranti africani; i lavoratori dell’industria multimilionaria italiana spesso sottoposti a condizioni lavorative inique e perpetuo sfruttamento.
Il mercato del tabacco italiano – l’Italia è il principale produttore di tabacco all’interno dell’Unione Europea; secondo quanto riportato dall’organizzazione nazionale tabacco Italia (ONT), solo nel 2017 il valore della produzione di tabacco raggiungeva i 149 milioni di euro (131 milioni di sterline) – è dominato prevalentemente dalle tre multinazionali, che acquistano da produttori locali. In particolare le tre imprese hanno acquistato tre quinti del tabacco italiano nel 2017 (Philip Morris, da sola, 21.000 delle 50.000 tonnellate raccolte durante l’anno).
L’indagine del the Guardian, durata tre lunghi anni, mette per la prima volta sotto la lente di ingrandimento le condizioni lavorative e lo scarso rispetto dei diritti umani a cui sono sottoposti i lavoratori dell’industria del tabacco in Italia, ripercorrendo la catena di approvvigionamento fino ad arrivare alla raccolta delle foglie di tabacco.
La Campania, regione produttrice di quasi la metà del tabacco italiano, è al centro dell’inchiesta inglese. I bambini che lavorano nei contadi campani dichiarano di essere stati sottoposti a condizioni lavorative disumane: più di 12 ore di lavoro al giorno, mancanza di contratti e di qualsiasi genere di attrezzatura sanitaria e di sicurezza, salari irrisori.
Le imprese sono tenute a valutare, in linea con gli obblighi di dovuta diligenza connessi al rispetto dei diritti umani da parte delle società controllanti stabiliti negli UNGPs, non solo gli impatti diretti provocati dalla propria attività, ma anche quelli generati dalle attività delle loro catene di approvvigionamento sottoponendo al vaglio gli aspetti di responsabilità aziendale e diritti umani nella gestione della catena di fornitura, al fine di prevenire i relativi rischi e ridurre gli impatti negativi.
Le tre multinazionali intervistate hanno tuttavia riferito ai giornalisti del The Guardian di acquistare i prodotti necessari da fornitori che operano secondo un rigoroso codice etico e di condotta, anche al fine di assicurare un trattamento equo ai lavoratori, di non aver riscontrato alcun abuso e che avrebbero indagato su eventuali reclami portati alla loro attenzione.
Didier, uno dei lavoratori intervistati dal quotidiano britannico, neo-diciottenne nato e cresciuto in Costa d’Avorio e coltivatore di tabacco a Capua Vetere, nei pressi della città di Caserta, ha riferito: “Mi sono svegliato alle 4 del mattino. Abbiamo iniziato alle 6 del mattino, il lavoro è stato estenuante. Faceva molto caldo all’interno della serra e non avevamo contratti”.
Le testimonianze rispetto allo sfruttamento del lavoro minorile non provengono solo dal The Guardian, ma anche da organizzazioni quali Ilo, Human Rights Watch, il Dipartimento del Lavoro del Governo degli Stati Uniti; le stesse multinazionali produttrici tabacco hanno confermato di volersi impegnare per ridurre lo sfruttamento dei lavoratori.
L’Ilo denuncia il fenomeno dello sfruttamento minorile dell’industria produttrice di tabacco principalmente nelle regioni dell’Asia, Centro America e Africa dove i numeri dei lavoratori superano il milione (fra cui 300 mila minori di 14 anni). Qui i compensi si aggirano intorno ai 400 dollari l’anno, ossia 30 centesimi per kg di foglie (ogni kg di foglie di tabacco corrisponde a circa 1200 sigarette).
L’allarme del The Guardian e delle molteplici associazioni umanitarie non si sofferma solo sullo sfruttamento dei lavoratori nell’ambito della produzione di tabacco, ma pone l’accento anche sulle conseguenze sanitarie che tale industria produce soprattutto nei confronti dei minori che, lavorando a stretto contatto con le foglie di tabacco e con altre sostanze nocive (diserbanti e pesticidi) rischiano di essere compromessi nel proprio sviluppo neurologico.
Human Rights Watch in “The Harvest is in My Blood”, report che analizza gli effetti del tabacco sulla salute, sull’ambiente e sui lavoratori, evidenzia come studi e analisi dimostrino che qualsiasi lavoro che implichi un contatto diretto con il tabacco in qualsiasi forma dovrebbe essere vietato ai bambini: la nicotina è presente in tutte le parti delle piante e delle foglie di tabacco, durante tutte le fasi della produzione: i lavoratori assorbono la nicotina attraverso la pelle mentre maneggiano il tabacco, in particolare quando la pianta è bagnata.
Diversi studi hanno rilevato che i lavoratori di tabacco adulti non fumatori hanno livelli di nicotina nei loro organismi equivalenti a quelli dei fumatori, l’esposizione costante alla tossina della nicotina è stata associata a conseguenze negative permanenti sullo sviluppo celebrale.
Anche se gli effetti a lungo termine del lavoro a stretto contatto con il tabacco in età infantile non sono ancora supportati da studi scientifici, nel report di Human Rights Watch viene evidenziato, anche sulla base di indagini sperimentali, come l’esposizione alla nicotina prima dei 18 anni possa compromettere lo sviluppo cerebrale e provocare deficit neurologici.
In un’altra intervista del the Guardian Alex, un ragazzo originario del Ghana, ha riferito di non essere stato dotato, sul posto di lavoro, di guanti o indumenti da lavoro idonei per proteggerlo dalla nicotina contenuta nelle foglie o dai pesticidi e che quando lavorava senza guanti sentiva “una malattia come febbre, come la malaria, o mal di testa”.
Secondo uno studio, Green Tobacco Sickness in Children and Adolescents, l’umidità presente su una foglia di tabacco – rugiada o pioggia – può contenere tanta nicotina quanto il contenuto di sei sigarette e il contatto diretto può portare all’avvelenamento da nicotina.
La maggior parte dei migranti intervistati ha dichiarato di aver lavorato senza guanti perché non gli sono stati forniti dai datori di lavoro e di non averli potuti acquistare a causa dei bassissimi salari.
Alla fine della giornata lavorativa, ha riferito alla testata inglese Sekou, 27 anni, originario della Guinea, lavoratore nei campi di tabacco dal 2016 “Non potevo mettere le mani in acqua per fare la doccia perché le mie mani erano tagliate”.
I lavoratori nei campi di tabacco intervistati dal the Guardian hanno affermato di non avere stipulato contratti lavorativi (l’80% dei lavoratori senza contratto sono migranti, secondo quanto riportato nel report Exploited and invisible: what role for migrant workers in our food system?) e di essere stati pagati la metà dei salari minimi, 42 euro al giorno, previsti per legge per i contratti collettivi di lavoro per gli operai agricoli e florovivaistici della regione di Caserta. La maggior parte dei lavoratori viene pagata tra € 20 e € 30 al giorno.
Tammaro Della Corte, leader del sindacato generale dei lavoratori italiani a Caserta ha spiegato come “purtroppo, la realtà delle condizioni di lavoro nel settore agricolo della provincia di Caserta, compresa l’industria del tabacco, è caratterizzata da un profondo sfruttamento del lavoro, bassi salari, contratti illegali e una presenza impressionante del caporalato, compresa l’estorsione e il ricatto dei lavoratori”
“Parliamo con migliaia di lavoratori che lavorano in condizioni estreme, la maggior parte dei quali sono immigrati dall’Europa orientale, dall’Africa settentrionale e dall’Africa subsahariana. Gran parte dell’intera filiera del settore del tabacco è caratterizzata da condizioni di lavoro estreme e allarmanti”.
Philip Morris da solo ha investito 1 miliardo di euro nell’industria del tabacco in Italia negli ultimi cinque anni e ha simili piani di investimento per i prossimi due anni; British American Tobacco ha dichiarato investimenti in Italia per 1 miliardo di euro tra il 2015 e il 2019.
Nel 2015 Philip Morris ha siglato un accordo con Coldiretti, la principale associazione di imprenditori del settore agricolo, per acquistare 21.000 tonnellate di tabacco all’anno dagli agricoltori italiani, investendo 500 milioni di euro, fino al 2020.
Gennarino Masiello, presidente di Coldiretti Campania e vicepresidente nazionale, ha affermato che l’accordo prevede “un forte impegno a rispettare i diritti dei dipendenti, vietando fenomeni come il caporalato e il lavoro minorile”.
Un accordo stipulato nel 2018 tra l’Organizzazione Interprofessionale Tabacco Italia (OITI), un’organizzazione di agricoltori e il ministero dell’agricoltura ha portato all’introduzione di un codice di condotta nell’industria del tabacco, comprensivo anche delle tematiche relative alla protezione della salute dei lavoratori, e a una strategia nazionale volta alla riduzione dell’impatto ambientale dell’industria di tabacco.
Nonostante siano state adottate misure per migliorare le condizioni dei lavoratori nell’industria del tabacco, l’OITI è stato costretto a riconoscere che “gli abusi sul luogo di lavoro spesso hanno cause sistemiche” e che “soluzioni a lungo termine per affrontare questi problemi richiedono l’impegno serio e duraturo di tutti gli attori della filiera, insieme a quello del governo e delle altre parti coinvolte”.
Nonostante le parole di Simon Cleverly, capo del gruppo di affari aziendali presso la British American Tobacco – “where we are made aware of alleged human rights abuses, via STP, our whistleblowing procedure or by any other channel, we investigate and where needed, take remedial action” – e di Simon Evans, responsabile delle relazioni con i gruppi di Imperial Tobacco – Through the industry-wide sustainable tobacco programme we work with all of our tobacco suppliers to address good agricultural practices, improve labour practices and protect the environment.” – i migranti intervistati non hanno riscontrato alcun miglioramento rispetto alle proprie condizioni lavorative.
A seguito dell’inchiesta del the Guardian, ONT ha riferito che i propri tecnici visitano i produttori di tabacco almeno una volta al mese per monitorare la conformità alle normative sui contratti e sulla produzione e che non avrebbe più tollerato alcun tipo di sfruttamento del lavoro.
Secondo quanto riportato da Vera Da Costa e Silva, a capo della segreteria della Convenzione quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla lotta contro il tabagismo “Non sono state intraprese azioni efficaci per invertire questo scenario”, sfondo di un settore che, per quanto nocivo alla salute, continua a produrre enormi profitti a costi molto bassi.