Progetto PIA: portare l’Arteterapia in America latina
di Mayra Landaverde
L’arte terapia non è ancora molto comune nel continente americano e, anche se la sua affermazione è in crescita, c’è ancora un lungo cammino da percorrere. Molto spesso le emozioni e la cura dell’anima delle persone viene messa da parte. L’ America Latina è un continente difficile, la gente è troppo impegnata a sopravvivere. Ho trovato due ragazzi che percorrendo i paesi del Sud America portano con i loro laboratori una parte importantissima spesso dimenticata : l’Arte.
Matias Garber arteterapeuta, laureato dalla prima Scuola Argentina de Arteterapia , istruttore di yoga vinyasa. Ha studiato Sociologia all’università di Buenos Aires.
Julia Garcia ha studiato Educazione dell’arte presso l’Instituto Vocacional de Arte. Ha studiato disegno all’università di Buenos Aires. È graphic designer e istruttrice di yoga vinyasa.
“PIA nasce dal nostro movimento, dai nostri viaggi nel sud America, dagli incontri con la gente. Abbiamo viaggiato molto nel sud America e abbiamo vissuto incontri molto intimi con persone che altrimenti non avremmo mai trovato. Abbiamo cominciato a fare laboratori per ragazzi a Tucumán (Argentina),ma questo molto tempo prima di avere l’idea precisa di un progetto itinerante di Arteterapia.
Una cosa che sicuramente ci ha incoraggiato in questo progetto è la fiducia. La fiducia delle persone che ci accoglievano senza conoscerci, che si preoccupavano per noi,che condividevano le proprie esperienze. E allora viaggiare facendo l’autostop è diventata una grande avventura. Era emozionante uscire sull’autostrada per vedere come sarebbe andata e non sapere chi avremmo trovato quella giornata; si è trasformata nella sensazione di avere una casa ovunque in Argentina, in Bolivia in Ecuador e così via. Questa sicurezza ha molto a che vedere con i nostri laboratori dove creiamo degli spazi sicuri in cui condividere la nostra intimità con altre persone. Volevamo replicare questa emozione che ci ha dato il continente , offrendoci una accoglienza senza paragone .
Vogliamo che anche nel nostro progetto ci sia fiducia e accoglienza. I nostri laboratori offrono la possibilità alle persone di giocare, di raccontarsi e imparare e il nostro viaggio è una parte fondamentale del progetto, è una connessione diretta con la nostra creatività; sicuramente PIA è nato da tutto questo e ha preso forma lentamente.
Vogliamo seminare questo messaggio: che ci sono tante altre strade per fare le cose. Abbiamo usato l’arte coi bimbi che trovavamo nei piccoli paesi che abbiamo percorso. L’arteterapia è una mescolanza di tutto quello che è arte e educazione dell’arte. Non in tutti i paesi che abbiamo visitato esiste l’arteterapia, ma una volta che vedevano o partecipavano ai nostri laboratori ci chiedevano una cosa un po’ più strutturata. È così che nasce PIA formalmente . Allora ci siamo messi al lavoro: Matias ha scritto il programma e poi anch’io ho dato una mano per costruire il nostro primo vero corso di arteterapia. Questo corso ha avuto un grande successo e quindi ne abbiamo fatti altri. Alcune organizzazioni ci hanno contattato per collaborare, per esempio una ci ha chiesto di organizzare laboratori specifici per ragazze-madri a Panama dove abbiamo avuto la possibilità di lavorare anche all’interno di una prigione femminile . Questa è stata una esperienza estremamente ricca per noi è crediamo anche per loro. Abbiamo offerto un modo alternativo alle detenute di esprimere ciò che portavano dentro in uno spazio di completa fiducia.
L’arte è potentissima perché si possono trasformare le emozioni più intense . Noi diamo alle persone gli strumenti per poterlo fare. Abbiamo lavorato, infatti, anche con adolescenti usciti dalla guerriglia colombiana, abbiamo formato operatori in Tegucigalpa che poi sarebbero stati inseriti in un programma di prevenzione contro l’immigrazione di minori e a Buenos Aires abbiamo lavorato in un quartiere della periferia dove c’è un grande disagio socio-economico.
Tutte queste sono situazioni sono estranee all’individuo, non dipendono da noi , non possiamo controllarle. Crediamo di aver aperto una strada per la libera espressione delle persone che, sfortunatamente, le vivono. Per la prima volta queste persone diventano protagoniste, creando opere d’arte e non solo e questo offre loro la possibilità di fare un viaggio interiore e di guardarsi bene dentro come individui ma anche come parte di un gruppo.
Anche se questo metodo non è ancora molto usato, ci sono molte persone nel mondo dell’arte che lavorano per diffonderlo, anche se il problema è che spesso nei luoghi di origine non ci sono gli spazi per farlo; il nostro progetto va a riempire questa mancanza, con tante maestre di arti plastiche – ad esempio – che hanno bambini con abilità diverse e che stanno usando l’arte per aiutarli. Alcuni psicologi vengono da noi per includere l’arteterapia nelle proprie sedute coi loro pazienti.
L’arteterapia esiste da sempre anche se con altri nomi perché l’espressione artistica ha sempre avuto un effetto catartico sull’essere umano e noi vogliamo democratizzare questo: che ognuno abbia la possibilità di creare.”