“America latina. Diritti negati”. Amazzonia: inferno incontrollato
di Tini Codazzi
Nel 2011 il grande scrittore uruguaiano Eduardo Galeano scriveva nel suo libro Los hijos de los días (I figli dei giorni): “Si la naturaleza fuera un banco ya la habrían salvado”. Niente di più vero, affermazione schiacciante, soprattutto in questo momento in cui siamo testimoni del grande rogo che sta sterminando l’Amazzonia.
I mezzi d’informazione ci hanno già mostrato immagini e video sull’enorme incendio che sta mangiando la più grande foresta tropicale del mondo. Tre paesi sono coinvolti in questa tragedia: Brasile, Paraguay e Bolivia. Si è già parlato della dinamica che da anni i governi di turno di questi paesi eseguono: si porta avanti la deforestazione, si attende dei mesi per far asciugare il terreno e poi gli si dà fuoco. Agosto e settembre sono i mesi con il maggior numero di incendi. Non esiste fuoco naturale in Amazzonia, questa zona è troppo umida per provocare in modo naturale un incendio. I ricercatori del IPAM (Istituto di Ricerca Ambientale del Amazzonia) in Brasile, da anni denunciano che esistono persone che praticano i roghi e che ovviamente nella stagione secca possono peggiorare e provocare incendi fuori controllo. Molte volte questi incendi non si spengono con la pioggia e quindi finiscono per propagarsi velocemente e violentemente come sta succedendo adesso.
Le polemiche sulle politiche ambientali di Bolsonaro in Brasile le conosciamo, si punta il dito contro di lui, per l’opinione pubblica è basicamente il responsabile di questa tragedia, ma pochi sanno che anche Bolivia e Paraguay sono altrettanto responsabili.
Il deputato ed ex ministro boliviano Carlos Sánchez Berzaim e associazioni e ONG ambientaliste boliviane affermano che nell’Amazzonia boliviana i roghi sono stati impulsati ed autorizzati da Evo Morales per ampliare le coltivazioni illegali di coca, eseguire migrazioni interne con l’obiettivo di cambiare la mappa sociopolitica della nazione beneficiando gruppi economici di dubbia reputazione che lavorano accanto al regime. È da anni che in Bolivia si parla di come Morales ha difeso con violenza la diffusione ed espansione di coltivazioni illegali di coca con il fine di finanziare il narcotraffico. Ad oggi si parlano di 80.000 ettari. Lo scorso 16 luglio, il Viceministro della Difesa Sociale e delle Sostanze Controllate (già potremmo discutere su questo Ministero…), Felipe Cáceres García ha ammesso la deforestazione e i roghi per preparare il terreno alle coltivazioni di coca nell’area protetta del Territorio Indigena e Parco Nazionale Isiboro-Securé (TIPNIS). Morales è stato criticato perché nel luglio scorso ha firmato una modifica di un decreto del 2001 che autorizza nella regione amazzonica la deforestazione e i roghi controllati per attività agricole, principalmente nelle regioni di Santa Cruz e Beni, a centro nord del paese. Dopo le denunce da parte dei governi locali, il gruppo boliviano Kuña Mbarete ha promosso una petizione per l’abrogazione del decreto e accusa il presidente Morales di: “Violazione dei diritti umani degli indigeni e della natura, di biocidio ed ecocidio causato nella zona di Chiquitanía in più di 1 milioni di ettari, e per l’attentato contro il 25% dell’ossigeno prodotto nel pianeta”. Sta di fatto che queste terre non solo servono para la coltivazione della coca, servono anche per l’ampliamento della produzione agricola e l’allevamento, anche se i ricercatori della zona dicono che queste terre non sono adatte a ciò, la produzione agricola quindi è totalmente negativa per il terreno.
In questi 14 anni di potere, Morales e la sua dittatura castro chavista hanno usato queste terre per i loro affari loschi, modificando e creando delle leggi per lo sfruttamento delle terre e quindi delle popolazioni indigene che lì vivono.
Che dire del Paraguay. Il paese è stato recentemente criticato per non proteggere la foresta dagli agrochimici. A metà agosto, l’ONU ha redatto un report affermando che la nazione è responsabile di violazioni di diritti umani per non aver fatto dei controlli adeguati su attività inquinanti illegali. Gli esperti della Commissione dei Diritti Umani dell’ONU affermano che il paese non controlla le attività di fumigazione con agrochimici causando l’intossicazione di persone, tra cui bambini, e anche l’inquinamento delle acque, del suolo e delle coltivazioni. Sebbene le vittime di questo fatto vivevano e lavoravano in zone lontane dall’Amazzonia, si sospetta che la zona colpita dagli incendi, cioè il Distretto di Bahia Negra, al confine con il Brasile e la Bolivia, sia anche stato colpito da queste fumigazioni illegali e ovviamente, anche in questo caso dalla feroce e incontrollata deforestazione, che il fuoco sia stato gestito in modo inappropriato, che gli allevatori abbiano usato tecniche non adeguate e che la cosa sia sfuggita di mano scatenando questo inferno che stiamo vedendo ormai da settimane. La stessa canzone per i tre paesi coinvolti.