Intervista a Paolo Mastroianni, autore del libro “Midland Metro”. L’immigrazione europea, ieri come oggi
Intervista a Paolo Mastroianni, autore del libro “Midland Metro”. L’immigrazione europea, ieri come oggi.
a cura di Alessandra Montesanto
Associazione Per i Diritti umani ha intervistato Paolo Mastroianni, autore del romanzo “Midland Metro” (per Effige edizioni) e lo ringrazia per il tempo che ci ha dedicato.
Maggio 1999. Dopo anni di sudore, viene inaugurata Midland Metro, la linea tramviaria tra Wolverhampton e Birmingham, chiamata a rivitalizzare la regione depressa di West Midlands. Si snoda – intrecciandosi a quella della Metro – la vita di una famiglia di immigrati indiani, spaccata, per condanna del destino, in due tronconi: padre-figlia e madre-figlio. Paolo Mastroianni dà voce alla pazienza e alla fatica quotidiana di Mohan, padre impegnato a preservare la figlia dalla forza distruttiva che domina la madre; all’angoscia della moglie Gauri, destinata a scontare col suo corpo la pena atavica dello sradicamento; alla deriva ineluttabile di Martin, figlio adolescente, né indiano, né inglese; all’equilibrio e alla saggezza innati di Hope, la piccola che nel nome porta la speranza. Anticipando dinamiche sociali ed atmosfere ora anche italiane – Paese dove l’immigrazione è incominciata con sessant’anni di ritardo rispetto all’Inghilterra – Midland Metro entra nel lettore e lo induce a ritrovarsi. Se non magicamente migliore, di certo col desiderio di diventarlo.
Da dove nasce questa storia verosimile?
Dall’esperienza vissuta tra il 1996 e il 2000 nella conurbazione di Birmingham, affascinante laboratorio sociale a cielo aperto, che per più di trent’anni, nel dopoguerra, aveva richiamato decine di migliaia di Pakistani, Indiani, Africani, Caraibici…, fino alla crisi dell’industria metallurgica e estrattiva che l’aveva trasformata in periferia depressa, che negli anni della mia permanenza si tentava di rivitalizzare con progetti straordinari come Midland Metro, la linea tramviaria cofinanziata dalla Comunità europea, a cui come ingegnere lavoravo.
E’ un libro che parla di migrazioni e di famiglie costrette a dividersi con le conseguenze che ciò comporta. Può anticipare i temi di stretta attualità relativi a questa situazione che vengono ben narrati dalle vicende e dai sentimenti dei protagonisti?
E’ un libro nato dal bisogno di esplorare e di comprendere il tripudio di colori, suoni e odori della convivenza tra individui di provenienza, cultura e credo differenti. Un viaggio stimolante che ad ogni passo illuminava aspetti densi, come il disorientamento conseguente al taglio col passato, la fatica quotidiana per piantare nuove radici in un terreno spesso arido ed ostile, di adattarsi a nuovi luoghi, a un modo di vivere e pensare differente, o come d’intuire i punti di equilibrio della convivenza. O, ancora, la determinazione necessaria ad accettare di essere considerati estranei, portatori di disordine, minaccia alla cultura preesistente anche dopo generazioni… Temi enormi e attuali che ho provato a raccontare attraverso le vicende della famiglia Joshi, dei genitori, Mohan e Gauri, immigrati indiani di prima generazione, dei loro figli, Martin e Hope, nati e vissuti in Inghilterra.
Martin è un adolescente a metà tra due mondi molto diversi tra loro, quello indiano e quello inglese: come potrebbe trovare un equilibrio tra le due identità?
E’ un equilibrio che si può trovare lavorando su se stessi per accettare e fare proprio il mondo cui si approda, al tempo stesso custodendo al proprio interno, senza rinnegarlo, il mondo che si lascia come preziosa eredità, fondamento di una sensibilità doppia e dell’abilità di districarsi agevolmente tra due mondi. Un equilibrio quindi raggiungibile, ma a fatica e con pazienza, come riesce a fare Mohan meditando, lavorando a testa bassa, facendo un passo indietro quando i limiti dell’integrazione lo richiedono, contemporaneamente accarezzando il suo passato, ricercandovi ragioni del presente e chiavi del futuro, instillando inoltre, goccia dopo goccia, con dedizione quotidiana, in Hope, la piccola secondogenita, curiosità, rispetto, amore per la vita e tutti gli ingredienti necessari a farle agevolmente conquistare il suo equilibrio. Diversamente da quanto invece riesce a Martin che, soggiogato dalla negatività materna, col suo temperamento burrascoso, si muove lacerato dai due mondi, quello indiano in cui non ha vissuto e che disprezza ritenendolo arcaico ed opprimente e quello inglese che, per il colore scuro della pelle e l’impossibilità che ne consegue di venire totalmente assimilato, lo fa sentire estraneo, mai accettato. Diversamente anche da Gauri che, condannata a fare i conti con le ferite profonde del passato, vive il tempo in Inghilterra con smarrimento, senso di colpa, smania e furia autodistruttiva.
Importanti sono anche le figure femminili, compresa la piccola Hope: ce ne vuole parlare?
Le figure femminili principali hanno la medesima importanza delle maschili cui si intrecciano, formando due poli opposti, padre/figlia, madre/figlio, che ricalcando il dualismo della vita, sotto lo stesso tetto, si guardano e fronteggiano fino alla risoluzione finale della storia: Hope piena di incanto, luce e gioia straripante per la vita, Gauri piena di solitudine, cupezza e disfattismo…
Lei è italiano, ma ambienta il racconto in un altro Paese. Perché questa decisione? E quali sono i punti in comune tra le migrazioni in Gran Bretagna e in Italia?
In Gran Bretagna le migrazioni sono iniziate molto prima. Indotte dal bisogno di forza lavoro a basso costo per l’industria e per la realizzazione d’imponenti infrastrutture, come nel caso dell’operazione cui prende parte Mohan, sono state pianificate per decenni attingendo all’ex colonie, partendo quindi dalla conoscenza della lingua inglese (già esportata e imposta) e dall’esperienza comune maturata negli anni di dominio coloniale. Diversamente dall’Italia, dove l’immigrazione – fenomeno recente – è stata ed è caratterizzata da flussi in ingresso caotici e spontanei, senza né piani veri di accoglienza e inserimento, né il vantaggio di una comune base culturale di partenza, in un quadro sregolato ma addolcito da un clima meno ostile e da una cultura più solare e predisposta all’accoglienza… E’ vero, quindi, ci sono differenze non banali ma, nell’essenza, i temi dominanti accennati in apertura, lo sradicamento, l’ostilità per il diverso, la sofferenza e la fatica del percorso per l’integrazione…, restano gli stessi. Allora il quadro inglese, già maturo rispetto a quello che da noi si andava delineando, mi forniva l’occasione di parlarne, spostando i riflettori oltre gli sbarchi che il dibattito italiano non riesce a superare e anticipando le dinamiche che l’Italia, presto o tardi, dovrà imparare ad affrontare. Un’occasione che sentivo doveroso cogliere senza evitare gli aspetti più angoscianti (come l’autolesionismo di Gauri, la rabbia disturbante di suo figlio, o il lucido razzismo che quest’ultimo subisce) che mi sembravano sottovalutati e sminuiti anche in Inghilterra, così come anni dopo avrebbe confermato l’aumento del consenso di organizzazioni fondamentaliste ed estremiste o addirittura la serie di attentati in cui la rabbia di “altri Martin” é convogliata.