Lorent Saleh, prigioniero della libertà
di Tini Codazzi
Ho conosciuto Lorent. Anche chi legge queste pagine lo conosce, ne abbiamo parlato in passato. E’ una delle vittime più conosciute, purtroppo per lui, del regime di Nicolás Maduro.
Ci siamo seduti su una panchina, un sabato mattina di sole preautunnale, durante una sua visita a Milano per partecipare a vari incontri per la tutela dei diritti umani. Non volevo che mi raccontasse dei suoi anni in prigione, della sua agonia in “La Tumba” e nemmeno delle torture subite. Se ne è parlato molto. Invece abbiamo parlato di libertà, della sua libertà, del suo mondo fuori dalle sbarre. Il prossimo 13 ottobre compie un anno di libertà, è stato un anno euforico, di giri, riunioni e incontri. Un anno in cui è successa una cosa molto importante e molto bella: è diventato papà di un bellissimo bambino e vive esiliato in Spagna, insieme alla sua famiglia. E’ un giovane sincero, pensieroso ma allo stesso tempo trasparente, il suo sguardo non è triste, non è cupo, come si potrebbe immaginare, i suoi occhi sono ancora pieni di luce nonostante tutto quello che ha passato. Nelle sue parole si sente il peso di una vita vissuta duramente, che un ragazzo di 30 anni non avrebbe dovuto vivere. I segni della sua agonia però ci sono ancora e sicuramente ci saranno per tanto tempo, una ingiusta esperienza come la sua cambia completamente una vita e non parlo di segni fisici.
Dopo l’euforia che ha causato il suo rilascio, Lorent si è ritrovato con sé stesso, ma in libertà. Mi ha raccontato che durante la prigionia si era abituato alla sua cella e al suo materasso, anche se avrebbe dato il mondo per un letto comodo, una doccia calda, delle lenzuola. Arrivato in Spagna, finalmente ha avuto tutto ciò ma lui non era comodo, gli mancava quella cella e quel materasso, quel silenzio. A Madrid, all’inizio era disturbato dal rumore del mondo. Infatti, Lorent raccontava durante l’incontro “L’unità è la forza” organizzato da Associazioni, Piattaforme, Attivisti e Istituzioni di America Latina, che alla fine il prigioniero si abitua a quello spazio, a quella circostanza, tanto è che i custodi non chiudono più a chiave le celle, essendo sicuri che i prigionieri non faranno niente. Che paradosso. Durante quei momenti ha anche capito che i suoi torturatori sono essere umani, non robot. Che tutto è pieno di sfumature e che nemmeno un regime è solo in bianco e nero, bensì un tema di umani contro umani, con le sue sfumature e le sue scale di valori, come lui stesso ha affermato.
Non si sente così libero perché in questo anno è stato aggredito e insultato, lui e la sua famiglia, soprattutto attraverso i social. Ha capito che la polarizzazione verso un lato o l’altro, per quello che riguarda la politica venezuelana, è presente in ogni suo movimento come se fosse un’ombra. Tutto il suo lavoro di attivista viene soggetto alla polarizzazione più radicale, come è successo dopo il suo incontro con Michelle Bachelet, Alto Commissario ONU per i diritti umani, duramente criticato. Lui però difende questo incontro dicendo che è stata una grande vittoria essere stato ricevuto da questa alta carica dopo anni e anni di richieste. Lorent è stato il primo attivista latinoamericano ad essere ricevuto in questo ufficio dell’ONU.
Da un anno l’autocensura è presente nella sua vita, si è reso conto che questo mondo polarizzato che non gli permette di esprimersi come lui vorrebbe, adesso è il suo peggior nemico. Si sente ancora prigioniero e addolorato di questa libertà.
Mi chiedo il perché di tutto ciò. Mi chiedo come mai Lorent non abbia il diritto di fare una vita normale. Mi chiedo perché debba sentirsi ancora prigioniero a causa degli altri. Mi chiedo perché la mancanza di rispetto. Una vittima di qualunque dittatura, incarcerata per aver manifestato i propri pensieri merita rispetto, molto rispetto. Se non altro come qualunque altra persona al mondo.
Lui vorrebbe parlare della libertà come filosofia, come essenza di vita e invece deve sempre parlare di tortura e di prigionia, perciò ha deciso d’ora in poi di trattare il tema dei diritti umani in modo poco convenzionale. Il 7 ottobre sarà ascoltato a Bruxelles nel Parlamento Europeo e sta preparando una performance che presenterà nei sotterranei della stessa sede. Presto vedremo un cortometraggio che lui stesso descrive poetico e concettuale. Non vedo l’ora.
L’ho salutato pensando al sogno che ha da tanti anni e che ancora non ha potuto esaudire: scrivere poesie e fare surf. Per ora dovranno aspettare perché lui è consapevole che ancora ha un compito importante che è il rovesciamento della dittatura in Venezuela.
Io però gli auguro di tutto cuore che possa veramente camminare per il mondo in totale libertà insieme alla sua famiglia, che ritrovi la pace nel suo cuore e che possa esaudire i suoi due bellissimi sogni.