Cambiamento climatico: i popoli indigeni sono le prime vittime
I popoli indigeni devono essere presi maggiormente in considerazione
nella ricerca sul clima
L’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) chiede che la ricerca scientifica sul clima tenga maggiormente conto delle popolazioni indigene. Da anni ormai le popolazioni indigene sperimentano e vivono sulla loro pelle le conseguenze del cambio climatico. I programmi di
ricerca sul clima dovrebbero quindi tenere conto e includere nella
ricerca la profonda conoscenza accumulata dalle popolazioni indigene. L’APM chiede che vi sia un cambiamento nell’assegnazione dei fondi di ricerca. In particolare l’APM chiede che i finanziatori dei programmi di ricerca pongano come condizione base l’inclusione di rappresentanti indigeni nei programmi. La maggiore parte degli scienziati che si occupa
di clima spera di contribuire con la propria ricerca al miglioramento delle condizioni di vita delle vittime del cambio climatico ma vi potranno essere risultati concreti in tal senso solo coinvolgendo le vittime e solamente se i finanziatori lo accetteranno come scopo specifico della ricerca.
L’APM ricorda che la Nuova Zelanda vanta già ricerche esemplari nel campo del clima che hanno tenuto conto delle conoscenze delle popolazioni indigene. Il programma di ricerca neozelandese “Visione Matauranga”, finanziato da importanti fondazioni, vede infatti la
partecipazione dei Maori che utilizzano la loro ancestrale conoscenza per individuare soluzioni concrete e applicabili per permettere alle persone di adattare il proprio stile di vita ai cambiamenti ormai in corso. Durante il convegno internazionale dei giovani ricercatori delle
regioni polari, tenuto in maggio 2019 in California, diversi scienziati europei, statunitensi e giapponesi hanno specificamente chiesto di poter collaborare nelle loro ricerche scientifiche con rappresentanti indigeni e di poter tenere conto delle loro conoscenze.
In tutto il mondo i popoli indigeni sono le prime vittime del cambiamento climatico. Che vivano nell’Artico o nel Subartico, nelle foreste amazzoniche, in Africa centrale o nel Sudest asiatico, nelle isole del Pacifico o nella savana africana, il loro stile di vita a stretto contatto con la natura fa sì che essi sono quasi sempre i primi a subire le conseguenze drammatiche del cambiamento. La diminuzione delle risorse e delle aree a pascoli in Africa Occidentale contribuisce notevolmente all’aggravarsi di conflitti armati tra gruppi di popolazioni mentre i popoli indigeni nella Russia siberiana rischiano di scomparire a causa dello sfruttamento indiscriminato delle risorse voluto da Putin in Siberia. In generale, lo sfruttamento indiscriminato di petrolio, gas, e di altre risorse nell’area artica distrugge la base vitale delle popolazioni che vivono dell’allevamento tradizionale delle renne.
Solo ieri in Russia è stato arrestato Alexander Gabyshev, un rappresentante degli Yakuti che dalla Siberia voleva raggiungere Mosca a piedi per “cacciare gli spiriti negativi che circondano il presidente Putin”. Per la maggior parte degli scienziati occidentali questo gesto
sembrerà a dir poco assurdo, ma l’intento dello sciamano yakuta altro non era che un disperato grido d’aiuto, che dovrebbe farci ragionare su quanto grave sia in realtà la situazione vissuta dai popoli indigeni siberiani.