Che cosa succede al processo contro Mimmo Lucano? Le udienze di settembre
(da www.pressenza.com)
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(Foto di https://www.facebook.com/estatoilvento/)
Giovanna Procacci, Comitato Undici Giugno-Milano
Riprendiamo il nostro monitoraggio di cittadinanza del processo penale contro Mimmo Lucano, che ha riaperto a Locri le sue udienze dopo la pausa estiva. Sin dall’inizio ci siamo posti un obiettivo preciso: non vogliamo sostituirci al processo, né giudicarlo; vogliamo piuttosto diffondere l’informazione sui contenuti dibattuti in quel processo, che ci sembra restare confinato nei media locali e soffrire di un deficit di pubblicità, e restituire una valutazione da cittadini su questi contenuti, nella misura in cui siamo convinti che quel processo tratti una materia vitale per la nostra democrazia. Materia vitale è certo la politica d’accoglienza e integrazione, ma materia vitale è soprattutto la libertà di esplorare modelli, costruire mondi, mettere alla prova idee che osino andare al di là del pensiero dominante del momento.
Partiamo con l’informare sullo svolgimento delle due udienze. L’ 11 settembre sono state ascoltate due funzionarie prefettizie, Giovanna Frustaci e Francesca Marazzita; l’udienza è stata particolarmente positiva per Lucano, sebbene abbia visto la SIAE costituirsi parte civile, fuori da ogni tempo massimo, in relazione a presunte false dichiarazioni circa spettacoli musicali a Riace. Frustaci racconta i rapporti fra Prefettura e Comune per il Cas di Riace, in particolare a proposito dei cosiddetti “lungo permanenti” che fin dall’inizio del processo abbiamo visto essere al centro delle accuse di anomalie e irregolarità rivolte al Comune di Riace. Dice che lo scambio di comunicazioni non funzionava sempre in modo tempestivo; al Comune che chiedeva di prorogare il progetto d’integrazione per motivi umanitari, spesso la Prefettura non rispondeva; decurtava però comunque i fondi, come nel caso già emerso dei 37 soggetti segnalati come non aventi più diritto al Cas. Cosicché se quelle persone sono rimaste a Riace sono state a carico del Comune.
All’osservazione del presidente Accurso, che allora trattenere i lungo permanenti sembra essere stato anti-economico per il Comune, Frustaci aggiunge che anche la scarsa attenzione nella rendicontazione andava spesso a svantaggio del Comune; sottolinea peraltro che difficoltà analoghe riguardano tutti i Cas, a Riace sono amplificate da numeri più alti e dalla presenza di famiglie con minori.
Marazzita testimonia invece sull’indagine eseguita a Riace il 26 gennaio 2017 da Francesco Campolo, dirigente presso la Prefettura dell’area quarta dell’immigrazione, e altri tre funzionari. A differenza dell’ispezione precedente del dicembre 2016 firmata da Gullì, il cui Rapporto arrivò inspiegabilmente a Il Giornale e dette la stura ad una campagna di fango mediatica, la relazione conclusiva di questa ispezione non solo non venne resa pubblica, ma addirittura venne negata a lungo allo stesso Lucano, con frasi del tipo “tanto è uguale all’altra”. Difficile non pensare che il ritardo nella pubblicazione fosse dovuto al contenuto della relazione, che invece era molto diverso.
Gli ispettori raccontano di essersi trovati davanti ad una esperienza originale e molto positiva, e per questo hanno deciso di “abbandonare il tono strettamente burocratico, e di trasmettere uno spaccato della vita quotidiana a Riace”. Certo, da un punto di vista burocratico riconoscono che vi si possono trovare quelle “pecche” individuate in precedenti relazioni, ma preferiscono elogiare quanto realizzato, l’inventività messa al servizio dei cittadini, la capacità di imporsi in un contesto ad alto rischio di criminalità organizzata, l’armonia in cui “persone di ogni colore e nazionalità” concorrono al benessere della comunità. Ed elogiano il Sindaco “che ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita”. Precisano anche che Lucano ha sempre collaborato con la Prefettura, assicurando l’ospitalità che altri Centri della provincia avevano rifiutato. E concludono chiedendo di sbloccare immediatamente i finanziamenti sospesi, per permettere la prosecuzione di un’esperienza “che rappresenta un modello di accoglienza studiato in molte parti del mondo”. La funzionaria racconta di aver percepito che la relazione non fosse stata gradita in Prefettura; in effetti poco dopo Campolo venne trasferito ad altro incarico. Per approfondire questo aspetto, il presidente ha anticipato che lo ascolterà.
L’udienza del 24 settembre ha invece avviato l’esame di un capitolo diverso dei documenti d’indagine: non più gli esiti delle ispezioni disposte da Prefettura e Ministero, ma l’informativa predisposta dalla Guardia di Finanza nel 2016 su richiesta della Procura di Locri. Viene ascoltato il colonnello Sportelli; la sua testimonianza, che occuperà altre udienze in onore alle quasi mille pagine dell’informativa, avrà luogo per capi d’imputazione. In questa udienza vengono discusse le prove a sostegno dell’imputazione di abuso d’ufficio. Il colonnello punta subito l’attenzione sulla questione dei lungo permanenti, ad ulteriore conferma che questo è il vero nodo dello “scandalo Riace”. Sostiene che nelle ispezioni non si è mai andati a fondo sulla questione, cosa che la sua informativa ha invece voluto fare redigendo una serie di prospetti contabili, su base mensile e associazione per associazione, da confrontare con i vari data-base delle presenze, al fine di calcolare quanto siano effettivamente costati i lungo permanenti di Riace. I dati su cui ha costruito i prospetti sono ricavati dalla documentazione predisposta dalle varie associazioni e firmata dai loro presidenti; tutto però confluiva poi nell’associazione Città futura, unico interlocutore diretto con Ministero e Prefettura, e doveva alla fine essere vidimato dal responsabile del Comune, il sindaco Lucano.
Tuttavia, ci sembra che se si vuole approfondire il tema dei lungo permanenti, sarebbe indispensabile definire come vengono individuati, prima di contarli e valutarne i costi; abbiamo invece l’impressione, rafforzata anche dal contro-esame delle difese, che la nozione di lungo permanente rimanga molto confusa. Comprende persone che restano qualche giorno in più, persone che restano anni, persone per cui è stata richiesta una proroga motivata dal Comune, persone che hanno presentato ricorso e ne attendono l’esito – tutte nello stesso calderone. Su questo punto dirimente, la testimonianza appare molto approssimativa.
Sportelli afferma che, se Lucano rifiutava di mandar via i migranti, era in nome dei suoi ideali di umanità e accoglienza e non per un vantaggio economico; nel corso del tempo, però, i numeri crescono e le cose si complicano, anzi a suo giudizio diventano ingestibili senza una struttura amministrativa esclusivamente dedicata. Ipotizza allora che Lucano abbia perseguito un interesse politico, abbia cioè chiuso un occhio sulle irregolarità di alcune associazioni per evitare che il modello Riace, ormai diventato famoso, venisse intaccato; per lo stesso motivo avrebbe cercato di nascondere che in realtà, con il ridursi dei numeri degli arrivi dal 2017, lo Sprar di Riace si sarebbe svuotato. Sono sue supposizioni; ma è lo stesso pubblico ministero a dichiarare che, se soggetti non aventi diritto sono stati coperti in modo indebito con le somme anticipate dallo Sprar, non ci sono prove per dire come esattamente queste somme siano state impiegate.
Come nelle udienze precedenti, il Presidente deve intervenire più volte per chiedere che le informazioni siano contestualizzate nel quadro legislativo vigente al momento; in particolare, fino al secondo semestre 2016 non ci sono disposizioni sui tempi di permanenza consentiti nello Sprar, per cui il periodo 2014-2016 preso in esame dall’informativa non ne sarebbe interessato. E deve richiamare ancora una volta le responsabilità delle istituzioni che hanno il compito di effettuare le verifiche: perché di fronte alla rendicontazione del triennio ricevuta a fine 2016 il progetto viene rifinanziato per i tre anni successivi, non ci si accorge dei lungo permanenti? Chiede poi come mai, se davvero c’erano posti vuoti nello Sprar, i migranti usciti dal Cas non venivano inseriti a coprire quei vuoti? anche perché nelle udienze precedenti si è accertato che Riace non ha mai respinto nessuno. E conclude osservando che la presenza dei lungo permanenti dipende dal fatto che i migranti non volevano andare via, o che Lucano non voleva mettere la gente per strada; siccome però non potevano comunque essere espulsi in quanto titolari di protezione umanitaria, i servizi sociali del Comune dovevano pur trovare i mezzi per mantenerli. E chiede di nuovo: Lucano ha operato così per un vantaggio economico, suo o delle associazioni? O c’era forse un disegno collettivo per procurare un vantaggio economico a tutti? La risposta del teste è nuovamente negativa.
Questi i dati salienti delle due udienze. A noi cittadini spetta però il compito di valutare l’impatto del processo sul sistema di libertà e diritti su cui si basa l’assetto democratico e costituzionale della nostra convivenza. Cerchiamo allora di fissare gli elementi utili per questa valutazione. Si conferma che i lungo permanenti sono il “reato” del modello Riace, per quanto circoscritto nel tempo perché il termine massimo dei sei mesi viene introdotto tardivamente rispetto al periodo d’indagine. Questo reato non sarebbe stato compiuto per interesse economico, ma per motivi “ideali” che avrebbero spinto ad utilizzare parte dei fondi per l’accoglienza per soggetti che non ne avrebbero più avuto diritto. Ma questi soggetti non vengono identificati in modo chiaro, gli enti preposti al controllo delle rendicontazioni sembrano non accorgersene, spesso non rispondono nemmeno alle richieste specifiche di proroga dal termine ufficiale del progetto che pure sono previste dal sistema – a conferma del fatto che in realtà si è consapevoli che il termine dei sei mesi non è sempre applicabile. Peraltro, non si hanno prove di quale uso sarebbe stato effettivamente fatto delle somme in questione. Avanziamo delle ipotesi in merito: per dare borse-lavoro? Per creare posti di lavoro in cui inserire i migranti, come il frantoio per produrre l’olio, o le cooperative per la raccolta dei rifiuti? Per attività, cioè, tese all’integrazione lavorativa? Insomma, senza le prove del dolo o della distrazione dei fondi dagli obiettivi di accoglienza e integrazione, siamo ancora in pieno nel campo delle irregolarità amministrative. Continua a non risultare chiaro il perché di un processo penale, se non come processo politico contro quegli ideali, appunto, che hanno mosso l’azione di Lucano a Riace.
Possiamo concluderne che l’esperienza di Riace dimostra che l’integrazione, per essere tale, ha bisogno non solo di tempi più lunghi, come abbiamo già rilevato, ma soprattutto di una valutazione puntuale dei casi specifici? Che dimostra cioè delle carenze di sistema?
Per anni, Riace è stata trattata come un laboratorio di buone pratiche, utile a fornire indicazioni per la costruzione prima, e gli aggiornamenti poi, del sistema Sprar. Se questa sinergia fosse continuata, se non fosse intervenuta una grave frattura nelle politiche migratorie, se davvero come annunciava nel 2016 la Circolare Morcone queste fossero andate nella direzione di chiudere i Centri di accoglienza straordinaria e di generalizzare lo Sprar come sistema pubblico di accoglienza, l’anomalia dei lungo permanenti di Riace avrebbe potuto spingere a mettere a fuoco queste carenze e a sviluppare il sistema dell’accoglienza in una direzione più vicina agli obiettivi di integrazione. I lungo permanenti diventano un “reato” per effetto di un cambiamento politico, che porterà ai respingimenti, al rifiuto di soccorso in mare, ai “porti chiusi”, ecc. Diventano cioè un “reato ex-post”. E questo spiega anche la spinta poderosa che la campagna di denigrazione di Lucano e del modello Riace ha avuto in questo ultimo anno, come parte integrante della criminalizzazione sfociata nel processo penale in corso.
Stiamo attenti però, perché “La campana suona a Riace, ma suona per tutti”, come diceva saggiamente Ida Dominijanni dopo l’arresto di Lucano (Internazionale, 2/10/2018). La dilatazione dell’area penale a casi di discrezionalità amministrativa, cui assistiamo in questo processo, è un sintomo inquietante, come osserva Livio Pepino (Volere la Luna, 29/04/2019), di una magistratura arroccata nella difesa dello status quo anche a scapito delle garanzie e dei diritti di tutti.