L’implementazione dei Diritti Umani: la fase più difficoltosa. Sulla base di casi-studio italiani
di Nicole Fraccaroli
Il seguente articolo è stato scritto con l’intenzione e l’ambizione di dimostrare che anche nei paesi democratici con stato di diritto e buon governo, come l’Italia, paese di origine della scrittrice, il percorso per raggiungere una sistematica e concreta attuazione dei diritti umani si dimostra ancora lungo e non privo di sfide.
L’autore è particolarmente interessato alla realizzazione dei diritti umani poiché di solito si pensa che, se un determinato Stato è parte di un trattato o supporta uno strumento rilevante, esso sia diventato un paladino dei diritti umani. Tuttavia, non è così: la fase di adozione è rilevante, come primo passo verso il rispetto dell’impegno assunto, ma è inutile e insignificante se non è seguito da un’azione, un cambiamento, che permetta di lottare per il raggiungimento di esso.
A tal fine, lo scrittore passerà innanzitutto in rassegna dei principali meccanismi internazionali istituiti per monitorare il rispetto gli Stati in merito alle disposizioni sui diritti umani, al fine di passare poi all’analisi di alcuni casi studio derivanti dalla realtà e dall’esperienza italiana.
Ad oggi, non esiste un tribunale internazionale per i diritti umani, anche se ora i Comitati delle Nazioni Unite sembrano operare in modo quasi giudiziario: pannelli imparziali che operano secondo le proprie regole procedurali che possono ascoltare la testimonianza di esperti prima di emettere pareri. Inevitabilmente, il problema dell’attuazione va alla natura stessa del diritto internazionale. In particolare, poiché un accordo consensuale basato sull’accordo tra Stati, reciprocità e rispetto della sovranità nazionale e della sovranità territoriale, è improbabile che il tipo di meccanismi di applicazione applicati a livello nazionale abbia successo. Tuttavia, per gli strumenti internazionali e regionali che vertono sui diritti umani, la responsabilità primaria dell’applicazione dei trattati sui diritti umani spetta agli Stati. Gli Stati accettano gli obblighi sanciti dai trattati e devono adoperarsi per garantire il pieno godimento dei diritti e delle libertà all’interno della propria giurisdizione.
Tra i meccanismi volti a supervisionare la realizzazione e l’attuazione dei diritti umani, il sistema di reportistica è quello prevalente. Lo scopo principale di questo sistema è quello di promuovere il rispetto da parte degli Stati dei loro obblighi internazionali in materia di diritti umani e, inoltre, le relazioni sono utilizzate come base per un dialogo attivo e di supporto tra il Comitato e lo Stato. Vengono anche presentate denunce statali, ma per ragioni diplomatiche gli Stati spesso si dimostrano riluttanti a impegnarsi in controversie interstatali, come dimostra l’esperienza della Corte Internazionale di Giustizia. Per quanto riguarda i reclami denunciati da singoli individui, possono essere condotti attraverso un meccanismo giudiziario o tramite relazioni con un organo indipendente. Le così dette “procedure speciali”, invece, sono dettate da esperti indipendenti nominati dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU er esaminare e riferire su diritti umani specifici in determinati paesi. Inoltre, vi sono diverse organizzazioni non governative che svolgono un ruolo nel processo. Molte di queste organizzazioni inviano rappresentanti in qualità di osservatori alle discussioni delle Nazioni Unite sui diritti umani.
I diritti umani internazionali rimangono un sistema di legge relativamente nuovo. Quando i sistemi furono adottati, furono raggiunti compromessi che consentirono ai diritti umani internazionali di coesistere con l’indipendenza sovrana degli Stati contraenti. Tutti gli Stati riconoscono di essere vincolati dai diritti umani, ma la domanda saliente è: fino a che punto? Gli Stati spesso si vincolano agli strumenti per essere visti conformi ai diritti normativi ivi sanciti. Tuttavia, e nonostante la presenza dei meccanismi di cui sopra, ciò non significa necessariamente che gli individui all’interno di uno Stato godano di tutti questi diritti. Il godimento dei diritti universali non è una realtà in qualunque Stato.
In questa sezione, la scrittrice vorrebbe considerare da un lato ciò che definisce i “fallimenti italiani” nell’attuare correttamente gli strumenti per i diritti umani, la cui importanza e urgenza sono state riconosciute dall’Italia stessa, ma non sono stati ancora seguiti da un effettivo riconoscimento, né tradotti in misure concrete.
Il primo caso in esame riguarda le cosiddette Istituzioni Nazionali per i Diritti Umani (INDU). Il 20 dicembre 1993, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 48/134 su “Istituzioni nazionali per la promozione e la protezione dei diritti umani”, con un allegato contenente i principi relativi allo status delle istituzioni nazionali, meglio noti come principi di Parigi, in cui ha incoraggiato tutti gli Stati del mondo a creare istituzioni nazionali indipendenti per i diritti umani. Le INDU sono istituzioni indipendenti e non giudiziarie create dagli Stati attraverso la loro costituzione o legge, con il mandato di promuovere e proteggere i diritti umani. Gli Stati sono liberi di decidere il miglior tipo di INDU per i loro scopi domestici. In Europa, i modelli più comuni sono le istituzioni del difensore civico, le commissioni per i diritti umani, le istituzioni ibride (che combinano diversi mandati, incluso quello dell’organismo per la parità), e gli istituti e i centri per i diritti umani. Mentre al giorno d’oggi gran parte dei paesi europei possiede una INDU, alcuni ancora non la prevedono, come l’Italia, insieme a Malta e alla Svizzera.
Lo scrittore considera grave e sostanziale la mancanza di un tale organo di esperti indipendenti. Per questo motivo, l’autore considera essenziale il riconoscimento degli attuali sforzi intrapresi dal Comitato Italiano per la Promozione e la Protezione dei Diritti Umani. È una rete di organizzazioni non governative italiane che operano nel campo della promozione e della protezione dei diritti umani e fondata nel 2002, su iniziativa della Fondazione Basso – Sezione Internazionale. Il suo obiettivo principale risiede nella promozione e nel sostegno rivolto al processo legislativo di istituzione di una INDU in Italia, in linea con l’impegno votato dall’Italia ma rimasto finora inutilizzato.
Il secondo caso che lo scrittore è disposto a mettere in luce riguarda la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità. Il 2019 segna il decimo anniversario della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione delle Nazioni Unite in questione con la legge n. 18 del 3 marzo 2009 (nella Gazzetta Ufficiale n. 61 del 14 marzo 2009) e la firma del Protocollo Opzionale. A dieci anni dalla sua ratifica: tante aspettative, pochi successi. L’importanza della Convenzione interessata non risiede nel riconoscimento di “nuovi diritti” per le persone con disabilità, ma costituisce lo strumento per garantire efficacemente l’equo e pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali; uno strumento giuridico di cui l’Italia ha fortemente bisogno di fronte ai casi plurali di discriminazione nei confronti dei disabili.
Nell’agosto 2016, a Ginevra, la Commissione per i diritti delle persone con disabilità ha incontrato una delegazione del governo italiano per comunicare le osservazioni conclusive sulla prima relazione inviata dall’Italia sull’attuazione dei principi e delle disposizioni contenuti nella Convenzione. Il documento, diviso in 88 punti, contiene pochi apprezzamenti e molte preoccupazioni, a cui seguono altrettante raccomandazioni. Ad esempio, vi è preoccupazione per “l’esistenza di molteplici definizioni di disabilità in tutti i settori e tutte le regioni, il che porta a un accesso disuguale a sostegno e servizi. Inoltre, la disabilità continua a essere definita dal punto di vista medico e il concetto rivisto di disabilità proposto da l’Osservatorio nazionale sullo status delle persone con disabilità non è a sua volta in linea con la Convenzione e manca di una legislazione vincolante a livello nazionale e regionale”.
È evidente che l’attuazione della Convenzione richiede politiche e misure, che devono ancora essere sviluppate e messe in pratica; e inoltre, il governo ha pubblicato un programma d’azione per i prossimi due anni, ma non lo ha finanziato.
Lo scrittore è convinto che la sostenibilità della Convenzione nei paesi che l’hanno ratificata derivi anche dalla capacità della società civile di quei paesi di conoscere e far valere i diritti da essa riconosciuti. Solo dove esiste una voce forte e consapevole da parte delle associazioni che lavorano per la protezione delle persone con disabilità, può esserci rispetto per i diritti e l’implementazione delle soluzioni più appropriate per garantire la piena inclusione delle persone con disabilità, compresa la definizione e l’attuazione di adeguate politiche pubbliche. In Italia, sfortunatamente, non c’è mai stata una vera campagna di informazione per la diffusione della Convenzione delle Nazioni Unite e del Protocollo Opzionale tra le associazioni, le famiglie, gli operatori e le pubbliche amministrazioni, che spesso rimangono ancorate al vecchio modo di vedere la disabilità, con la conseguente discriminazione.
Mentre i casi di cui sopra minano fortemente la reputazione dell’Italia in relazione all’attuazione dei diritti umani; c’è un caso specifico che l’autore vorrebbe finalmente citare, che dimostra positivamente la volontà italiana di rispettare gli impegni assunti e correggere le proprie azioni. Inoltre, l’esempio selezionato mostra che l’implementazione dei diritti umani è pensata per essere dinamica, piuttosto che qualcosa da raggiungere completamente attraverso un singolo passo: ovvero, l’implementazione di quei diritti e libertà che sono emersi di recente a seguito di cambiamenti sociali.
L’assegnazione del caso “Oliari e altri Contro Italia” della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la cui conformità riguardava tre coppie omosessuali che ai sensi della legislazione italiana non avevano la possibilità di sposarsi o di entrare in qualsiasi altro tipo di unione civile, fornisce prove di tali caratteristiche. Questo caso è rappresentativo di un sistema domestico (quello italiano) ancora in ostaggio di disposizioni che incarnano idee tradizionali, e di un sistema giuridico più inclusivo disposto ad espandere i diritti umani verso le nuove situazioni odierne. La Corte Europea non si è limitata a rivendicare la necessità del riconoscimento legale e della protezione delle unioni omosessuali, ma l’ha identificato come un obbligo statale positivo derivante dall’articolo 8 in quanto coppia omosessuale che vive in una relazione stabile rientra nella nozione di famiglia la vita, così come la vita privata, allo stesso modo delle coppie eterosessuali. Questo principio è stato innanzitutto stabilito nel caso di “Schalk e Kopf contro Austria”, dove il tribunale ha ritenuto artificiale mantenere l’idea che una coppia omosessuale non potesse godere della vita familiare ai fini dell’articolo 8.
È importante sottolineare che questo non solo ha portato l’Italia a conformarsi a tale dovere positivo nel presente caso, ma ha influenzato l’interpretazione espansiva dei diritti umani nel sistema giuridico italiano, come risultato dell’adozione della Legge Cirinnà (in vigore dal 5 Giugno 2016) che attualmente prevede unioni civili tra persone dello stesso sesso. Questo è un risultato saliente, in quanto in base alla Costituzione Italiana, non ci potrebbe essere famiglia se questa non fosse basata sul matrimonio tra uomo e donna. Essenziale e rilevante per il raggiungimento di tale obiettivo, è stata, negli ultimi 10 anni, la società civile italiana fortemente attiva e determinata nell’organizzare momenti per tenere discussioni sui diritti e sulle libertà delle coppie dello stesso sesso e nel fare pressione sulle istituzioni nazionali competenti per adottare atti nazionali in grado di riconoscere legalmente la loro unione.
Il diritto internazionale è passato dalla mera promozione passiva dei diritti umani alla protezione più attiva dei diritti articolati. Tuttavia, la fase successiva di attuazione, essenziale per la piena realizzazione dei diritti, è un po’ lontana. Come dimostrato dai casi studio in esame, il contesto italiano mostra casi positivi e negativi; e secondo lo scrittore si possono derivare due osservazioni principali per concludere.
Da un lato, può sembrare che l’attuazione sia fortemente legata al livello di consapevolezza della sua importanza all’interno della società civile, unitamente alla determinazione a diffondere la voce sulla necessaria protezione e garanzia di determinati diritti da parte del governo stesso.
D’altra parte, il nocciolo della questione potrebbe risiedere nell’attuazione interna: se uno strumento è incorporato nel diritto nazionale, allora ha una probabilità maggiore di essere applicato in quello Stato, poiché lo Stato avrà esplicitamente approvato il suo contenuto.