“Stay human. Africa” L’interminabile strage in Mali
di Veronica Tedeschi
Un eccidio non documentato in corso e una serie di attacchi terroristici di cui nessun giornalista parla.
Mali 2019, un paese sofferente in cui i civili non sono al sicuro, in nessuna parte del paese. A partire dai machete utilizzati dai Peul, nomadi senza meta, che, come racconta un sopravvissuto, si sono scagliati su uomini al lavoro nei campi come delle furie indiavolate, per poi dirigersi alle abitazioni dove non hanno risparmiato nessuno. Donne, bambini e anziani sono stati falcidiati senza pietà.
Ci troviamo a Bandiagara, ai piedi delle rocce di Falesia, dove gli attacchi sono continui e violentissimi. Le vittime sono centinaia e neppure l’esercito è in grado di fronteggiare cotanta brutalità.
Un conflitto decennale, tra vicini di casa, che vede gli agricoltori dogon e gli allevatori peul da sempre in una situazione di scontro. Negli ultimi anni le ostilità si sono inasprite a causa della presenza degli jihadisti che ne hanno approfittato per seminare odio in territori già ingestibili per mancanza di autorità. Il governo francese è intervenuto a sostegno della capitale Bamako ma neanche questo è servito a placare gli animi. Inoltre, solidalmente a questa situazione, ad inizio ottobre alcuni soldati sono stati uccisi in un attacco contro una postazione militare nella regione di Menaka. “Il bilancio provvisorio è salito a 53 vittime appartenenti alle Malian Armed Forces”, ha dichiarato l’esercito maliano sulla sua pagina Facebook.
“La situazione è sotto il controllo della Fama Indelimane. Le valutazioni sono ancora in corso”, ha aggiunto l’esercito maliano. Quaranta soldati sono stati uccisi in due attacchi jihadisti il 30 settembre e il 1 ottobre, vicino al Burkina Faso, in un paese nel sud del Mali, secondo un rapporto di un funzionario del Ministero della Difesa. L’attacco di ieri sera ha anche causato “ferite e danni materiali”, secondo l’esercito.
Nessun giornalista occidentale sta documentato l’eccidio. A squarciare il silenzio sono gli stessi dogon che con i loro cellulari inviano foto atroci e resoconti dettagliati delle violenze o lo stesso esercito maliano che pubblica aggiornamenti su Facebook sullo stato dei fatti.