“America latina” Diritti negati”. Venezuela: il dolore come dovere
di Tini Codazzi
Scegliere tra la fame e il dolore in Venezuela è la decisione più difficile per i malati di tumore e/o AIDS, scegliere tra il mangiare o comprare le medicine per alleviare il dolore. Tanti scelgono di mangiare per avere le energie per affrontare il dolore. L’accesso alla morfina, per esempio, è ormai un ricordo. Persino farla arrivare dall’estero dove ci sono parenti e amici è diventato un problema perché la maggior parte delle volte questa viene respinta in dogana e restituita al mittente. Soltanto il 10% della popolazione ha acceso alla morfina, ma non perché viene fornita dal servizio sanitario nazionale, come in ogni paese civile, bensì perché i parenti dei malati che si possono permettere di fare questa spesa, la comprano nel mercato nero, in Colombia o in Brasile. L’Associazione americana contro il Cancro afferma che in Venezuela muoiono più di 23.000 pazienti all’anno per mancanza di medicinali nell’arco di tutta la malattia e soprattutto perché in fase terminale non hanno la possibilità di alleviare il dolore, muoiono più velocemente e il fatto più grave è che lo fanno in profonda sofferenza. Una fiala di morfina può costare tra 600mila e 2milioni di bolivares (12 e 40 dollari rispettivamente) considerando che il salario minimo è di 26 dollari e che per alleviare il dolore servono circa tre o quattro fiale… i conti non tornano.
Prima della crisi del sistema sanitario, il paese offriva servizi di cure palliative abbastanza efficienti, con un’ampia disponibilità di morfina. Tuttavia, la Dott.ssa Bonilla, fondatrice della Società Venezuelana di Medicina Palliativa afferma che la sua vita è diventata una ricerca costante di medicine per far sì che i suoi pazienti non soffrano, deve inventarsi forme creative per accedere alla morfina, per esempio, raccoglie donazioni di parenti di pazienti deceduti, consiglia alle famiglie recarsi nei paesi della regione per comprarla e addirittura, a suo malgrado, consiglia di comprare la medicina nel mercato nero. La paura più grande di famigliari e pazienti è quella di affrontare la malattia grave senza avere la possibilità di calmare il dolore, migliaia di famiglie venezuelane vivono questa situazione in questo momento. Gli sforzi straordinari di medici come la Dott.ssa Bonilla hanno contribuito a mitigare il dolore di alcuni pazienti, ma tantissimi non hanno la stessa fortuna. Il governo usurpatore dovrebbe intervenire in modo urgente e assicurare che la morfina torni ad essere disponibile.
È una coltellata al cuore leggere l’ultimo sondaggio nazionale sugli ospedali in Venezuela nel 2018. Si è considerato un arco temporale di un mese, sono stati interpellati 104 ospedali pubblici e 33 cliniche private in 22 stati e 55 città. La mancanza di medicine è salita dal 55% nel 2014 al 88% nel 2018, i servizi di laboratori dal 89% al 100%, la mancanza di acqua potabile dal 29% al 79%, il cibo per i pazienti dal 84% al 96%, il servizio di pronto soccorso completamente operativo dal 11% al 7%, l’unità di terapia intensiva pediatrica dal 8% al 7%, per esempio, sempre nell’arco di questi ultimi 4 anni. Si dichiara nel sondaggio che da due anni il governo non fornisce dati ufficiali. Tutti gli indicatori sono peggiorati e stanno proprio finendo le opzioni, non si vede un miglioramento nell’orizzonte, la crisi è generale: forniture, farmaci e servizi come acqua, elettricità, spazzatura e crisi alimentare.
Altrettanto, Il sistema sanitario nazionale venezuelano dovrebbe garantire nel Programma Nazionale dell’AIDS i test di laboratorio per rilevare l’infezione, la fornitura dei reattivi per la diagnosi, il controllo e l’andamento della malattia, quindi dovrebbe fornire i medicinali e le terapie antiretrovirali. Questo non succede da anni. Bambini, uomini e donne non possono accedere agli antiretrovirali per avere una vita il più normale possibile. La comunità LGBTI (lesbiche, gay, transessuali, bisessuali e intersessuali) è ovviamente la più compromessa, ormai la malattia è diventata una epidemia, non solo per la mancanza di terapie, ma anche perché c’è un grosso problema di fondo, la mancanza di informazione ed educazione sessuale nelle zone povere che sono sempre le più a rischio nelle situazioni che riguardano la salute e la sicurezza. Le ultime informazioni dicono che più del 70% dei bambini affetti di AIDS non fanno le terapie. Gli omosessuali e i trans sono condannati dal primo momento. Essere omosessuale, trans o bisex e per di più malato di AIDS in un paese come il Venezuela è un grave problema. Le ONG, fondazioni e associazioni private che si occupano dei malati affermano che il regime gioca con la vita della comunità LGBTI, indicano che più di 69mila venezuelani che convivono con l’HIV non ricevono il trattamento antiretrovirale. La carenza di queste medicine era del 85% nel 2018, non ci sono dati aggiornati nel 2019, ma certamente il numero non è diminuito. I dati ufficiali che provengono dal Ministero della Salute, come succede spesso in questi casi, contrastano enormemente con quelli provenienti dai privati. Il fatto di nascondere la realtà che vive la sanità nel paese è ormai un comportamento normale e una prassi per il regime e contrastano appunto con innumerevoli denunce di medici e personale sanitario come quello di un medico della Società Venezuelana di Malattie Infettive che afferma: “Nel 2018 abbiamo trascorso quasi tutto l’anno con la assenza assoluta di farmaci” o quella dell’ONU che stima che all’incirca 120mila persone vivono con l’HIV. In questo contesto, l’uscita dal paese è l’unica alternativa che molti venezuelani malati hanno per garantire o provare a garantire la propria sopravvivenza. Migliaia di persone sieropositive hanno abbandonato il paese alla ricerca di migliori condizioni sanitarie. In America Latina le principali destinazioni sono Colombia, Peru, Cile e Argentina, ma c’è chi fa tanti sacrifici per andare più lontano, in Spagna, per esempio, dove esistono diverse realtà a livello regionale e nazionale che aiutano i malati e che funzionano molto bene, per esempio l’ONG Apoyo Positivo molto attivo nella comunità gay oppure l’Associazione Kifkif, dedicata ad aiutare i migranti del collettivo LGBTI. “Da tanto tempo abbiamo notato un notevole aumento di utenti di nazionalità venezuelana che vengono nella nostra sede per chiedere aiuto” dice una responsabile di Apoyo Positivo. Da Kifkif, invece, proviene il seguente dato: “il 32,25% dei casi di persone che arrivano chiedendo trattamenti antiretrovirali viene dal Venezuela, è quattro volte superiore rispetto al 2018” racconta uno dei responsabili di salute dell’Associazione. Con tanti sacrifici e un po’ di fortuna queste persone potrebbero salvarsi.
Nonostante la salute sia inserita nella Costituzione del Venezuela come un “diritto fondamentale, un obbligo dello stato che deve garantire il diritto alla vita”, la mancanza di volontà politica del regime per riconoscere la gravità della crisi umanitaria e accettare gli aiuti umanitari internazionali sono ormai diventati i muri infrangibili per tutti i venezuelani che hanno bisogno di vivere e morire senza dolore e degnamente. Un diritto negato in Venezuela.