Prendersi cura degli ultimi. Intervista al presidente della Fondazione Ebbene
di Matteo Vairo
Il dibattito sul potere delle comunicazioni di massa si accende, con toni aspri e molto spesso gridati, ogni qual volta ci si trova in presenza di particolari tensioni politiche e sociali.
Senza generalizzare ritengo utile sottolineare le sempre più incombenti responsabilità dei media nel dibattimento pubblico che sta accompagnando la nostra quotidianità: non solo l’abuso di contenuti violenti e la propaganda politica urlata, ma anche l’ossequioso allineamento, la caduta della professionalità e della qualità informativa e, talvolta, l’offesa al buon senso e all’intelligenza del pubblico.
A tal proposito ricordo sempre con dispiacere un episodio vissuto durante il mio direttorato nel CAS di Zavattarello, nel pavese.
Proposi ad un periodico free press (anche se sarebbe meglio definirlo uno spreco di alberi) locale un approfondimento su quanto di buono i terribili “immiNgrati” ed i mostruosi “quelli che accompagnano gli immiNgrati” stessero facendo per la realtà comunale che ci ospitava; la risposta fu laconica e la conservo ancora oggi gelosamente nella mia casella mail a memoria futura: “Da voi va tutto bene, non avete appeal giornalisticamente parlando”.
Fu una doccia fredda per un giovane idealista 26enne come me ed il senso di rivalsa da quella mail mi ha portato ad una ricerca accorata, ed accurata, su quanto di buono il terzo settore offre e su quanto ancora può dire al fine di far emergere storie e realtà ormai troppo spesso etichettate di “inutile buonismo” e che invece sono preziose per tutta una fascia quasi del tutto dimenticata dal welfare state: gli ultimi.
“Si può sbagliare l’appartenenza politica, le amicizie..ma chi sceglie di stare dalla parte degli ultimi non sbaglia mai” amava dire Don Gallo, e questa scelta l’ha compiuta a pieno la Fondazione Ebbene, realtà che ho conosciuto con piacere qualche tempo fa e che oggi è un modello di economia circolare che agisce per contrastare le povertà, sostenere le giovani generazioni, contrastare le mafie e rigenerare i luoghi, combattendo la “cultura dello scarto” sulla scia di un cambiamento che si costruisce con il coinvolgimento e l’impegno di tutta la comunità. Nata a Catania nel 2012, la Fondazione è diventata un modello a livello nazionale ed agisce tramite i suoi Centri e Luoghi di Prossimità in diverse regioni italiane coinvolgendo direttamente i beneficiari dei suoi servizi in una logica lontana dall’assistenzialismo tristemente noto e diffuso nel settore, ma lavorando “con” le persone e non “per” le persone. La Fondazione è in cammino, è un organismo vivo ed il suo orizzonte è costituito dagli “invisibili” della società a cui i vari progetti attivi tentano di restituire un nome, è un progetto, una proposta sociale e culturale che viene rivolta a tutti coloro che intendono ascoltarla e cerca di essere una risposta alla “polverizzazione” dei legami di questi tempi, un luogo in cui misurarsi anche con le relazioni interpersonali e la loro fatica diventando una palestra per imparare a ricostruire capacità solidali.
Parliamo di questo “sogno” ed altro con Edoardo Barbarossa, Presidente della Fondazione:
• Catania 2012:nasce la Fondazione Ebbene.. ci racconti le radici di questa esperienza che parte dalla Sicilia e si estende in tutta Italia-
Ebbene nasce dalla voglia di migliorare la qualità della vita delle persone e delle comunità agendo con un’ottica nuova che non fosse quella della cooperazione sociale, dalla quale io stesso provengo, né quella del volontariato. Mettendo insieme le esperienze di alcune organizzazioni del terzo settore e il know how di molti professionisti con i quali abbiamo condiviso il progetto Ebbene, è nata una Fondazione che ha immaginato di sperimentare un modello che, partendo da Sud, riuscisse a viaggiare per lo stivale creando percorsi personalizzati di accompagnamento tarati sul nucleo familiare che impattassero positivamente sul territorio rendendolo protagonista.
Cuore della Fondazione sono i Centri di Prossimità (di cui uno anche qui a Milano) a cui si uniscono i Luoghi di Prossimità.. come traducono sul campo i principi della Fondazione?
I Centri sono l’agire quotidiano del modello di Prossimità di Ebbene. Sono spazi in cui si mette in campo un processo di economia circolare, aperti ad accogliere le persone che con le loro famiglie hanno bisogno di un sostegno. Non dobbiamo pensare obbligatoriamente a condizioni di fragilità estrema – anche se purtroppo sono le più numerose – ma anche solo a richieste di interventi per migliorare la qualità della propria vita. All’interno dei centri gli operatori mettono in campo le “4 A” Accoglienza, Ascolto, Accompagnamento, Autonomia rispondendo, ai bisogni evidenziati in una fase di pre-assestment, con un progetto personalizzato. I servizi che vengono erogati dai Centri – in proprio o attraverso convenzioni con agenzie del territorio – sono moltissimi e dipendono sia dalle richieste de territorio che dalle energie che esso stesso mette a disposizione. Dall’inserimento lavorativo al sostegno alimentare passando per i servizi previdenziali, alle attività aggregative, educative o sportive e molto altro. I Luoghi di Prossimità sono invece punti o progetti che rappresentano la Fondazione sul territorio all’interno dei quali si agisce rigenerando contesti degradati, ma non erogano servizi di Prossimità.
Con il Consorzio Sol.co promuovete diverse occasioni d’incontro come l’Happening della solidarietà e la Biennale della Solidarietà.. come è cambiato nel tempo il dibattito sulle politiche di welfare?
Happening così come Biennale sono luoghi privilegiati di confronto ma soprattutto laboratori in cui non ci si ferma alla narrazione di esperienze o alla divulgazione di profili scientifici, sono occasioni in cui si genera un dibattito produttivo al quale, se ben condotto, segue un’azione.
Il dibattito è cambiato moltissimo se guardiamo tre direzioni, quello della conoscenza, quello della consapevolezza e quello della relazione. Welfare, Terzo Settore e Prossimità non sono più termini tecnici compresi solo dagli operatori del settore ma di uso comune anche per i cittadini, il dibattito è diventato quindi più ampio perché gli attori che con comprensione vi partecipano sono aumentati.
Un dibattito più consapevole perchè le organizzazioni del Terzo Settore hanno gradualmente acquisito consapevolezza del loro ruolo e – dall’altro lato – le Istituzioni hanno compreso che solo l’azione sinergica può generare interventi realmente efficaci.
L’ultimo è quello della relazione. Occasioni come Biennale o Happening della Solidarietà sono occasioni per rinsaldare la relazione tra organizzazioni, cittadini, attori produttivi e Istituzioni in un processo che evidentemente è circolare. Credo sia finita l’epoca della comunicazione unidirezionale.
• Cosa ne pensa della deriva delle politiche sociali degli ultimi anni? Ed in questo contesto, come si inseriscono gli ultimi provvedimenti governativi come il reddito di cittadinanza?
Interventi disconnessi dalla realtà, più orientati a costruire dipendenze che a lavorare realmente per la dignità delle persone. E’ certamente un traguardo – più concettuale che tecnico – l’aver immaginato una misura universale con una programmazione estesa, l’errore è quello di pensare che interventi come il RdC possano risolvere la questione della povertà in Italia senza un piano complessivo di sostegno per le famiglie, un piano che viaggi grazie alla collaborazione del terzo settore e parallelamente a una strategia di Sviluppo del Paese che si diparta proprio da quel capitale Umano “assistito” e che in vece va trasformato in produttivo e generativo.
• Come valuta, attualmente, la rete di protezione sociale in Sicilia?
Fragile, più delle fragilità su cui dovrebbe incidere.
• Strizzando un occhio al futuro, cosa bolle nella già importante pentola della Fondazione?
Ebbene vuole intensificare l’applicazione del modello adattandola a nuovi contesti, a nuovi potenziali Centri di Prossimità. In questo senso il percorso si completa anche grazie a un lavoro di ricerca sull’impatto reale che il modello di Ebbene genera così da dialogare con maggiore forza anche con le Istituzioni che sono aperte a immaginare una nuova modalità di rispondere ai bisogni delle persone.