Sotto padrone. Intervista a Marco Omizzolo
di Alessandra Montesanto
Associazione Per i Diritti umani ha intervistato Marco Omizzolo, autore del saggio “Sotto padrone. Uomini, donne e caporali nell’agromafia italiana” (per Feltrinelli) e lo ringrazia molto per la disponibilità.
Un viaggio nel cuore delle agromafie, tra caporali che lucrano sul lavoro di donne e uomini, spesso stranieri, sfruttati nelle serre italiane. Braccianti indotti ad assumere sostanze dopanti per lavorare come schiavi. Ragazzi che muoiono – letteralmente – di fatica. Donne che ogni giorno subiscono ricatti e violenze sessuali. Un sistema pervasivo e predatorio che spinge alcuni lavoratori a suicidarsi, mentre padroni e padrini si spartiscono un bottino di circa 25 miliardi di euro l’anno. Un viaggio, quello di Omizzolo, condotto da infiltrato tra i braccianti indiani nell’Agro Pontino e proseguito fino alla regione indiana del Punjab, sulle tracce di un trafficante di esseri umani. Un’inchiesta sul campo che parte dall’osservazione e arriva alla mobilitazione: scioperi, manifestazioni, denunce per rovesciare un sistema che si può sconfiggere.
Come si sono svolte le ricerche per la preparazione di questo libro?
Il libro “Sotto padrone” fa sintesi di circa 12 anni di ricerca sociale e immersione nella comunità indiana dell’Agro Pontino e poi è espressione di un lungo percorso di analisi, studio e ricerca sul tema lavoro e immigrazione. Dunque, il libro si è composto, metaforicamente, di analisi e ricerche sviluppate all’interno di questo percorso che ha sempre richiesto approfondimento, aggiornamento e messa in discussione di ogni stato di certezza. Le ricerche sono state bibliografiche ma soprattutto sperimentate nel territorio pontino mediante l’osservazione partecipata, elementi di sociologia visuale, raccolta di storie di vita, analisi di sociologia delle migrazioni e dei processi economici e sociali, entografia e metodologia applicata. La combinazione di queste competenze, sommate ai dati e alle informazioni assunte nel territorio pontino, ha sviluppato e articolato la riflessione contenuta nel libro.
Su cosa è basato il sistema di sfruttamento nelle serre italiane?
Su diversi fattori. In primis sul processo di svilimento e squalificazione del lavoro, delle sue relazioni sindacali e dunque di rappresentanza, di liberazione quale dinamica di base, per precipitare nella sua delegittimazione e nell’accettazione, anche collettiva, di riforme che ne hanno mortificato la natura fino a comprendere lo sfruttamento come una delle sue condizioni di base, quasi costituente. E poi i processi di ghettizzazione ed emarginazione della fragilità a partire dalla condizione giuridica e di classe dei migranti braccianti, considerati inferiori per natura quando invece lo sono per legge e interesse. Lo sfruttamento e le agromafie sono state incentivate in questo Paese e le riforme che le hanno prodotte addirittura considerate necessarie per generare sviluppo. Quest’ultimo però, da distinguere dal progresso come ricorda Pasolini, ha riprodotto il rapporto padrone-schiavo, come anche recentemente le Nazioni Unite hanno ricordato e con esso anche un sistema di diseguaglianze ed emarginazione, ora certificato e rafforzato dai decreti Sicurezza, come recentemente ha ricordato Amnesty International Italia con il suo studio “I sommersi dell’accoglienza”. Siamo a nuove forme di schiavitù in un Paese che ha all’articolo 1 della sua Costituzione un richiamo fortissimo al lavoro come generativo della democrazia. Oggi siamo, come ricorda l’Eurispes, ad un business economico complessivo delle agromafie di circa 25 miliardi di euro. Soldi che vengono riciclati nel sistema economico ufficiale sino ad intossicare le relazioni sociali e a riprodurre vincoli di classe rigidissimi.
Nello sfruttamento sono coinvolte anche le donne. In che misura?
Hanno varie funzione e interpretano diversi ruoli. Quello più diffuso riguarda la condizione di ulteriore emarginazione, sfruttamento e violenza che esse subiscono. In genere percepiscono una retribuzione del 30% inferiore a quella dei loro colleghi e connazionali uomini. Inoltre in alcuni casi esse subiscono, come accade nelle campagne di Vittoria, in Sicilia, in Puglia e nell’Agro Pontino, ricatti e violenze sessuali perpetrate da padroni e caporali privi di scrupoli che così continuano ad usarle solo come corpi per soddisfare le loro ansie di profitto, di potere e sessuali.
Può riportare alcuni esempi di sentenze a vostro favore?
Nell’Agro Pontino ci sono decine di processi aperti ma ancora pochi sono arrivati a sentenza. Siamo però fiduciosi che questo accadrà molto presto e speriamo che le sentenze di condanna siano completamente eseguibili.
In quali modi si può portare avanti la lotta alle agromafie?
Direi mediante alcune riforme di sistema a partire da una riforma finalmente espansiva e rafforzativa dei diritti del relativo mercato del lavoro, riforma del welfare che vada incontro al disagio e lo sappia risolvere nella direzione del suo superamento, approfondendo il tema di continuo per accrescere il nostro livello di consapevolezza e di azione conseguente matura anche dal punto di vista politico. Si tratta di un percorso lungo e faticoso ma necessario, altrimenti continueremo a descrivere un sistema che risulterà sempre invincibile pur non essendolo.