Patrick Zaki libero subito
P
di Giuseppe Acconcia
Patrick Zaki, studente e attivista dell’Università di Bologna, è stato arrestato lo scorso sei febbraio al suo arrivo all’aeroporto del Cairo con accuse di “diffusione di notizie false”, “mettere in pericolo la sicurezza nazionale” e “incitamento alle proteste”. Sabato 22 febbraio la Corte di Mansoura, la sua città natale sul Delta del Nilo deciderà se estendere la custodia cautelare di Zaki, 27 anni. Secondo l’ong egiziana Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR), Zaki ha subito torture per ore ed elettroshock durante la sua detenzione. Patrick Zaki, che stava per concludere un Master in studi di genere, aveva duramente criticato la repressione in corso in Egitto ricordando spesso il caso di Giulio Regeni. Flashmob per chiedere il rilascio immediato di Zaki si sono svolti in varie città italiane, con la partecipazione di varie associazioni studentesche tra cui Link e Adi (Associazioni dottorandi e dottori di ricerca in Italia).
Zaki e il caso Regeni
“Combattiamo per i nostri attivisti, ma anche per Giulio Regeni. Le istituzioni cercano di impedirci di parlarne, le proteste (in Egitto, ndr) non sono permesse, le ong affrontano minacce”, aveva dichiarato Zaki in un’intervista all’agenzia Dire nel 2018. I casi di Patrick Zaki e Giulio Regeni hanno molte similitudini, come confermato dalla famiglia del giovane egiziano. Tra le richieste, fatte a Zaki durante la detenzione, ci sarebbero proprio i suoi legami con la famiglia Regeni in Italia. E così, a pochi giorni dalla diffusione della notizia della sua scomparsa, è apparso un murales a qualche passo dall’ambasciata egiziana a Roma in cui si vede Giulio abbracciare Patrick e la scritta “Stavolta andrà tutto bene”. Per ben sei giorni, dal 25 al 31 gennaio 2016, non è stata diffusa la notizia ai media della scomparsa di Giulio Regeni, rallentando l’attivazione del clamore mediatico che avrebbe permesso di fare maggiori pressioni sulle autorità egiziane per chiederne il rilascio.
A oltre quattro anni dalla scomparsa e ritrovamento del corpo del dottorando friulano, il 3 febbraio 2016, le indagini sui responsabili in Egitto non fanno progressi. Fin qui sappiamo che sono coinvolte alte gerarchie militari egiziane perché Giulio è stato preso il 25 gennaio 2016, anniversario delle proteste di piazza Tahrir del 2011. Si sa anche che sono stati i suoi contatti in Egitto, tra coinquilini e sindacalisti intervistati, ad averlo tradito e denunciato alle autorità egiziane per il suo lavoro di ricerca sui sindacati. Eppure gli interessi a mantenere buone relazioni bilaterali con il regime militare egiziano hanno fin qui impedito a Italia e Unione europea di dichiarare l’Egitto come un paese non sicuro e di fare maggiori pressioni per arrivare alla verità e svolgere un processo che individui i responsabili del crimine. Solo pochi giorni fa due navi militari sono state vendute da Roma all’Egitto, mentre il ruolo del Cairo in Libia e gli interessi petroliferi nel Mediterraneo orientale sono in cima all’agenda della politica estera italiana nel paese.
Zaki e la repressione in Egitto
Il caso Zaki è solo uno tra le migliaia che coinvolgono attivisti e oppositori in Egitto. Lo scorso venerdì, il senatore repubblicano negli Stati Uniti, Marco Rubio, aveva chiesto alle autorità egiziane di rivelare il luogo di detenzione di Mostafa al-Naggar, attivista ed ex parlamentare dei Fratelli musulmani di cui non si hanno notizie da 16 mesi. Lo scorso mese un cittadino statunitense in carcere in Egitto da oltre sei anni, Mustafa Kassem, è morto in prigione dopo un lungo sciopero della fame. Restano ancora in prigione dalle proteste dello scorso settembre con rinnovi di 15 giorni in 15 giorni, gli attivisti, Alaa Abdel Fattah e Mahiennour el Masry. È stato rinnovato il periodo detentivo anche per la giornalista e attivista Esraa Abdel Fattah, accusata di diffondere “notizie false” e di far parte di “un’organizzazione terroristica”. Esraa avrebbe subito torture in prigione per mano di agenti in borghese. Secondo Amnesty International, sarebbero state almeno 4mila le persone arrestate al Cairo per prevenire ulteriori manifestazioni, solo lo scorso autunno, mentre sarebbero oltre 60 mila i prigionieri politici nelle carceri egiziane dopo la repressione avviata con il golpe militare del 3 luglio 2013. E non solo, il think tank ha accusato la Procura suprema per la Sicurezza di Stato di abusare costantemente delle leggi antiterrorismo per estendere la definizione di terrorismo e annullare qualsiasi garanzia prevista dalla Costituzione per gli imputati. E così migliaia di persone sono state arrestate con accuse inventate, hanno subito prolungati periodi di detenzione preventiva, hanno subito torture e maltrattamenti in carcere.
Sconcerto ha suscitato poi in Egitto la morte di Nada Hassan, 12 anni, a causa di una mutilazione genitale femminile ad Assiut, 380 chilometri dal Cairo. Il medico che ha praticato l’operazione, ancora molto diffusa soprattutto in aree rurali, è stato arrestato insieme alla zia della giovane. Secondo quanto è emerso dalle indagini, il medico non avrebbe usato anestetici né avrebbe avuto il supporto di infermieri.