“Stay human. Africa”. Coronavirus in Africa: quali rischi per l’Italia
di Veronica Tedeschi
L’allarme per il Continente Africano è scattato settimane fa, come l’avvento di un’apocalisse. C’è chi ha definito l’Africa il punto debole di controllo per la diffusione del Coronavirus e chi ha urlato a gran voce che il virus in Africa avrebbe provocato la fine della specie umana.
Come previsto, il virus è arrivato anche nel caldo Continente ma non con la forza immaginata. Da qualche giorno, infatti, abbiamo superato di gran lunga i 1.000 contagiati e, per ora, la situazione rimane sotto controllo. I paesi “più ricchi” stanno trainando dietro di sé i paesi del terzo mondo, consigliando la chiusura delle frontiere e chiudendo le attività produttive. In Senegal le frontiere, come le scuole, sono chiuse e per i cittadini di tutto il paese vi è un coprifuoco dalle ore 20.00 alle ore 6.00; parallelamente i controlli delle forze armate stanno aumentando.
L’esperienza di gestione di virus ed epidemie sta dimostrando una prontezza di risposta all’emergenza che, però, potrebbe non bastare. Le strutture sanitarie di tutto il continente sono precarie e anche nei paesi più virtuosi gli ospedali sono sovraffollati e i pochi medici a disposizione non sono in grado di garantire cure a tutti i cittadini.
La paura di questo periodo sta pervadendo anche il nostro buon senso: una testata giornalistica ha descritto il pericolo al quale potranno incorrere Italia e Grecia se l’epidemia scoppiasse in Africa, aumentando, di conseguenza, i numeri delle persone contagiate presente sui barconi. Questa notizia è da sfatare: ancora prima del Coronavirus chiunque presentasse una malattia o infezione non veniva fatto partire dalle coste libiche sia per volontà dei trafficanti sia per decisione personale: intraprendere un viaggio di quel genere con una malattia in corso porterebbe certamente alla morte.
Escluso, dunque, questo problema, qualcosa l’Italia (e tutta l’Europa) potrebbe rischiare se il virus iniziasse ad uccidere come sta facendo nel nostro Bel Paese.
Un rischio inizialmente economico che potrebbe trasformarsi in vitale in pochissimo tempo: ricordiamo, infatti, che l’Africa è il continente che presenta il maggior numero e la maggiore quantità di materie prime di tutto il mondo.
Materie prime come caffè, cotone, tè e gomma. L’Africa esporta (quasi sempre senza una trasformazione iniziale sul posto) minerali e petrolio.
Oro, diamanti e rame si trovano in grandi quantità nei paesi dell’Africa Occidentale e Australe. Il petrolio è oggi pompato dai pozzi di tutta la fascia saheliana, in Nigeria e lungo le coste occidentali, in Egitto, Libia e Sud Sudan.
Giacimenti si trovano nel nord e sulle coste del Kenya, al confine tra Uganda, e Repubblica Democratica del Congo. Meno importanti economicamente, ma necessari alla produzione di prodotti elettronici sono i giacimenti di coltan nella Repubblica Democratica del Congo. Sono molti anche i depositi di oro, ferro, bauxite, rame, carbone, titanio e uranio.
Proviamo ad immaginare quanto questi materiali interessino, direttamente o indirettamente, i nostri affari, la nostra libertà di circolazione e la nostra stessa vita.
Chiudere le frontiere di un paese come l’Africa significherebbe avere ripercussioni molto importanti su tutto il resto del mondo a causa dell’utilizzo, improprio e non democratico, delle materie prime presenti in tutto il continente africano.