25 Aprile: giorno della Libertà, giorno della Memoria
di Alessandra Montesanto
Associazione Per i Diritti umani ha intervistato Giovanni Marilli, della sezione 3 dell’A.N.P.I. XXV Aprile che ringrazia e ringrazia anche Luisa Pesavento per il contatto. Perchè è importante celebrare la ricorrenza del 25 Aprile, ancora e ancora? Il 25 Aprile, il giorno della Liberazione, per noi è soprattutto il giorno della memoria. Il giorno segnato sul calendario nel quale sublimiamo la conoscenza di ciò che è avvenuto in questo Paese, ossia la capacità di un popolo intero di riprendere in mano il proprio destino dopo venti anni di regime fascista, venti anni di soppressione delle libertà, di eliminazione fisica degli oppositori e dei “diversi”. Vent’anni di svuotamento di ogni forma di partecipazione democratica, di annichilimento della coscienza civile. Vent’anni di violenza elevata a rango di strumento di contesa politica, vent’anni di razzismo, di guerre, di miseria, Il 25 Aprile è lo spartiacque ideale tra il torpore di una massa ridotta a suddito e il risveglio di un popolo che prende consapevolezza dei propri diritti e delle proprie speranze, di un popolo che si autodetermina nella Resistenza prima e nella Costituzione Repubblicana poi. Per questo è importante ricordare il 25 Aprile. Serve a tornare per un attimo su quello spartiacque, su quel crinale, e vedere cosa c’era prima e cosa c’è stato dopo. I giovani di oggi sono, a suo parere, abbastanza consapevoli delle vicende storiche e di alcune storie individuali che hanno segnato il mondo negli anni precedenti e successivi la Seconda Guerra Mondiale? Noi andiamo nelle scuole, il luogo privilegiato per parlare con i più giovani, in modo, con loro, da tenere viva la memoria. Tanto per dare qualche numero nel 2018 abbiamo avuto circa 39000 contatti con le scuole. Proviamo a raccontare loro che una conquista non è per sempre, che quello che i nostri padri e nonni, le nostre madre e nonne hanno conquistato, quello che i e le Costituenti hanno costruito è un dono prezioso; che questo dono ci è stato lasciato in custodia e occorre conservarlo con cura. E che occorre vigilare e impegnarsi per l’attuazione completa del dettame costituzionale. A me piace dire che la Costituzione sono le regole del gioco, che non basta giocare secondo le regole, ma che occorre stare in guardia perché le regole le osservino tutti e chiedere conto all’arbitro quando le si rileva qualche abuso. La sfida è come rendere quel passato che si allontana, ogni anno di più, e che rischia di apparire così remoto, attuale, vivo, concreto. Nel dialogo con i più giovani ci sorprende la curiosità, le domande che raramente sono banali, la loro voglia di capire l’oggi in relazione allo ieri. Scorgiamo la sorpresa di alcuni o la consapevolezza di altri che, seppure le vicende storiche possano essere collocate in contesti diversi, i valori che le sottendono sono valori universali. Se ai giovani la Resistenza e la Costituzione vengono spiegate per quello che sono, ossia carne e sangue per parafrasare un celebre monito di Pietro Calamandrei, e non sono ridotte a un sermone frontale, allora i giovani rischiano anche di appassionarsi. Non credo a giovani svogliati: è più facile credere a vecchi malvissuti. Possiamo stabilire alcune analogie tra la propaganda del primo novecento e i giorni nostri? E, in caso affermativo, in che modo possiamo decostruire una certa mentalità intrisa di odio e di violenza? Sicuramente ci sono analogie preoccupanti, per quanto, secondo me, la storia non si ripeta mai due volte ( e neanche sotto forma di farsa). Viviamo una situazione di disagio economico diffuso e di drammatica disuguaglianza di fatto nell’accesso ai diritti, anche quelli più elementari. E come sempre è accaduto nella storia, la disperazione porta facilmente a individuare capri espiatori, la frustrazione rabbiosa può essere più facilmente convogliata a scaricarsi verso gli ultimi, i più indifesi. Le tecnologie della comunicazione attuali sono enormemente più potenti e capillari di quelle dei primi del ‘900 e questo rende ancora più complesso lo scenario, più oneroso lo sforzo di chi sente il dovere di rovesciare certi pregiudizi, di contrastare certe sub-culture violente, prevaricatrici, spietatamente razziste. Purtroppo non ci sono ricette semplici, anzi la sfida sta nel proporre risposte complesse a problemi che sono complessi. Grandi questioni che soltanto chi, per mala fede o per pura insipienza, si fa portatore di una cultura di odio e di prevaricazione si compiace nel semplificare. Di fronte alla irrefrenabile velocità dell’accumulare “like” grazie a battute ad effetto, di fronte all’impulso di rispondere colpo su colpo e con colpi sempre più forti e dirompenti, di fronte al desiderio di spingersi sempre più in alto per spiccare dall’anonimato calpestando, se serve, quelli attorno, mi viene in mente quell’invito di Alex Langer condensato in tre parole che rovesciano il motto olimpico: lentius, suavius, profundius. Direi di ripartire da qui. Quest’anno, il 25 Aprile, si celebra in un’epoca toccata da una pandemia mondiale: quali sono i pericoli – a livello politico e sociale – a cui potremmo andare in contro, data anche la debacle economica in cui versa e verserà il nostro Paese? A questa domanda credo siano appropriate le parole di Carlo Smuraglia, presidente emerito dell’ANPI :”Se la memoria deve essere, prima di tutto, conoscenza e consapevolezza, il 25 aprile dobbiamo necessariamente guardarci attorno e pensare al futuro, che si profila pessimo, estremamente difficile, fortemente pericoloso. Avremo, quando saranno finiti gli effetti immediati del Coronavirus, degli effetti economici e sociali di una gravità inaudita. E come sempre (l’esperienza degli anni 20 insegna) situazioni del genere sono molto pericolose per la stessa democrazia.“Festeggiare” il 25 aprile significa, dunque, oggi anche capire il presente e prepararci per l’avvenire. Toccherà ancora una volta ai più consapevoli (e speriamo siano la maggioranza del Paese) prendere in mano il destino proprio e quello della nazione, combattendo le disuguaglianze e la povertà, creando condizioni di lavoro e di vita improntate ad una profonda socialità; occorrerà un impegno fortissimo di chiunque ami la libertà e creda nella Costituzione, fare il possibile per liberarci non solo dai guai sanitari, ma anche dei problemi economici e sociali che inevitabilmente colpiranno il Paese.Se siamo usciti da un dopoguerra difficilissimo, dopo il 25 aprile 1945, se abbiamo dato vita ad una Costituzione tra le più avanzate del mondo, sappiamo oggi che dovremo fare altrettanto anche questa volta, per consegnare ai nostri figli ed ai nostri nipoti un Paese libero, uguale e solidale, contro ogni forma di odio, di fascismo e di razzismo. E ciò in nome di quel sogno di libertà per cui dettero la vita tante donne e tanti uomini nel periodo fascista e nella Resistenza. Sarà questa la nostra forza; e con questo spirito potremo intonare ancora una volta la nostra canzone più cara. Bella Ciao, non per festeggiare una data guardando al passato, ma per affrontare con forza, decisione e impegno un futuro di pace, di democrazia, di libertà.” Ricordiamo perchè si canta “Bella Ciao” (Ripresa, ultimamente, anche da una celebre serie tv spagnola…)? Per la “storia” di Bella Ciao rimando al sito dell’ANPI https://www.anpi.it/articoli/849/bella-ciao Credo che ci riconosciamo in Bella Ciao perchè nelle parole di Bella Ciao, nel ritmo, nella cadenza, echeggia un sentire universale di resistenza e di libertà che ci accomuna tutti a qualunque latitudine . https://youtu.be/mQBbgre25Qs |