Il pregio della disabilità
di Alessandra Montesanto
Associazione Per i Diritti umani ha intervistato Delia Gamba, donna, moglie e madre di un ragazzo con grave disabilità, ex responsabile di un’associazione, scrittrice.
La ringraziamo per queste sue parole e per aver condiviso con noi la propria esperienza.
Può raccontarci la nascita di suo figlio Mirko e come si è sentita quando è diventata madre di un bimbo disabile?
Mio figlio è nato ad agosto del 1973 e come si usava ai tempi, si era provveduto ad un matrimonio riparatore.
All’epoca l’aborto non era legale, ed a dirla tutta, io non ci avevo proprio pensato anche se io andavo ancora a scuola e il papà non aveva lavoro. si metteva il fatto che sono figlia unica ed ero la classica ragazza di famiglia piccolo borghese, ogni desiderio era un ordine per i miei genitori, ero quindi poco abituata a prendermi delle responsabilità, ma l’idea di abbandonare mio figlio era impensabile e quindi la decisione è venuta da sola.
Mirko, è nato ma le cose si sono complicate subito, a causa di un trauma da parto, ha subìto anossia e quindi una grave lesione cerebrale.
Il rapporto con il padre era già vacillante ed è miseramente crollato.
Dopo pochi mesi se ne è andato, anche se ha riconosciuto il figlio e non gli ha fatto mai mancare nemmeno un piccolissimo contributo economico, anche perché, quando Mirko aveva un anno e mezzo è mancato il nonno materno, unica fonte di sostentamento, e io e la nonna abbiamo cominciato ad occuparci del bambino.
Dichiarato, da subito, invalido abbiamo cominciato a fargli praticare la fisiochinesiterapia per tentare di portalo a camminare, abbiamo sperimentato parecchi metodi ma purtroppo i risultati non sono stati quelli sperati, abbiamo quindi sospeso anche perché Mirko stesso si rifiutava di fare gli esercizi.
I nostri obiettivi venivano stravolti e abbiamo capito che si può vivere senza camminare, ma non senza poter costruire rapporti umani, ci siamo quindi concentrati a procurare a Mirko un metodo di comunicazione,visto che lui non parla.
Abbiamo trovato un metodo di comunicazione aumentativa che non dava i risultati sperati, poi a 14 anni Mirko è andato in vacanza con alcuni volontari da solo e si è reso conto che la tabella con i simboli
chiamati PCS potessero servirgli per soddisfare i suoi bisogni primari e i risultati, infatti, sono stati migliori.
Con il suo nuovo marito ha costituito un’associazione per dare consigli utili e per sensibilizzare sul tema della disabilità: quali sono state le vostre attività?
Gli anni erano passati e quando Mirko aveva 11 anni mi sono risposata con una persona che faceva già del volontariato con i disabili. Con il mio nuovo marito ho deciso di costituire un’associazione tutta nostra.
Senza troppe pretese abbiamo preparato un programma che tenesse conto delle realtà del territorio.
Abbiamo allestito nella piazza principale del nostro paese (Albino, BG) un banchetto con gli utenti del C.S.E. e sono stati costruiti degli aquiloni che i ragazzi disabili regalavano ai bambini, scardinando così lo stereotipo della persona fragile che deve prendere, imparare e mai dare o insegnare.
Sull’onda di questa idea siamo entrati nelle classi quarte delle scuole primarie del nostro circolo didattico e Mirko è entrato come esperto di un nuovo tipo di comunicazione: breve presentazione da parte nostra, gioco “facciamo finta di essere tutti come Mirko “ per far sperimentare ai bambini la difficoltà di avere delle cose da dire ma di non essere in grado di esprimersi perché non si parla e ci si muove poco, domande dei bambini, domande a Mirko che rispondeva con i pollici, e per finire disegni realizzati tutti insieme in modo che ci fosse un contatto fisico tra i partecipanti.
Alla fine del percorso i ragazzi riflettevano con le loro insegnanti e producevano elaborati che venivano esposti in biblioteca con una premiazione e la realizzazione di libretti divulgativi in cui preparavo una fiaba come filo conduttore corredata dagli elaborati che avevano suscitato maggiori emozioni in noi.
Ora l’esperienza è finita perché Mirko si è stancato e abbiamo anche chiuso l’associazione per raggiunti limiti d’età di noi genitori.
Mirko non parla, ma comunica tantissimo. In che modo?
Mirko comunica con un metodo di CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) che si chiama PCS: una tabella in cui sono presenti simboli e che Mirko segna usando i pollici. Dopo uno studio con esperti si è capito che riusciva a controllare benino i pollici delle mani ed era una
ricchezza che non doveva utilizzare e non poteva essere ignorata.
Abbiamo preparato delle tabelle di legno ed abbiamo incollato i simboli. Esempio pratico del simbolo bere: c’è la parola ed un bambino che porta il bicchiere alla bocca.
Con questo metodo siamo riusciti anche a partecipare ad alcuni concorsi letterari e a scrivere alcuni libricini.
Mirko segna con il pollice sulla tabella, dopo aver concordato un argomento e io tramite un CD trasferisco il tutto sul computer.
In questo periodo di pandemia, Mirko ha realizzato disegni bellissimi di fiori dedicati a ogni persona che ha perso la vita. Abitate proprio nell’area lombarda maggiormente colpita dal Covid-19…
Purtroppo noi viviamo nel triangolo della morte da Covid-19 e abbiamo subìto molte perdite, tanti amici che hanno camminato per un pezzo di strada con noi.
Abbiamo pensato a ognuno e scelto il fiore in base alla loro personalità o a ciò che ci hanno donato.
Un esempio per tutti: pensando ad Armando abbiamo scelto il girasole perchè era un uomo che aveva una figlia come Mirko che, purtroppo ,è mancata anni fa, ma nonostante ciò lui e la moglie hanno continuato a lottare con noi. Armando aveva una elasticità mentale che guardava in tutte le direzioni proprio come un girasole.
Come si può affrontare il “Dopo di noi”?
Argomento dolente, io credo che il “dopo di noi” si possa costruire solo pensando ad un “durante noi”. Dobbiamo preparare i ragazzi a allontanarsi gradualmente dalla famiglia e dare loro gli strumenti per poter vivere una vita dignitosa.
Al momento, non esistono o esistono poche case-famiglia per persone gravi come Mirko. In quelle strutture si trovano persone quasi autosufficienti,per disabili gravi ci sono solo istituti.
Devono sorgere ambienti dove anche le persone gravi vengono accolte, rispettate e dove siano garantite le loro piccole autonomie.
Cos’è per lei la disabilità?
Tanto lavoro su se stessi, sui propri figli e sulla società perché i disabili non hanno il “passaporto” che la gente comune riserva alle altre persone, devono però essere stimoli per gli altri, senza vivere con una coppa di dolore sulla testa che rovinerebbe la vita e l’equilibrio della famiglia.
Si accendano, quindi, i motori e vento in poppa verso questo viaggio che è la vita, con la prospettiva di migliorare le altre persone che non hanno l’opportunità di crescere umanamente insieme e grazie ai disabili.