La montagna incantata di Thomas Mann: la società di ieri e quella di oggi
di Sonia Zuin
In questo periodo sto leggendo La montagna incantata di Thomas Mann. Trovo singolare la coincidenza che lo stia leggendo proprio in un periodo di segregazione domestica, molto simile all’isolamento vissuto da Hans Castorp, il protagonista del libro, nel lunghissimo periodo trascorso nel sanatorio. Nel libro viene descritta la progressiva dilatazione dei tempi: appena arrivato, ad Hans sembra che le tre settimane di soggiorno previste per fare visita al cugino siano un periodo molto lungo, ma in seguito, passando da ospite a malato, tre settimane diventano un nulla. La vita acquista ritmi diversi e non si misura più in giorni, ma in settimane o addirittura in mesi.
Forse, se avessi letto questo libro in un periodo diverso, avrei trovato esagerata e poco verosimile una simile dilatazione dei tempi, anche se in misura minore ne ero già perfettamente consapevole (e forse lo siamo tutti: la percezione della durata di un’ora trascorsa in un’attività che ci impegna e appassiona, qualunque essa sia, è completamente diversa da quella di un’ora passata in coda alla posta con il numero in mano). Leggere La montagna incantata nell’inusuale realtà che sto vivendo, mi ha fatto apprezzare in modo completamente diverso questa caratteristica del libro perché la mia concezione del tempo ha subito la medesima trasformazione: all’inizio l’idea di stare in casa per tre giorni di fila mi sembrava un’impresa impegnativa dal punto di vista psicologico, ora che mi sono adattata ai nuovi ritmi (in cui, per altro, lavoro da mattina a sera), vivo con la consapevolezza che l’unità di misura dello scorrere del tempo non è più il singolo giorno, o le frazioni della giornata, ma l’intera settimana. L’uomo ha una straordinaria capacità di adattamento, forza evolutiva del nostro passato, del presente e del futuro, e questa ne è l’ennesima dimostrazione.
C’è però un’altra considerazione da fare, di valenza pratica e non filosofica: penso che la maggioranza di noi abbia vissuto finora con la consapevolezza che la vita che facevamo era sicuramente migliorabile, ma che fosse in un certo modo l’unica possibile. Ritmi, valori, priorità… Certo, molti di noi criticavano i ritmi e le priorità della nostra società, ma in qualche modo li accettavamo perché ci sentivamo inseriti in un meccanismo che non si poteva cambiare. Un meccanismo ormai avviato e con un’inerzia enorme.
La pandemia ha improvvisamente ridotto drasticamente la velocità e la frenesia del meccanismo. Dopo l’inevitabile smarrimento, stiamo ritrovando un nuovo equilibrio. È successo quello che mai nessuno avrebbe pensato che sarebbe potuto accadere. Adesso la priorità è far ripartire il meccanismo, ossia la società, perché altrimenti moriremmo tutti di fame, ma questa esperienza ci sta insegnando che tutto è relativo e modificabile. Nel libro di Thomas Mann sono stati i lunghi anni trascorsi in alta montagna in sanatorio, quasi un luogo al di fuori del tempo e dello spazio, e i frequenti colloqui con l’intellettuale Settembrini e il gesuita Naphta, a far sì che Hans Castorp mettesse in dubbio i valori borghesi con cui era arrivato, tipici della società attiva e produttiva della pianura, e a fargli nascere il desiderio di investigare, di capire, di mettersi in discussione. Allo stesso modo le nostre precedenti certezze e consuetudini sono state messe in crisi da molti fattori: l’isolamento forzato che ognuno di noi ha vissuto, la devastante crisi economica e le preoccupazioni per il futuro, ma anche immagini con una valenza simbolica ed emotiva enorme come quella del Pontefice che prega da solo in piazza S. Pietro, normalmente gremita dai fedeli, e ora completamente deserta, immagine di per sé surreale che ha posto il Pontefice in un luogo al di fuori del tempo e dello spazio. Anche in noi, come in Hans Castorp, dovrebbe nascere il desiderio di investigare, di capire e di mettere in discussione le nostre vecchie consuetudini e i vecchi valori, ed è per questo che saremmo scellerati se facessimo ripartire la nostra vita esattamente come prima.
Abbiamo bisogno di rifondare la società. I grandi cambiamenti possono avvenire in virtù dell’azione di statisti illuminati che sanno coinvolgere l’opinione pubblica in modo positivo e non coercitivo; in mancanza di figure politiche di così alto valore e carisma, si può pensare, o almeno sperare, che possa essere la consapevolezza della gente a sollecitare istanze di cambiamento che trovino risposta in una coerente azione di governo. Non penso a un mondo completamente diverso perché è utopico pensare di farlo e probabilmente non saremmo neanche in grado di concepirlo se non in termini molto astratti, figuriamoci di realizzarlo. Penso invece a una riorganizzazione profonda della società e del nostro modo di vivere, questo sì, a partire dalla gestione dei trasporti, degli spostamenti e del conseguente inquinamento, dell’organizzazione del lavoro e degli acquisti. A partire dalle priorità di spesa da parte dello stato. A partire dalla lotta all’evasione fiscale, che però per concretizzarsi presuppone una consapevolezza diffusa nella gente. Tutti aspetti pratici e concreti che, si spera, poco per volta possano portare nell’immediato a un maggiore benessere collettivo non a scapito dei guadagni (anzi, magari aumentandoli in virtù della diminuzione degli sprechi), e più a lungo termine a una maggiore coesione sociale, che in realtà la pandemia ha mostrato non essere del tutto spenta come tanti temevano, ma che andava solamente rinvigorita, togliendo un’enorme coltre di cenere.
Bene, non permettiamo che la cenere riprenda a poco a poco a depositarsi nuovamente sul calore della riscoperta coesione e solidarietà sociale.