“Stay human. Africa” Il calore della giungla
di Veronica Tedeschi
Ha appena smesso di piovere ma fa comunque molto caldo: il sole, in pochi minuti, ha subito ricaricato l’aria di un’umidità sfiancante. Con i suoi soliti jeans e le ciabatte di gomma, Alì oggi vuole farci fare un giro del villaggio. E così, dopo una breve preparazione inizia il nostro tour per le strade di Kabala, un luogo incantato immerso nella giungla nel nord della Sierra Leone: curiosi e sudati, zaino in spalla, partiamo immediatamente.
La visita inizia dalla biblioteca, un luogo estraneo rispetto a quanto visto fino ad ora: pulita, ordinata e con addirittura una stanza dedicata ai corsi di informatica, dotata di PC e accessori vari (penso subito che la biblioteca del mio paese in Italia non fornisca un servizio di questo tipo). Compare Tambay, il proprietario di casa nostra, che, serioso e agitato, ci dice che sta concludendo l’ultima lezione di un corso e che lo stesso giorno avrebbe dovuto sostenere l’esame di conoscenze informatiche. Gli facciamo un in bocca al lupo e proseguiamo.
La struttura mi accoglie con una scritta “No matter the crime, every one has the right to fair trial”. Il diritto ad un equo processo, così importante e così spesso sottovalutato: quel cartello, posto proprio all’entrata della biblioteca, rappresenta a mio parere un monito per tutti gli abitanti di Kabala che, come un urlo, ricorda a tutti di avere dei diritti!
La calda camminata prosegue tra bambini e casette di fango, campi di calcio improvvisati e profumo di cibo.
Bambini e Africa sono due parole spesso associate e la realtà che si trova nel caldo continente è proprio questa: in ogni angolo e lungo tutte le strade si trovano bambini di ogni età. In Sierra Leone accade la stessa cosa anche se, in generale, percepisco la stanchezza di una popolazione che, dopo una sanguinosa guerra civile, ha dovuto affrontare ebola per vedere parenti e amici andarsene. Si percepisce nell’aria un’attenzione in più agli sguardi e alle parole, atipica degli africani. In generale, però, conosco persone cordiali e gentili, ritrovo l’accoglienza e il calore che da sempre accompagna i miei viaggi in Africa.
L’ultima fermata del tour è il luogo nel quale avremmo dovuto lavorare: la School for the blind, una casa, con annessa scuola, dedicata ai bambini ciechi del quartiere abbandonati nella foresta. La prima cosa che vorrei sottolineare è che per arrivare in questo luogo abbiamo dovuto riprendere l’auto poichè la struttura è sita immediatamente alle porte del villaggio, quasi come a significare “ci siete, ma non troppo vicino”.
La condizione dei disabili africani eredita un passato fatto di superstizioni e pregiudizi. Nel portatore di handicap gli africani vedevano, e tuttora, in larga parte, vedono, qualcosa di strano. Un’anomalia che, per forza, deve venire da un intervento esterno, più o meno spirituale. Un fenomeno che va interpretato. Se è nato un disabile è perché qualcuno ha fatto il malocchio, oppure i genitori si sono comportati male, oppure conoscenti o parenti hanno fatto riti speciali, ecc.
Questi bambini ne sono la rappresentazione, abbandonati nella foresta hanno dovuto lottare per vivere e per poi trovare accoglienza in una struttura che preserva la loro vita ed educazione ma che si trova ai margini del villaggio e dell’intera società.
«Il disabile – conferma Pierre Kouasi, religioso africano – era una sorta di maledizione. Non si capiva perché una famiglia potesse avere un figlio “non normale”. L’uccisione di un bambino disabile era una pratica comune. Venivano eliminati e poi, d’accordo con la famiglia, si diceva che il piccolo era morto durante il parto. Se sopravvivevano, venivano nascosti».
Scossa e con tanti pensieri per la testa accetto di voler tornare alla guesthouse, la casa dei bambini ciechi mi stava incantando e dando forza di lottare, sperare e amare. C’era tanto da fare, da pensare e io volevo iniziare subito, volevo rimanere con quei bambini.
Torniamo a casa dopo un pomeriggio di riflessioni che avevano completamente cancellato l’incontro in biblioteca con Tambay; alle porte dell’ostello il suo sorriso ci accoglie, l’esame era stato passato con successo!