“Stay human. Africa” Raccontare l’Africa
di Veronica Tedeschi
L’articolo di questa settimana, che chiama a gran voce un reinizio post-Coronavirus, lo vorrei dedicare ad un grande giornalista che proprio a causa di questa pandemia ci ha lasciati prematuramente: Raffaele Masto.
Il giorno in cui fu annunciata la sua morte piansi, come ad aver perso una persona cara, nonostante io Raffaele non lo conoscessi di persona. Conoscevo però le sue storie, i suoi viaggi e, soprattutto, i suoi articoli che l’hanno per me reso maestro e mentore in campo giornalistico. Certamente le sue doti di scrittore e giornalista erano evidenti a tutti, era un grande professionista ma per chi amava l’Africa c’era di più: la capacità di Raffaele di raccontare il caldo continente era incisiva, precisa e senza sbavature. Da subito i suoi scritti si distinsero dalla folla di blogger amanti dei viaggi, l’Africa raccontata da Masto non era, finalmente, quella delle guerre e del Biafra.
In questi ultimi vent’anni i racconti sull’Africa hanno visto un netto cambiamento: fino agli anni 2000 l’Africa era unicamente quella del Biafra, del bambino malnutrito e delle guerre. Nei primi anni 2000, invece, l’Africa diventò, in pochissimo tempo, Musulmana, la mamma chioccia dei più malvagi terroristi. Solo da qualche anno il continente è anche “altro”, l’Africa Post Biafra è l’Africa dei viaggiatori e dei giornalisti progressisti che hanno avuto il coraggio di dire che l’Africa è accoglienza, cultura, storia e altruismo. Raffaele per raccontare l’Africa partiva proprio dagli africani che da subito poneva in una posizione di parità dando loro la possibilità di poter raccontare sì gli aspetti negativi ma anche i numerosissimi aspetti positivi del paese.
Raccontare l’Africa, questo era quello che Raffaele amava fare.
Di seguito un suo pezzo, riportato nell’ultimo numero della Rivista Africa con il quale voglio fare a lui elogio e ringraziamento:
“L’Africa non è più il continente che si presentava agli esploratori ottocenteschi, non è nemmeno quella romantica di Karen Blixen o quella delle grandi speranze dei padri della patria del post-colonialismo che Ryszard Kapuscinski ha così ben raccontato. L’Africa del terzo millennio è un continente che non sa dove andare, abbagliato dal mito dell’Occidente e contemporaneamente deluso, rassegnato, roso dal cancro della corruzione e dilaniato dalle guerre. Questa paralisi è il risultato della Storia, è un effetto ritardato dell’incontro con l’Occidente. Noi non sappiamo dove sarebbe andata l’Africa se il suo percorso non si fosse intersecato con il nostro. Probabilmente il suo processo di sviluppo non avrebbe avuto bisogno dello Stato-nazione, dei confini, dell’accumulazione del capitale. È stato l’Occidente – con il suo bisogno di espansione, di forza lavoro, di materie prime – che ha spinto le civiltà africane su binari che non erano i loro.
L’Africa ha resistito, e ancora oggi ce ne sono i segni. Il colonialismo, dopo aver vinto e sottomesso l’Africa che procedeva per la sua strada, a un certo punto, mutate le necessità di espansione e di controllo di mercati e materie prime, l’ha lasciata a sé stessa con il risultato che gli africani non potevano più tornare indietro e riprendere la vecchia strada, né erano più in grado di andare avanti autonomamente. Una paralisi, appunto, che si esprime in diverse forme, anche con la guerra che in Africa è spesso conflitto tra etnie. Etnie che, se nella storia autoctona del continente avevano un senso, inserite nel contesto della nostra storia occidentale appaiono invece assurde e incomprensibili.”
“In Africa le religioni tradizionali sono fortemente radicate nella popolazione di ogni ceto e non sono solo una questione di riti, ma qualcosa di più. Sono un’interpretazione del mondo e della vita che la civiltà vincente non è riuscita ad estirpare. L’africano può essere cattolico, protestante o islamico, ma per lui il culto degli antenati è qualcosa che va oltre la religione che dice di professare. La stessa cosa vale per il rapporto con la natura, o per la sacralità dei legami della famiglia.”