“Stay human. Africa”. Thomas Sankara, il coraggio e la determinazione
Di Veronica Tedeschi
Sono mesi di grandi rivolte per l’Africa Subsahariana: in Costa d’Avorio molti manifestanti sono scesi in piazza contro la terza candidatura del presidente uscente Alassane Ouattara.
Segue la notizia riguardante la ricandidatura di Alpha Condé che a ben 82 anni ha annunciato di voler proseguire la sua presidenza in Guinea.
Sono giorni di grandi pensieri per gli amanti dell’Africa che vedono questo problema riproporsi negli anni, non sono mai servite le proteste di molti nè il coraggio di pochi.
In questo difficile contesto, un presidente su tutti – pochi anni fa – rivelò al mondo intero la sua avversione a queste dinamiche e cercò di ribellarsi ai suoi predecessori.
Thomas Sankara, presidente 34enne del Burkina Faso. Dal 1984 al 1987 governò il paese riuscendo a ribaltare alcune malsane consuetudini radicate negli apparati di governo.
La prima cosa che fece fu cambiare nome al suo Stato natale: da Alto Volta (nome affibbiatogli dal Congresso di Berlino) a Burkina Faso, in modo da creare un legame tra il Paese e la sua popolazione, i burkinabè (uomini integri).
Sono davanti a voi in nome di un popolo che ha deciso sul suolo dei propri antenati di affermare d’ora in avanti se stesso e farsi carico della propria storia. Oggi vi porto i saluti di un paese di 270 mila km quadrati in cui 7 milioni di bambini, donne e uomini si rifiutano di morire di ignoranza, fame e sete non riuscendo più a vivere una vita degna di essere vissuta – Thomas Sankara all’Assemblea annuale Nazioni Unite, 4 ottobre 1984 –.
Il Burkina Faso in quegli anni era la quinta essenza di tutti i mali del mondo e proprio in quel momento Sankara ebbe il coraggio di parlare a nome di tutti i poveri africani, alzò la testa per riconquistare l’emancipazione e il diritto all’educazione che spettava al suo popolo. Come criterio base di governo pose la felicità: la politica aveva senso solo se rendeva felici. Felici dovevano essere i governati e non i governanti (una follia per quei tempi).
Con il probabile supporto dei servizi segreti esteri (che avevano seguaci in Africa, dalla Libera con Charles Taylor – che scappò da una prigione federale americana per finire, casualmente, in Liberia – al senatore Prince Johnson), il 15 ottobre 1987 Thomas Sankara fu ucciso da Blaise Campaorè, suo successore alla guida del Burkina Faso e fedele amico. Secondo alcune ricostruzioni, a seguito di un litigio tra i due amici, Campaoré avrebbe sparato due colpi, mortali, al petto di Sankara, che si sarebbe accasciato senza vita su una sedia. Compaoré ha sempre negato questa versione dei fatti, affermando inizialmente che quel giorno era a casa sua, malato, e che a uccidere il presidente fosse stata un’altra persona, salvo poi ritrattare, affermando che fu lui ad uccidere Sankara, ma che il colpo partì accidentalmente dalla pistola.
Le idee di Sankara minacciavano l’Occidente: era il primo governante a pensare al suo popolo. Quando lo uccisero nel suo conto in banca trovarono pochissimi soldi e un mutuo acceso per il pagamento della casa in cui viveva con la sua famiglia. Applicava a sé stesso un certo rigore, prima di applicare regole ai suoi cittadini, doveva essere il primo a rispettarle: voleva dimostrare che con tanta volontà un paese poteva cambiare, senza elemosinare niente a nessuno.
Non parlo solo in nome del Burkina Faso ma anche in nome di tutti coloro che soffrono in ogni angolo del mondo. Parlo in nome dei milioni di esseri umani che vivono nei ghetti perché hanno la pelle nera o sono di culture diverse, considerati da tutti poco più che animali. Parlo in nome di quanti hanno perso il lavoro in un sistema che è strutturalmente ingiusto e congiunturalmente in crisi, ridotti a percepire della vita solo il riflesso di quella dei più abbienti. Parlo in nome delle donne del mondo intero che soffrono sotto un sistema maschilista che le sfrutta. Le donne che vogliono cambiare hanno capito e urlano a gran voce che lo schiavo che non organizza la propria ribellione non merita compassione per la sua sorte. Questo schiavo è responsabile della sua sfortuna se nutre qualche illusione quando il padrone gli promette libertà. Parlo in nome delle madri dei nostri Paesi impoveriti che vedono i loro bambini morire di malaria o diarrea e che ignorano che esistono per salvarli dei mezzi semplici che la scienza delle multinazionali non offre loro preferendo investire nei laboratori cosmetici, nella chirurgia estetica a beneficio dei capricci di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato dall’eccesso di calorie nei pasti così abbondanti e irregolari da dare le vertigini a noi che viviamo ai piedi del deserto.