“LibriLiberi”. Disegnavo pappagalli verdi alla fermata del metrò. La storia di Ahmed Malis
di Alessandra Montesanto
Non è un romanzo, è qualcosa di più, di diverso. Si tratta di una storia, quella vera di Ahmed Malis, un ragazzo di nuova generazione che vive con la sua famiglia nel quartiere Giambellino a Milano, raccontata tra Letteratura e diario, attraverso le voci di Ahmed, dei suoi parenti, dei suoi amici.
E’ l’ultimo libro della brava Nicoletta Bortolotti – già autrice di opere narrative di successo come “Chiamami sottovoce” da cui è stato tratto un docufilm per Rai3 – dal titolo Disegnavo pappagalli verdi alla fermata del metrò. La storia di Ahmed Malis, per Giunti.
Ahmed, in fondo, è ancora “un bambino di diciannove anni”, cresciuto in mezzo alla strada, sulle panchine della periferia cittadina (Gianbellino, Corvetto, Lorenteggio), dove i giovani sono spesso emarginati, annichiliti dalla noia, dalla mancanza di Futuro ed esprimono il loro tedio e la loro rabbia tra una fumata di erba e graffiti colorati. Quel bambino, cresciuto in fretta, parlava l’arabo perchè è di origine egiziana e ha un talento per il disegno: la matita riprende l’ambiente circostante e lo rende migliore, come in un film, come in un sogno perchè tanti sono i sogni e le aspettative di Mariam, di Isko il filippino, di Islam, di Amina, ma anche di Sara la “ragazza-nebbia”: i giovani traditi, in parte, dagli adulti poco presenti, indaffarati a tirare avanti la famiglia, grigi come i palazzi, spenti, mentre loro, le ragazze e i ragazzi, tentano di riconcorrere il Domani al ritmo di un futuro incerto, claudicante: rap e hip hop fanno da sottofondo alla quotidianità piena di parole, di strani gesti, di un codice tutto loro per comprendere il disagio, per esprimerlo, per rimbalzarselo addosso come una palla. Trip, killare, meme, habibi, drum: termini arabi e slang che costituiscono un linguaggio segreto, espressionista, proprio della strada e poi quello più poetico dell’autrice che, con grande delicatezza commenta ciò che si limita ad ascoltare e a registrare sulla pagina, in un connubio lirico e crudo che fa commuovere.
E’ vero che quella vita a disegnare, a vagare, a parlare può essere vuota di senso, ma si può riempire con piccole azioni illegali e grandi gesti di affetto e solidarietà: un inizio per rimanere attaccati all’umanità come una tellina allo scoglio. E di umanità, nei quartieri in cui Ahmed ci accompagna, ce n’è davvero tanta. Il cinico senzatetto e il suo cagnolino ne sono un esempio e ricordano la dolce malinconia di Umberto D. di Vittorio De Sica. Il titolo del libro ricorda quello di un altro film: Pomodori verdi fritti alla fermata del treno, del 1991, in cui un coro di personaggi, nel Sud degli Stati Uniti negli anni’30, cerca di adattarsi ai cambiamenti portati dallla Modernità. Di cosa si nutre la nostra Post-Modernità? Di connessioni virtuali, di mancanza di tutele per le categorie umili, di poca inclusione per gli stranieri, di disinteresse verso quelli che saranno i nuovi attori della cittadinanza. “I tuoi disegni fanno cagare”, dice qualcuno ad Ahmed: ma per lui questa frase è uno stimolo, invece, per migliorarsi sia come artista sia come Uomo perchè lui sa, adesso sa, che “l’ essenza dell’Arte, più che nel creare, sta nel trasformare”. E un tratto, un segno sono l’inizio di un cambiamento economico, sociale e interiore…Come nel sapere regalare una rosa finta, ma pur sempre una rosa.