“Stay human. Africa”. La rielezione di Roch Kaborè in Burkina Faso
di Veronica Tedeschi
«In un’elezione c’è sempre un vincitore e delle persone che perdono. Questo, però, non deve dissuaderci dal fatto che siamo tutti burkinabé e che tutti, insieme, dobbiamo costruire un Burkina Faso migliore».
In Burkina Faso le scuole sono chiuse, non per il Coronavirus ma per la violenza. Un paese stremato da terrorismo e povertà che, negli ultimi cinque anni ha imboccato la strada del caos. Gli attacchi da parte dei gruppi jihadisti si sono moltiplicati quasi uno al giorno: oltre 1200 morti, più di un milione di sfollati, intere parti del Paese sfuggite all’autorità.
Polizia ed esercito non sono in grado di arrestare le violenze nel paese ma, nonostante questo, la corsa alla Presidenza si è svolta in modo più o meno tranquillo.
Il 22 novembre in Burkina Faso si sono tenute le elezioni presidenziali, tra contestazioni e violenze, soprattutto in relazione al fatto che più di 400.000 persone non hanno potuto votare a causa dello smarrimento dei loro documenti conseguente ai numerosi attacchi terroristici che stanno interessando il paese in questi ultimi mesi. Queste elezioni, tanto acclamate dal popolo, avevano lo scopo di metter fine agli attentati di matrice terroristica che hanno portato ad un gran numero di sfollati e ad un’instabilità economica e politica. I candidati alla presidenza erano l’ex Ministro delle Finanze Zéprin Diabré, Eddie Komboigo e il presidente uscente Kaborè che ha avuto la meglio vincendo nuovamente.
Altri cinque anni di presidenza, per far ripartire il paese e produrre quel tanto agognato sviluppo e cambiamento che la “terra degli uomini retti” da troppo tempo reclama.
Gli avversari di Kaboré hanno contestato la validità dei risultati (Kaborè vince con quasi il 58%) e denunciato brogli, ma la commissione elettorale ha respinto le accuse e una missione di osservatori internazionali ha dichiarato che le elezioni si sono svolte correttamente. Roch Kaboré, che era stato eletto per il primo mandato nel 2015, ha basato la sua campagna elettorale sull’aver reso gratuita l’assistenza sanitaria a tutti i bambini sotto i 5 anni e sull’aver asfaltato alcune delle strade che attraversano il paese.
Il presidente pigro, così viene chiamato, ha anche la grande caratteristica di essere un riconciliatore da sempre aperto nell’aiutare il suo paese con impegno e interesse. Il terrorismo, però, si sa, usa armi scorrette che anche un buon presidente (che negli anni bui del regime di Compaorè tirò fuori la forza dei burkinabè) non riesce a contrastare.
Kaboré non si smentisce, continua a promettere «consultazioni permanenti per costruire un Burkina Faso migliore. Metterò tutto il mio impegno affinché in una consultazione permanente si possa lavorare insieme per la pace e lo sviluppo del nostro Paese».
I burkinabè hanno riassegnato la loro fiducia e speranza in quest’uomo che ha davanti a sé cinque anni per risollevare il paese e contrastare il terrorismo, buon lavoro!