E che ne sai tu di un migrante?
O forse sì…
di Jorida Dervishi
Un migrante è prima di tutto una persona nomade, vive quello che gli altri non conoscono, la parte che si incontra di nuovo, quella sconosciuta, vive la diversità. Ci saranno momenti faticosi ma chi è nomade vede il mondo in un continuo cambiamento, non si nasconde dietro le sicurezze, lui cerca di condividere i suoi pezzi di viaggio con i suoi compagni spendendo anni e chilometri.
Per molte persone oggi l’unico modo per trovare la salvezza è fuggire dalle proprie terre attraversando la frontiera definita da un muro. Anche se dentro di sé loro portano solo il cielo stellato come un confine, e la diversità come il loro territorio. Chi è nomade ascolta, guarda, prende nota, disegna il destino che il mare ha racchiuso in sé e che dopo forse porterà il suo racconto o la sua tragedia; come fosse un portavoce o un testimone chiave di questa realtà vissuta. Ma il viaggio continua perché i migranti scappano dalle guerre, affrontano sbarramenti del mare, del deserto, quelli degli uomini, hanno rischiato di morire, hanno visto morire, ma il viaggio continua…
Sono i desideri, le speranze, i ricordi, che diventano un timbro dell’umanità, del destino, della propria identità, della dignità. In quel momento, lui (un migrante o un’altra persona) capirà che la STORIA UMANA è fatta da tante storie, piccoli pezzi raccolti lungo il viaggio, le piccole storie di molte persone come lui che hanno lottato per vincere, sono stati sbattuti a terra per rialzarsi.
Beh, certo, l’apertura dei confini avrebbe potuto far sì che tutte le persone potessero muoversi liberamente, stessa cosa anche per le merci, tranne però quella merce che ha un aspetto diverso dalle altre. Sapevamo che l’Europa è il posto dei soldi, della grana, della speranza. Non sapevamo fosse anche il territorio dove EXPO è una montagna così alta che non fa passare persone come noi. Troppo cara per le nostre possibilità, troppo alta e luccicante per i vostri gusti. Sapevamo che l’Europa sarebbe stata una strada difficile da percorrere, ma tutte queste tonnellate di pregiudizi, d’umiliazione sono troppe anche per noi. Sapevamo che l’Europa e le sue istituzioni si basano sul mercato libero ma non potevamo immaginare la servitù della gleba. Senza nemmeno la testa alta. Sapevamo che lo slogan recita: “Tutti liberi, nutrire il pianeta con dignità “, ma i nostri ettari mi sa che fanno parte di un altro pianeta.
Ancora una volta Europa ci stupisce. E, naturalmente, non per qualcosa di bello. Certo, da un lato siamo affascinati da questo sviluppo europeo, per le attività culturali, per l’ urbanizzazione delle città, per i resort lussuosi, e noi dove ci sediamo? Chi non possiede un passaporto potente se ne stia fuori per favore, facile no? E se il proprietario di questo passaporto possedesse delle idee, dei pensieri, è dei sentimenti? Invece chi non ha nessun documento viene chiamato clandestino. Per voi quelli che sbarcano e rubano i lavori precari, invece per me essi sono persone , essere umani che il destino ha portato a navigare dentro nella freddezza di una notte sotto la luna di un amaro mare. Loro “il clan” dei loro famigliari, perché il loro futuro ė legato alle storie precedenti dei loro parenti, loro saranno i testimoni di quelle storie in un altro futuro. Sicuramente loro, i clandestini hanno anche un nome, qualcuno si chiama Mohamed, qualcun altro Rabin, Zenad, Moharem, Abdellah, si, decisamente avranno anche dei figli, mariti e moglie.
L’allarme per l’immigrazione clandestina coinvolge quasi tutti i Paesi dell’Unione; e ciascuno risponde a proprio modo, in base alle proprie leggi nazionali. Per comprendere le dimensioni del fenomeno e valutarne le conseguenze è opportuno considerarlo nella sua globalità. Bisogna ricordare che oltre ai clandestini vi sono almeno tre tipi di immigrazione controllata all’interno dell’UE: quello dei lavoratori stranieri con regolare permesso di soggiorno; quello di coloro che chiedono l’ammissione per il “ricongiungimento familiare”; e quello dei rifugiati che chiedono asilo politico. Secondo le stime delle principali organizzazioni internazionali, attualmente nel mondo vi sono almeno 140 milioni di individui che hanno abbandonato la loro patria per un altro Paese. Un quinto di loro si trova in Europa, un quarto ha scelto l’America. Il fenomeno migratorio è diretto soprattutto verso il mondo industrializzato, mentre la base di partenza è costituita in modo precipuo dai Paesi in via di sviluppo. Il primo Paese europeo per numero d’immigrati è la Germania con circa 12 milioni; l’Italia è quarta con circa 6.1 milioni presenze. Per quanto riguarda la nazionalità degli immigrati si può osservare che i turchi sono oltre 2 milioni e mezzo; il 70% di loro approda in Germania; dalle repubbliche della ex Jugoslavia sono arrivati circa un milione e 800 mila individui, in gran parte rifugiati di guerra, la Germania ne ha accolti 350 mila; i marocchini sono un milione e 100 mila, gli algerini circa 560 mila e i polacchi 410 mila. Per quanto riguarda l’Italia solo uno su tre emigranti proviene da un Paese Comunitario; la stragrande maggioranza arriva dai Paesi dell’Est e da quelli balcanici. Gli africani sforano il 30%; in testa ci sono i marocchini, seguiti dai tunisini, dai senegalesi, dagli egiziani, dai somali e dagli etiopici. La presenza straniera in Italia è assai variegata e frazionata, è un intreccio di culture, di religioni e costumi diversi. Per tutte le nazioni ospitanti si pongono enormi problemi di convivenza e di inserimento degli stranieri nei rispettivi tessuti locali. L’accoglimento delle masse dei profughi viene sottoposto a valutazioni di opportunità politica e di solidarietà internazionale, l’immigrazione regolare risponde a criteri prevalentemente economici. Essa non viene scoraggiata, ma in molti casi è favorita dai Paesi dell’Unione poiché è assorbita dal mercato del lavoro, senza contare che spesso gli stranieri extracomunitari suppliscono ad una carenza di manodopera in attività particolarmente faticose e poco remunerative.
Allora mi chiedo… Come possiamo definire quest’Europa d’oggi? Un’Europa di cui tutti parlano, sperano, pianificano, discutono… Un’Europa di cui si è ferocemente cimentato ogni centimetro quadro di territorio che prova a lenire i sensi di colpa con un’opera simbolica e affascinante, ma in fin dei conti abbastanza vuota.
Ogni vita è una vita.
Io capisco la rabbia ma non capisco perché la paura debba venire usata per fare propaganda elettorale. Per ora l’Europa è Solo un unità dei stati membri ma senza un’idea chiara dove vuole arrivare. Invece noi , i migranti vogliamo essere semplicemente liberi di scegliere, e questo che vi fa paura?
Noi che abbiamo avuto il coraggio di vivere, affrontare, lottare contro le burocrazie, scrivere storie… Forse non siamo ancora riusciti a combattere le politiche o una mentalità che alcune volte non riesce ad andare oltre le mura costruite nel tempo. Come diceva Platone, la realtà è stata sempre letta attraverso le immagini ; e da Platone in poi, i filosofi hanno cercato di ridurre questa dipendenza dalle immagini indirizzando le menti verso il pensiero astratto.
Chi sono i migranti, qual è l’immagine attraverso la quale riusciremo a percepire la loro esistenza?
Complessi di legami interpersonali che collegano migranti, migranti precedenti e non migranti, nelle aree di origine attraverso i vincoli di sangue, amicizia, opinioni simili, l’origine in comune, il paese di provenienza. (MASSEY)
- Migranti come vittime: migrazioni come espulsioni, migranti come rifugiati de facto.
- Migranti come strumenti: spostamenti funzionali alla ricerca di un lavoro.
- Migranti come soggetti: migranti che hanno scelto di lasciare il proprio paese basandosi su una decisione ben ragionata.
Le tre immagini fanno capire quanto sia difficile riscoprire se stessi, in quanto sei costretto a non avere un posto ben preciso dove vivere, e affrontare la discriminazione, quando senti in giro la frase “tu non sei di qua, quindi tu non appartieni a questo paese”.
Potresti sentirti disorientato, come se fossi uscito dal nulla, come se tu non facessi parte di niente. Potresti pensare di non avere il diritto di cantare un inno nazionale, di celebrare una festa, o di avere un’opinione su quello che sta succedendo nel paese. Migrare significa muoversi e che ogni persona, fisicamente o spiritualmente, è migrante. La cosa più importante è costruire un’umanità universale ovunque noi siamo. Penso che i migranti e i rifugiati hanno messo la prima pietra a questa costruzione che oggi possiamo lavorare per la consulenza e l’agevolazione dei processi di integrazione degli umani, che proprio come me e te cercano un mondo migliore.
Loro sono l’immagine di questa realtà, avvicinatevi, non abbiate paura!