“Solo senza discriminazioni reciproche, raggiungeremo l’obiettivo per cui il Progetto Aisha e il femminismo si battono: la parità di diritti tra uomini e donne”
Amina Natascia, italo-palestinese di religione musulmana e vicepresidente di progetto Aisha, un’associazione nata per contrastare la violenza sulle donne, ci racconta la sua storia e la sua relazione con il femminismo
di Julia Martín Arévalo
Amina Natascia Al Zeer è vicepresidente e co-fondatrice del Progetto Aisha, un’associazione milanese nata nel 2016 con l’obiettivo di rispondere alle esigenze di tutte le donne che si trovano al di fuori dei sistemi di tutela dei servizi territoriali per diversi motivi: barriere linguistiche e culturali, disapprovazione sociale o stigmatizzazione. Il progetto cerca di fornire gli strumenti necessari per aiutare queste donne a superare le condizioni di violenza e discriminazione in cui si trovano, con particolare attenzione alle donne musulmane. Il suo obiettivo finale è quello di cercare il riconoscimento della figura femminile, la lotta per garantire la loro libertà di scelta e la sua indipendenza sociale ed economica.
Musulmana, nata e cresciuta in Italia, Amina spiega in un’intervista personale, che lei stessa ha subito violenze per mano del suo ex compagno e ha avuto il coraggio di denunciare la sua situazione. Quando decise di fare questo passo, cercò il sostegno della sua guida religiosa che, con sorpresa di Amina, non l’ha sostenuta come avrebbe voluto lei. Almeno questo la aiutò a capire l’importanza di fornire la giusta assistenza alle donne che, come lei, si trovano in situazioni di violenza.
Amina, che ora è responsabile del coordinamento dell’assistenza alle donne maltrattate, ammette che c’è un problema di violenza di genere nella comunità islamica e capisce che per violenza di genere si intende ogni tipo di violenza: psicologica, fisica, sessuale (soprattutto all’interno del matrimonio), ma anche economica. Dice che di solito trova una combinazione di tutti questi elementi nelle donne che si rivolgono al Progetto Aisha.
Quando le chiedo se considera la sua associazione femminista o se si considera femminista, esita un attimo prima di rispondere di no poiché, dice, che “dipende da cosa intendi per femminismo, quello che non mi piace sono le femministe degli anni 60″. Quando parla del femminismo degli anni 60 dice di riferirsi agli inizi del femminismo, ad un tipo di “femminismo radicale” che, tra l’altro, non accetta la partecipazione degli uomini nella lotta per l’uguaglianza. Amina ritiene di non essere d’accordo con questa visione, che non dobbiamo fare la guerra agli uomini perché non è questo il modo per ottenere la parità di diritti tra uomini e donne. Ammette di aver esitato a rispondermi a questa domanda perché è stata attaccata da donne femministe in altre occasioni che l’hanno criticata per aver accettato gli uomini nel Progetto Aisha o per aver detto che non è del tutto a suo agio con l’etichetta “femminista”.
La storia di Amina è piuttosto particolare: è nata e cresciuta a Modena, in una famiglia italo-palestinese, cristiana da parte di madre, musulmana da parte di padre e testimone di Geova da parte di nonna. Solo quando è diventata maggiorenne prese la decisione di intraprendere il cammino dell’Islam. Durante l’infanzia e l’adolescenza rifiutò l’Islam e tutto ciò che è arabo perché lo associava a suo padre, il suo unico riferimento, intendendolo come un’imposizione. Quello che è successo dopo, dice, è stato “qualcosa tra me e Dio”. A 21 anni ha deciso di indossare il velo di sua spontanea volontà per essere d’esempio a sua figlia. All’inizio era molto preoccupata di quello che gli altri avrebbero detto, aveva paura di essere giudicata per strada, ma ora non le importa. Si sente a suo agio perché è stata una sua decisione ma dice di soffrire ancora di discriminazioni di ogni tipo: si è sentita sottovalutata per aver indossato il velo, le è stato detto di tornare al suo paese, è stata accusata di essere una traditrice per essere europea e di essersi convertita all’Islam e per aver deciso di entrare a far parte di una comunità che presumibilmente tratta le sue donne come inferiori e sottomesse.
Amina conclude l’intervista dicendo che la lotta per l’uguaglianza è: per tutte le donne e di tutte le donne, siano esse musulmane, cristiane o testimoni di Geova. Solo così, senza discriminazioni reciproche, raggiungeremo l’obiettivo per cui il Progetto Aisha e il femminismo si battono: la parità di diritti tra uomini e donne.