“Stay human. Africa”. Sahel, frontiera calda dell’Africa
di Veronica Tedeschi
Incontro online organizzato da Africa Rivista in data 22 gennaio 2021
Un incontro sul Sahel, quello organizzato da Africa Rivista, che ha toccato diversi punti interessanti e diverse problematiche irrisolte di questi magnifici paesi.
Il Sahel fino a pochi anni fa rappresentava il punto di arrivo dei commercianti, l’altra faccia del deserto. Se si pensava al Sahel, quindi, subito vi erano pensieri di pace e tranquillità.
Oggi, invece, Sahel è sinonimo di instabilità e pericolo.
In questi mesi più che mai il numero delle stragi è aumentato e tra Covid e conflitti (445 attacchi) la situazione non è più sotto controllo.
Il professor Nicola Pasini, nel raccontare le rotte migratorie, specifica che la maggior parte degli spostamenti avviene all’interno della stessa regione e si conclude sovente in Stati limitrofi.
Le tre rotte migratorie più battute sono la storica Algeria-Francia, Burkina Faso-Costa d’Avorio e Sud Sudan-Uganda. I motivi che portano ad una migrazione così massiccia derivano, soprattutto, dalla difficoltà ad accedere a partner regolari e ad ottenere visti. Il costo di un viaggio va dai 3.000 ai 5.000 dollari, una spesa esorbitante per chi si mette in viaggio che, sovente, è costretto a fermarsi in paesi intermedi per lavorare e riguadagnare i soldi necessari.
Ci spostiamo in Mali con Ornella Moderan, direttrice dell’ISS, l’Ufficio regionale dell’Africa Occidentale, che racconta la difficile situazione del paese, dove nelle zone più remote sono nati gruppi armati auto organizzati a seguito della mancanza dello Stato. I così detti gruppi di autodifesa.
Il Governo del Burkina Faso ha, invece, creato un gruppo militare chiamato “Volontari per la difesa della patria” per dare maggiore protezione al paese. Una crisi della sicurezza generale che porta anche ad una insicurezza alimentare (che ad oggi colpisce il 20% della popolazione). Dal 2019 sono aumentati gli attacchi contro i civili che, sommati alle tensioni inter comunitarie caratteristiche del paese, portano ad instabilità politica e povertà.
Denisa Sabulesco dell’ONG Tabat vive ad Ouagadougou e racconta di come la popolazione sta vivendo questa situazione. Centinaia di persone sono ammassate ai semafori per chiedere l’elemosina, sono aumentati i furti e vi è un aumento generale dell’insicurezza . Il Nord e l’Est del paese sono completamente fuori controllo, anche i militari non possono avvicinarsi ai confini. La popolazione civile di queste zone è martoriata dalla sofferenza e il terrorista che mette a disposizione cibo e beni primari sembra per loro l’unica salvezza. Se i terroristi non hanno seguito, i primi a rimetterci sono i bambini, che vengono brutalmente uccisi.
La popolazione locale non è totalmente consapevole di questa situazione – il paese è fuori dal controllo del Governo.
Ultimo intervento quello di Pietro Sunzini, Direttore dell’ONG Tabat che aggiunge un’ultima caratteristica di questi luoghi: l’insicurezza alimentare. I grossi cambiamenti climatici e la forte pressione demografica portano ad un sempre maggior bisogno di reddito da parte di rurali al quale consegue il bisogno di migrare.
Tre sono gli elementi chiave ai quali dover dare risposta per la sicurezza alimentare:
Si può intervenire producendo derrate alimentari e aumentando la produzione agricola mirata al soddisfacimento dei bisogni locali. Si deve lavorare sulla salvaguardia della sostenibilità attraverso metodi di produzione rispettosi dell’ambiente per garantire risorse non rinnovabili e garantire la salute di uomini e animali. Infine, sono fondamentali scelte produttive che garantiscano reddito.
Un incontro intenso che ha fatto luce sulle problematiche e sulle soluzioni da applicare, tanti i punti toccati e tante ancora le domande senza risposta.