Il Diritto internazionale umanitario e la popolazione civile nei territori sotto occupazione
di Maddalena Formica
Territori palestinesi, Cipro Nord, Crimea, Haut Karabakh: queste parti del mondo, divenute ormai note negli anni, sono accomunate tra loro dal fatto di essere state qualificate dagli attori del diritto internazionale come territori dove vige de facto un regime di occupazione.
La definizione stessa di ciò che sia un “territorio occupato” risulta però difficile da individuare, soprattutto a causa delle espressioni vaghe e imprecise che sono state utilizzate nel diritto internazionale convenzionale, e per trovarla bisogna fare necessariamente riferimento alle indicazioni elaborate dalla dottrina.
Diversi sono criteri previsti dalla dottrina, in particolare quella prodotta dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, perché un’area possa essere qualificata come occupata: è necessario, innanzitutto, che l’esercito regolare di uno Stato sia fisicamente presente sul territorio di un altro Stato, senza che questo abbia dato il proprio consenso. Quest’ultimo, inoltre, non deve essere più in grado di esercitare la propria autorità, che invece deve essere ormai esercitata di fatto dalla forza straniera: la semplice presenza dell’esercito straniero sul territorio, infatti, realizzerebbe unicamente l’ipotesi di invasione.
La qualificazione di un territorio come zona occupata da un esercito straniero è particolarmente importante per la corretta applicazione del diritto internazionale umanitario: solo qualora vi sia occupazione, infatti, lo Stato che la realizza è tenuto a rispettare una serie di obblighi a favore dei civili, ritenuti in tale contesto particolarmente vulnerabili, obblighi individuati da diverse disposizioni contenute nelle Convenzioni di Ginevra, nel relativo Protocollo I ma già anche nella Convenzione dell’Aja del 1907. Tali regole possono essere distinte in due grandi categorie: le regole finalizzate al mantenimento dello status quo e quelle relative al rispetto dei diritti legati alla persona.
Per quanto concerne il mantenimento della situazione precedente all’occupazione, questi è fondamentale poiché di regola si presume che la situazione di occupazione sia solo momentanea e che dunque i civili abbiano diritto a non subire le conseguenze di continui cambi di autorità. Con questo obiettivo, la forza occupante, ad esempio, non deve modificare lo statuto giudico del territorio (non ci deve essere dunque alcun trasferimento di sovranità), le leggi precedenti devono restare in vigore e le istituzioni, in particolare quelle giudiziarie, devono poter continuare a lavorare.
Con riferimento ai diritti della persona, invece, vige un generale obbligo di trattamento “umano” a favore dei civili: l’approvvigionamento di viveri e di prodotti medicinali deve essere garantito, gli edifici consacrati all’istruzione e al culto devono poter funzionare normalmente, così come devono essere garantiti i servizi medici e ospedalieri. Qualsiasi forma di trasferimento forzato e deportazione individuale o collettiva è invece vietata e vietata è inoltre qualsiasi forma di rappresaglia sulla popolazione civile.
Se il diritto internazionale umanitario prevede disposizioni specifiche e particolarmente protettrici a favore di quei civili che si trovano sotto l’occupazione di una forza straniera, nella realtà, purtroppo, queste previsioni sono spesso poco rispettate: la convivenza quotidiana di migliaia di uomini e donne con un esercito straniero risulta essere particolarmente complessa e questa difficoltà non può che accentuarsi nel momento in cui lo Stato occupante è restio a riconoscere le sue responsabilità e da una situazione provvisoria l’occupazione diviene permanente, con poche speranze per un cambiamento nel prossimo futuro.