Continuano le proteste dei contadini indiani. Intervista a Gurjant Singh
Associazione Per i Diritti umani ha intervistato Gurjant Singh, membro dell’associazione Sikhi Sewa Society e lo ringrazia molto per la disponibilità.
A cura di Alessandra Montesanto
La protesta pacifica dei contadini indiani nasce dall’approvazione di tre leggi sulla liberalizzazione del commercio agricolo: ci può illustrare le tre leggi di riferimento?
Le tre leggi sono:
Aprire lo scambio di commercio dei prodotti agricoli tra stati diversi, non si è più limitati a vendere il proprio raccolto soltanto nei mandi (mercati statali all’aperto) ma lo si può fare anche a livello inter-statale. (The Farmers’ Produce Trade and Commerce (Promotion and Facilitation) Act, 2020)
Introdurre contratti tra agricoltori e privati, questo permette di concordare in anticipo le colture da coltivare, la quantità del raccolto da fornire ecc. (Farmers (Empowerment and Protection) Agreement on Price Assurance and Farm Services Act, 2020)
Togliere i raccolti dalla regolamentazione dei beni di prima necessità, questo permetto lo stoccaggio e conservazione dei raccolti e metterli sul mercato a propria scelta. (Essential Commodities (Amendment) Act, 2020)
Ora che abbiamo elencato le 3 riforme vediamo come vanno ad influenzare gli agricoltori.
Aprire il mercato e non limitarlo soltanto nei mandi (mercati statali all’aperto) può sembrare una cosa buona ma i piccoli contadini non hanno le risorse economiche per poter usufruire di questa riforma a loro vantaggio. Non possono permettersi di trasportare il loro raccolto in capo all’India con la speranza di poter vendere e buon prezzo perché c’è sempre la componente rischio di non trovare acquirenti. Questo però aiuta molto le grandi corporazioni, che ora non hanno più problemi a comprare in uno stato e rivendere poi in un altro a prezzi più elevati.
Introdurre i contratti tra agricoltori e privati e purtroppo non è qualcosa per cui gli agricoltori sono preparati, proprio a livello formativo. La maggior parte dei contadini sono piccoli e non hanno i mezzi e risorse di potersi permettere avvocati e/o contabili a cui far controllare questi contratti che le corporazioni gli offriranno. Serve tempo, la giusta formazione e il sostegno da parte dello stato prima di portare in gioco contratti e accordi. Quindi anche questo aiuta di più le corporazioni perché hanno tutte le risorse per creare contratti complessi con varie clausole che possono usare a loro interesse.
Rimuovere i raccolti dai beni di prima necessità è un altro punto chiave per le corporazioni. Quest’ultime possono comprare all’ingrosso tutto il raccolto e poi immagazzinare il tutto senza metterlo sul mercato. Sappiamo bene cosa succede quando vi è domanda di un certo prodotto il suo prezzo va alle stelle, il semplice principio della domanda e offerta. Così le grandi corporazioni possono vendere il prodotto quando il prezzo sale. Qualcuno può dire che potrebbe essere una cosa utile anche per i contadini perché loro stessi potrebbero stoccare senza vendere tutto e poi vendere quando il prezzo sale, però ricordate che la maggior parte sono tutti piccoli contadini, questi non possono permettersi magazzini e attrezzatura per poter immagazzinare, quindi a conti fatti questo aiuta solo le grandi corporazioni che hanno il denaro e le strutture per poter sfruttare questa riforma a loro favore.
In che modo è negata la libertà di espressione, soprattutto in questo momento di protesta?
I contadini di tutto il subcontinente hanno dato vita a quella che è la più grande protesta pacifica della storia umana marciando sulla capitale indiana Delhi; ma la risposta delle autorità è stata quella di cercare di fermare queste proteste in modo un po’ meno pacifico, usando infatti cannoni ad acqua e gas lacrimogeni, bloccando le strade con barricate, e scavando – addirittura – fosse sulle strade che portano a Delhi. Ma soprattutto bloccando gli approvvigionamenti di acqua, cibo ed elettricità in molte aree dove sono presenti numerosi manifestanti, soprattutto anziani e persone vulnerabili. Fino ad arrivare al più recente blocco di internet e dei social media per isolare i manifestanti dal resto del mondo. Misure estreme giustificate dalle autorità per essere nell’interesse della sicurezza pubblica. Lo stesso pubblico che viene denunciato e rinchiuso in prigione se fa giornalismo e mette in luce l’abuso di potere della polizia. Infatti ci sono stati molti casi di detenzione illecita di giornalisti che abbiano cercato di riportare gli avvenimenti, ma anche arresto e detenzione illegittima di contadini innocenti e loro familiari sulla base di resoconti verosimili, pratiche di tortura perpetrate dalla polizia contro le persone detenute.
A livello di social, il blocco di account Twitter è stato criticato dagli organismi di controllo dell’agenzia Reporters Without Borders, che l’ha definita “un caso scioccante di spudorata censura”. Infatti il social network americano aveva, su richiesta del governo indiano, temporaneamente impedito alla popolazione indiana l’accesso a più di 250 profili che avevano espresso il loro sostegno alle proteste dei contadini. Profili che sono poi fortunatamente stati riabilitati alcune ore dopo, quando la piattaforma ha dichiarato che il contenuto bloccato era “rilevante e degno di pubblicazione”. Anche in questo caso il governo indiano ha criticato la scelta del social network avanzando la possibilità di prendere provvedimenti contro l’azienda.
Come sta reagendo la comunità internazionale?
All’inizio delle proteste la risposta dei media mondiali, dei politici e delle principali organizzazioni per i diritti umani è stata pressoché inesistente. Grazie ai social però le notizie si sono diffuse a macchia d’olio e si è iniziato a sensibilizzare le persone dei diversi stati del mondo e i rispettivi governi. La comunità Sikh internazionale ha e sta tutt’ora cercando di esortare i governi stranieri a intervenire per mettere sotto pressione il governo indiano. Organizzazione di manifestazioni, raduni nelle varie città dei paesi in cui vi è una forte presenza, quali Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Italia e Australia. Dall’estero il primo tra tutti gli stati è stato il Canada a parlare in sostegno degli agricoltori. Infatti a dicembre il primo ministro canadese, Justin Trudeau, aveva detto che il suo paese «avrebbe sempre difeso il diritto di chi protesta pacificamente». Commento che naturalmente non è piaciuto al governo indiano che ha subito convocato l’Alto Commissario canadese dicendo che i commenti di Trudeau e di alcuni dei suoi ministri di gabinetto e parlamentari canadesi, costituiscono un’inaccettabile interferenza nei nostri affari interni.
Il tweet di Rihanna aprì la strada anche per altre celebrità di condannare la violazione dei diritti umani dei contadini indiani. Naturalmente anche in questo caso le prese di posizioni delle celebrità, come appunto Rihanna, sostenuta a stretto giro da Meena Harris, la nipote della vicepresidente americana, e dall’ambientalista, Greta, sono state mal digerite dal governo indiano che ha accusato alcuni «stranieri» di essere in cerca di «sensazionalismi».
In Gran Bretagna qualche settimana fa è stato discusso in parlamento l’andamento delle proteste e come il governo britannico potrebbe intervenire per cercare di mettere pressione al governo indiano. In Italia ci sono state tante manifestazioni nelle varie piazze, tra cui Roma, Milano, Brescia, Verona e molte altre, dove soprattutto sono i giovani a diventare la voce degli agricoltori e sensibilizzare il popolo italiano.
La protesta degli agricoltori si è anche trasformata in un importante opportunità per avvicinare la nuova generazione alle proprie radici. Armati di una doppia identità e dell’impegno a proteggere i diritti umani nel proprio paese di origine, noi giovani sikh, spesso immigrati di seconda o terza generazione, stiamo facendo del nostro meglio per informare le persone e tenere alto il supporto verso le proteste.
Quali sono, nello specifico, le richieste dei contadini? E come sta procedendo la rivolta?
La richiesta principale è l’abrogazione delle tre leggi. La Corte Suprema ha cercato di favorire un confronto, ritardando di 18 mesi l’entrata in vigore di queste leggi. Il mondo agricolo però ha rifiutato. Oltre alla richiesta principale ci sono altre rivendicazioni come:
Razione gratuita di 10 kg per persona ogni mese a tutti i bisognosi.
Espansione del Mahatma Gandhi National Rural Employment Guarantee Act per fornire occupazione dagli attuali 100 giorni a 200 giorni di lavoro nelle aree rurali con salari aumentati, ed estensione di questo programma alle aree urbane
Fermare la privatizzazione delle società del settore pubblico, comprese quelle del settore finanziario. Fermare la corporativizzazione di enti di produzione e servizi gestiti dal governo nelle ferrovie, nella produzione di ordinanze, nei porti e in aree simili.
Fornire una pensione a tutti e ripristinare il precedente regime pensionistico.
La protesta procede con la stessa caparbietà con la quale è iniziata. Infatti i contadini hanno costruito accampamenti semi-permanenti lungo le arterie stradali principali di Delhi, con tanto di cucine comuni, alloggi, scuole, biblioteche, centri massaggi, una palestra, mostrando in tutto questo l’intenzione di non desistere fino alla revoca definitiva delle leggi.
Il primo ministro indiano, Narendra Modi, persegue un’agenda nazionalista indù: quali sono le difficoltà per chi professa altre religioni e filosofie?
Le difficoltà per le minoranze religiose in India ci sono purtroppo sempre state, ma sotto l’attuale governo queste avversità stanno crescendo in maniera esponenziale. Il BJP è dichiaratamente un partito nazionalista indù che vuole stabilire l’India come una nazione induista e questo mette in serio pericolo la più grande democrazia del mondo.
Fin dall’inizio della sua carriera politica Modi, grazie al suo attivismo all’interno dell’organizzazione di estrema destra Rashtriya Swayamsevak Sangh, l’RSS, ovvero l’associazione dei volontari nazionalisti induisti vicini al BJP, si è concentrato sull’aumentare la retorica nazionalista incentrata sulla demonizzazione delle minoranze religiose, che siano esse musulmane o sikh o gianiste.
Questa promozione di una feroce politica populista di destra, crea ed eleva una maggioranza indù da una popolazione socialmente ed economicamente diversificata per agire come un blocco di voto per il Bharatiya Janata Party (BJP) di Modi. Al tempo della sua carriera politica nel Gujarat la sua strategia si basava sulla creazione di un nemico comune, nello specifico nei musulmani e nei liberali laici. Aveva coinvolto l’uso strategico della violenza per polarizzare le comunità nelle aree in cui il BJP aveva affrontato una competizione elettorale maggiore.
Nel primo mandato la polarizzazione si è intensificata. Musulmani e persone di caste considerate intoccabili sono stati oggetto di linciaggi da parte di attivisti indù nel nome della protezione delle mucche (poiché i musulmani consumano carne di manzo).
Da quando è stato rieletto per un secondo mandato con una maggioranza ancora maggiore, il governo di Modi ha rivendicato un mandato per soddisfare le richieste nazionaliste indù di lunga data alle minoranze ulteriormente emarginate in India. Tra queste vi era la più recente legge sull’emendamento sulla cittadinanza. Quest’atto viola lo spirito non discriminatorio della costituzione indiana visto che consentiva un percorso più rapido verso la cittadinanza a comunità perseguitate nel Bangladesh, Pakistan e Afghanistan, escludendo completamente i musulmani.
Le attuali proteste degli agricoltori sono una piccola speranza per le minoranze religiose (visto che queste proteste sono guidate da una maggioranza sikh) nel mondo della politica nazionalista indù di Modi.