L’accusa di genocidio rivolta alla Cina
di Nicole Fraccaroli
Secondo un recente rapporto legale, il governo cinese ha violato ogni singolo articolo della convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite nel trattamento degli Uiguri nello Xinjiang e può essere soggetta alla responsabilità internazionale per aver commesso il crimine di genocidio.
Il rapporto di 25.000 parole, pubblicato da un think-tank apartitico con sede negli Stati Uniti all’inizio del mese di marzo, è uno dei primi esami legali indipendenti e non governativi del trattamento della Cina nei confronti degli Uiguri ai sensi della convenzione sul genocidio del 1948.
Lo Xinjiang è una regione autonoma della Cina nordoccidentale tra le più grandi della Cina: si trova tra Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan, India, la regione autonoma del Tibet e le province del Qinghai e del Gansu. Il concetto di terrorismo in Cina ha una portata particolarmente ampia. Racchiude, infatti, il terrorismo tout court, il separatismo e l’estremismo religioso in un’unica cornice, quest’ultima è quella di cui viene accusata la minoranza uigura in Xinjiang.
Dal 2010, con il pretesto di reprimere il radicalismo islamico che negli anni precedenti aveva portato ad alcuni attentati in Cina, Chunxian adottò una politica repressiva della libertà di culto nello Xinjiang, proibendo il Ramadan e l’utilizzo di capi d’abbigliamento tipici (come il velo) nei luoghi pubblici. Stando a tutte le fonti intervistate e alla documentazione consultabile su New York Times, Associated Press, BuzzFeed, The Economist, le deportazioni nei campi si sarebbero intensificate a partire dal 2016/2017. «La persecuzione non avviene solo tramite deportazione, ma anche – ed in larghissima scala – tramite sterilizzazione forzata delle donne, iniezione di metodi contraccettivi, pratiche di aborto e infanticidio», spiega Olivia Enos, analista senior presso l’Asian Studies Center del think-tank americano The Heritage Foundation. Secondo l’esperta, le sterilizzazioni coatte e l’assunzione/impianto di agenti contraccettivi riguarderebbero tra l’80 ed il 90% delle donne: un dato che mostra quanto la sopravvivenza dell’etnia uigura sia gravemente a rischio. «La cancellazione del popolo uiguro in Cina avviene per mezzo di due strategie fondamentali: eliminazione fisica e assimilazione culturale», aggiunge Dinlur Reyahn, uigura residente a Parigi e fondatrice dell’Istituto Uiguro d’Europa.
Il rapporto prima citato è la prima applicazione, da parte di esperti indipendenti, della Convenzione sul genocidio del 1948 al trattamento in corso degli Uiguri in Cina. È stato intrapreso dal Newlines Institute for Strategy and Policy, in collaborazione con il Raoul Wallenberg Center for Human Rights, in risposta ai resoconti emergenti di gravi e sistematiche atrocità nella provincia dello Xinjiang in particolare contro gli uiguri, una minoranza etnica, per accertare se la Repubblica Popolare Cinese viola la Convenzione sul genocidio ai sensi del diritto internazionale. Lo studio puntualizza che dal 2014 ci sarebbero circa due milioni di Uiguri detenuti nei 1.400 campi di concentramento presenti nello Xinjiang.
A tal fine, dozzine di esperti in diritto internazionale e in politiche etniche cinesi sono stati invitati a esaminare pro-bono tutte le prove disponibili che potevano essere raccolte e verificate dalle comunicazioni pubbliche dello Stato cinese, con testimonianze e metodi di ricerca open source come l’analisi pubblica dell’immagine satellitare, l’analisi delle informazioni che circolano sull’Internet cinese e qualsiasi altra fonte disponibile.
Il Partito Comunista Cinese ha categoricamente negato di aver commesso atrocità e abusi contro la minoranza musulmana uigura, nonostante un numero crescente di prove.
I rapporti sugli uiguri hanno portato a un crescente indignazione internazionale e all’isolamento diplomatico ed economico. L’amministrazione statunitense ha già descritto la persecuzione degli uiguri come un genocidio. Un portavoce del Dipartimento di Stato americano ha detto che “tali atrocità sconvolgono la coscienza e devono essere affrontate con gravi conseguenze” e ha chiesto alla Cina di consentire “indagini immediate e indipendenti da parte di osservatori internazionali” sulle accuse di stupro.
Il ministro degli Esteri britannico Nigel Adams ha affermato che il rapporto mostra “azioni chiaramente malvagie” e ha chiesto alla Cina di consentire agli investigatori indipendenti di entrare nell’area poiché il governo è stato sottoposto alle pressioni dei parlamentari di tutte le parti per sanzionare i funzionari cinesi.
Il ministro degli Esteri australiano, Marise Payne, ha fatto eco alle richieste degli Stati Uniti che gli osservatori internazionali, tra cui l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, “abbiano accesso immediato, significativo e illimitato nella regione dello Xinjiang “.
La Cina ha costantemente negato le accuse di violazioni dei diritti umani e genocidio nello Xinjiang, nonostante le crescenti prove di internamento di massa, sospetti programmi di lavoro forzato, indottrinamento, sterilizzazione forzata delle donne, ampia sorveglianza digitale e di persona e soppressione di attività religiose e culturali. La Cina afferma che i campi sono centri di formazione professionale progettati per contrastare l’estremismo. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha accusato la BBC di fare un “falso rapporto” che era “del tutto privo di basi fattuali”. Ha affermato che le donne intervistate erano “attori che diffondevano false informazioni”, e ha detto che la Cina aveva rilasciato più rapporti che mostravano “persone di tutti i gruppi etnici nello Xinjiang vivere in pace e contentezza, unità e armonia, e che tutti i loro diritti legali sono effettivamente garantiti”. Tra i rapporti a cui fa riferimento Wang c’è un libro sullo Xinjiang, che lo scorso anno ha ammesso per la prima volta che più di 1,2 milioni di persone erano state coinvolte in programmi di “formazione professionale”.
Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha detto ai giornalisti che le accuse di genocidio nello Xinjiang “non potrebbero essere più assurde”. “È una voce fabbricata con secondi fini e una totale bugia”, ha detto Wang.
In base alla convenzione delle Nazioni Unite, firmata da 152 paesi, compresa la Cina, è possibile accertare il genocidio se una parte viola uno dei cinque atti criminali definiti. Il rapporto del Newlines Institute for Strategy and Policy ha rilevato che il Partito Popolare li ha violati tutti e ha accusato il partito di dimostrare chiaramente un “intento di distruggere, nella totalità o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. L’intento di distruggere gli Uiguri come gruppo deriva da una prova oggettiva, ovvero da una politica e una pratica statali, che il presidente Xi Jinping, la massima autorità in Cina, ha messo in moto. I cinque atti criminali sono: uccidere i membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per determinarne la distruzione fisica in tutto o in parte; imporre misure intese a prevenire le nascite all’interno del gruppo; e trasferire con la forza i bambini del gruppo in un altro gruppo.
Come prova, il rapporto citava documenti in merito a morti di massa, condanne a morte selettive e reclusione a lungo termine di anziani, tortura sistemica e trattamenti crudeli tra cui abusi sessuali e torture, interrogatori e indottrinamento, detenzione mirata di leader della comunità uigura, sterilizzazione forzata, separazione familiare, schemi di trasferimento di massa del lavoro e trasferimento di bambini uiguri in orfanotrofi e collegi statali.
Le persone e le entità che perpetrano gli atti di genocidio sopra indicati sono tutti agenti o organi statali – che agiscono sotto l’effettivo controllo dello Stato – che manifestano l’intenzione di distruggere gli Uiguri come gruppo ai sensi dell’articolo II della Convenzione sul genocidio.
La Corte Penale Internazionale ha respinto la domanda per indagare sulle accuse di genocidio nello Xinjiang, affermando di non essere in grado di agire perché i presunti crimini sono avvenuti in Cina che non è Stato parte dello Statuto della Corte e quindi è esclusa dalla giurisdizione della Corte.
Il ruolo degli Stati e della cooperazione internazionale assumono dunque un ruolo ancora più significativo quando una Corte non si può pronunciare in merito a tali violazioni dei diritti umani. La Cina non adempie alla sua primaria responsabilità di proteggere e prevenire abusi nei confronti di tutti coloro che sono soggetti alla sua giurisdizione; e per questo motivo, l’azione degli Stati terzi deve avere un impatto rilevante nel denunciare le violazioni e avviare un dialogo proficuo con la Cina.