Il Diritto internazionale umanitario e i conflitti: quali sono le armi vietate
di Maddalena Formica
Nella sua costante ricerca nel portare un briciolo di umanità nei conflitti, il diritto internazionale umanitario ha negli anni tentato di vietare l’utilizzo di alcune tipologie di armi.
Sia il Protocollo I alle Convezioni di Ginevra del 1977 sia il Comitato Internazionale della Croce Rossa, infatti, hanno inizialmente individuato tre categorie generali di armamenti il cui utilizzo viene considerato una grave violazione del diritto internazionale umanitario e, di conseguenza, un crimine contro l’umanità.
Tra tali tipologie vi sono innanzitutto le armi che portano inevitabilmente alla morte, cioè armi caratterizzate da una forza tale da rendere inevitabile la morte dell’avversario: è il caso, ad esempio, di alcuni gas asfissianti, irrimediabilmente letali per coloro che ad essi sono esposti. Una seconda categoria generale sono le armi che provocano ferite o sofferenze inutili: se per parte della dottrina l’inutilità dell’“effetto traumatico” può essere però individuato tenendo conto dell’utilità militare ricercata (giustificando così molti episodi di violenza con l’obiettivo militare da raggiungere), la dottrina maggioritaria considera oggi che l’eccessività del dolore causato debba essere rintracciata sulla base del male effettivamente subito dalla vittima, sebbene critiche siano state sollevate per il carattere eccessivamente soggettivo di questo criterio. Terza tipologia generale di armi vietate dal diritto umanitario sono quelle armi ad effetto indiscriminato, ovvero che non possono essere dirette contro un obiettivo militare determinato o il cui effetto non può essere limitato; in quest’ultima categoria è possibile poi individuare due sottogruppi: le armi ad effetto indiscriminato per natura, come la maggior parte delle armi chimiche, che non possono essere “indirizzate” verso un obiettivo specifico, e quelle che lo sono a causa dell’utilizzo che di esse ne viene fatto, come le bombe nei bombardamenti a tappeto che radono sistematicamente al suolo aree intere, senza fare alcun tipo di distinzione tra obiettivi militari, legittimi, e obiettivi civili, contrari al diritto internazionale umanitario.
Oltre a queste categorie generali, che hanno il pregio di poter limitare l’uso di certe armi, soprattutto quelle più moderne che non sono ancora state inquadrate dal diritto internazionale, alcune tipologie specifiche di armi sono state espressamente messe al bando.
Se ancora turba il silenzio, chiaramente politico, del diritto internazionale umanitario circa la possibilità di vietare le armi nucleari, oggi diverse convenzioni vietano però l’utilizzo, tra le altre, di armi chimiche, mine antiuomo e le cosiddette bombe a grappolo. Per quanto riguarda le prime, queste sono state utilizzate per la prima volta in maniera massiccia durante la Prima Guerra Mondiale, grazie agli sviluppi negli studi chimici e biologici del XIX secolo, e sono oggi ritornate nel dibattito pubblico dopo gli avvenimenti in Siria nel 2013. Definite come quei prodotti chimici tossici concepiti per provocare la morte o alti danni seri agli esseri viventi, attualmente il loro utilizzo è vietato da una convenzione internazionale del 1993 alla quale molti Stati hanno aderito, complice la scoperta delle atrocità statunitensi in Vietnam e dell’utilizzo dell’ormai tristemente celebre napalm.
La seconda categoria, quella delle mine antiuomo, cioè di dispositivi posti sopra o sotto il suolo che esplodono quando entrano in contatto con una persona, è stata purtroppo utilizzata frequentemente negli ultimi decenni in molte parti del mondo, a causa del prezzo bassissimo necessario per produrle, ed ancora oggi moltissime sono le vittime di questi dispositivi: una volta terminato il conflitto, infatti, gli Stati non investono tempo e risorse nel rimuoverli dal terreno e anche per anni questi possono esplodere, uccidendo o danneggiando. Una convenzione del 1997 ha tentato di vietarne l’utilizzo, grazie anche a lavoro incessante di ONG e associazioni, e oggi per gli Stati firmatari sussiste, oltre il divieto di usarle, anche l’obbligo di rimuoverle dal terreno e distruggerle.
Terza categoria di armi specifiche che, tra le varie, sono state vietate dal diritto internazionale umanitario, è quella delle armi a grappolo, utilizzate più volte in Siria ma anche in Afghanistan e Cecenia. In genere, quando si parla di armi a grappolo, si fa riferimento ad una “bomba – madre” che, al momento dell’impatto o durante il volo, esplode in diverse “bombe – figlie” che si disperdono nell’area circostante. Seppur poco utilizzate rispetto ad altri dispositivi a causa del loro costo abbastanza elevato, gli Stati hanno deciso di intervenire nel 2008, concludendo una convenzione che ricalca il trattato in materia di mine antiuomo, ma con un’importante novità che forse può essere un precedente per accordi futuri: gli Stati dovranno garantire l’assistenza alle vittime e alle loro famiglie e riconoscere una riparazione dei danni, fisici e morali, che l’utilizzo di tali armi ha causato.