Mattia Maestri: stereotipi sulla criminalità organizzata di stampo mafioso
di Alessandra Montesanto
Come ci immaginiamo il mafioso? Partendo dal look, ad esempio: oggi lo stereotipo è che la mafia si vesta in maniera molto elegante, con giacca e cravatta; che viva nei grattacieli, che non indossi più la coppola, che giri con la valigetta 24ore e che, quindi, sia diversa dalla mafia di fine ‘800 – inizio ‘900 dove i gabellotti, gestori dei feudi per conto dei padroni si servivano di guardie armate che difendevano i terreni dai briganti. La mafia NON nasce dal brigantaggio, ma dal rapporto di potere che si sviluppa tra borghesia agraria e contadini, attraverso le figure del gabellotto. I briganti facevano razzia di quelle terre e mettevano in pericolo il lavoro dei gabellotti e delle guardie armate, oltre che le proprietà dei borghesi.
I mafiosi di oggi si vestono casual, non sono affatto eleganti, non sono acculturati, non giocano in borsa: questo vorrebbe dire staccare la mafia dal territorio. Il controllo del territorio, invece, è totale.
I mafiosi sono brave persone. Tommaso Buscetta, collaboratore di giustizia, denuncia la frangia corleonese (Totò Riina, Bagarella, etc.) che nella seconda faida di mafia prendono il potere in Sicilia; si passa dalla mafia palermitana a quella corleonese a capo di Cosa nostra. Buscetta dice che quando dominavano loro, la mafia palermitana, la mafia aveva dei valori, era solidale con le persone, quando arrivano i corleonesi scoppia l’uso della violenza (ricordiamo le stragi di Capaci e di Via d’Amelio, ovviamente). Altro stereotipo perchè questo è solo il personale parere di Tommaso Buscetta; infatti nel suo caso non si può parlare di “pentito”, ma di “collaboratore di giustizia” perchè lui non si è mai pentito delle azioni commesse. In realtà, la mafia aveva usato la ferocia anche prima del 1984. Quello di Buscetta è un modo di configurare un sistema valoriale mafioso per renderlo in qualche modo legittimo.
Se la violenza non è evidente, questo NON vuol dire che la mafia non c’è, anzi: vuol dire che il territorio è ben controllato dalle cosche e che la mafia sostituisce lo Stato su quel territorio.
Libero Grassi, 1991: è un imprenditore che viene ucciso in Sicilia, a Palermo. In quel momento era l’unico che quando gli chiedono di pagare il pizzo, si ribella. Lo lasciano da solo, viene isolato dai suoi stessi colleghi (Confindustria si scuserà tanti anni dopo), nonostante sia andato anche in tv a denunciare questa attività della criminalità organizzata. Al mafioso conviene toglierlo di mezzo perchè non ha opposizione da parte di qualcuno e il suo omicidio serve da monito per chi vorrebbe denunciare. Solo tredici anni dopo, sempre in Sicilia, nasce “Addio pizzo”, un’associazione antiracket: però Libero Grassi ha perso la vita e la violenza permane.
Dal punto di vista culturale la mafia è cambiata? No. Qualche figlio di boss ha frequentato l’università, ma permane l’arretratezza culturale; le occupazioni, quando la mafia giunge al Nord, sono umili; oggi si tende a centralizzare l’uso di professionisti nella criminalità organizzata, ovvero si tende a pensare che oggi i mafiosi siano ai vertici della società: è vero ci sono delle figure a libro paga dell’organizzazione, ma NON SONO dell’organizzazione stessa. Sono figure intermedie, di supporto alle cosche. Fanno parte della “zona grigia” che è la forza mimetizzata della mafia. Il giudice Falcone, nel 1980, si reca da Franck Coppola e gli chiede: “Che cos’è la mafia” e il vecchio boss risponde: “Tre magistrati vorrebbero diventare Procuratore della Repubblica (magistrati): uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia”. Se lo Stato si basa sulla corruzione e sul clientelismo, il posto lo prenderebbe il secondo; invece il cretino fa quello che vuole la mafia senza chiedere niente oppure senza nemmeno rendersene conto.
La mafia dà lavoro: ennesimo stereotipo. Da quando decide di investire nel traffico di stupefacenti, in particolare, la mafia acquisisce un dirompente potere economico e sociale: se voglio comprare cocaina, vado in latinoamerica. In quei Paesi un chilo di coca costa 1.000 euro. Porto quel chilo di cocaina a Cisliano e lo rivendo a 40/50.000 euro. Quel chilo può diventare anche di più, se alla coca pura si aggiungono addittivi. Ci troviamo, quindi organizzazioni mafiose che fatturano miliardi in un mercato totalmente illegale. Dove mettono tutto questo contante? Non possono depositarlo in banca per cui comprano locali, ristoranti, casinò, etc. in modo da riciclare il denaro sporco. Nei locali battono gli scontrini di entrate che in realtà non ci sono. Questi locali (pizzerie, pub e altro) sono intestati ai prestanome. Ecco che la mafia “dà lavoro”, anche se non i prestanome non hanno contratti, non hanno contributi, non hanno un orario determinato e sono sfruttati dai mafiosi che li tengono sotto il loro giogo.
Altro esempio è il caporalato: nel caso di chi schiavizza le persone (soprattutto straniere) che lavorano nei campi agricoli. La mafia “dà lavoro”, ma in realtà quel lavoro è dipendenza, sfruttamento, schiavitù.
Per queste situazioni spesso si sente dire: “E ma io cosa posso farci? Non sono mica un magistrato”: questa è la deresponsabilizzazione del cittadino. In realtà, tutti possono denunciare, ribellarsi, etc. Bisogna fare una lotta sociale e culturale, partendo dalle piccole azioni quotidiane per iniziare a sconfiggere la mentalità mafiosa, anche con l’istruzione e l’educazione alla legalità perchè se il popolo è emancipato può decidere di non rivolgersi più alle mafie.
La mafia non esiste, è un fenomeno marginale o è un fenomeno recente.
La mafia, in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, arriva negli anni ’50 e come ci arriva? Per due motivi: una causa è una legge dello Stato che riguarda il confino.
Durante la Seconda guerra mondiale, le persone che non erano d’accordo con il fascismo, venivano messe al confino (soggiorno obbligato), cioè mandate lontano per evitare che le loro idee si diffondessero e potessero diventare un problema per il regime. L’istituto del soggiorno obbligato per i mafiosi ha, più o meno, la stessa funzione: una legge del 1956, modificata nel ’65, imponeva agli indiziati di far parte di un’organizzazione mafiosa di essere spediti in un Comune lontano da aree metropolitane in modo da impedire loro di mantenere i contatti con altri mafiosi, continui a compiere reati e a mantenere il controllo sul territorio di riferimento. Il problema, però, è che i mafiosi, con questo spostamento, costituiscono nuove cellule criminali (‘ndrine) nel nuovo territorio. Facciamo l’esempio di Buccinasco (in provincia di Milano): è un paese che negli anni ’50-’60 non esisteva. Era tutta campagna con poche case. Oggi ha 30.000 abitanti perchè è stato popolato da persone che dalla Calabria hanno ricreato lo stesso contesto da cui sono partiti.
Secondo motivo di arrivo della mafie al Nord: le migrazioni interne. Dopo la guerra, milioni di meridionli si sono spostati dal Sud per cercare condizioni migliori di vita nelle regioni settentrionali perchè qui stavano nascendo le fabbriche. All’interno di questi gruppi si insinuano membri di associazioni mafiose: da Platì (in Calabria) arrivano a Buccinasco molte persone, che non vogliono cercare un lavoro onesto, ma vogliono controllare quel territorio. Paradossalmente, le prime vittime dei mafiosi al Nord, le prime persone a cui si chiedeva il pizzo erano proprio i meridionali stessi, i compaesani che avvevano aperto un’attività legale. In questo modo in Lombardia si insediano le grandi organizzazioni criminali: Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita e Cosa nostra (poi dalla Lombardia è facile che si spostino nel resto d’Europa e del mondo). In particolare, oggi domina la ‘Ndrangheta dopo che Cosa nostra subisce un forte attacco da parte dello Stato a seguito delle stragi del ’92-’93.
La mafia si trova solo nelle grandi città: non è vero. Le mafie accerchiano le grandi città attraverso la conquista di territori piccoli, l’hinterland. I piccoli paesi vengono controllati più facilmente perchè se agisco in un territorio minore, il fatto non finisce sulla stampa nazionale né le indagini vengono fatte da una Procura importante. Nelle metropoli, invece, si fanno gli affari più grossi. Inoltre, nei territori più piccoli è meno facile dare il voto al candidato di preferenza quando vengono indette le elezioni: al Sud, votare una persona precisa al Consiglio comunale, per esempio, è quasi d’obbligo perchè ci si conosce tutti; al Nord accade molto meno, il voto di preferenza è solo al 25%, si vota soltanto la lista. In questo modo all’organizzazione mafiosa che vuole controllare un territorio specifico anche dal punto di vista dell’amministrazione locale bastano pochi voti per ottenere il risultato.
Negli anni ’80 -’90 la mafia si inserisce nel movimento terra in Lombardia: Rocco Papalia ha creato, in quel periodo, un vero e proprio sistema. O che l’appalto lo vincesse lui (e le sue ‘ndrine) o che lo vincessero aziende pulite, queste ultime dovevano comunque pagargli la mazzetta. Le mafie si inseriscono, così, nel mondo dell’edilizia, in particolare, ma anche nella politica (con il voto di scambio soprattutto per riciclare denaro tramite attività di facciata) e nell’imprenditoria privata (quando le banche non posso più erogare soldi). Questa è una sorta di “colonizzazione al contrario” perchè abbiamo la regione più povera d’Italia (la Calabria) che va a colonizzare settori dell’economia più ricca d’Italia. Perchè la ‘Ndrangheta non va ad investire in Calabria?: per un processo di mimetizzazione, ma il motivo principale è che, per vivere in Calabria, dovrà sempre avere lì persone che hanno bisogno di lei, persone che chiedono favori.
Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano4, diretto dal Prof. Nando Dalla Chiesa
Libera Masseria, di Cisliano (bene confiscato alla mafia)