“LibriLiberi”. Patria di Fernando Aranburu
Alessandra Montesanto
Due famiglie, quella del Txato e quella di Joxian: una è la famiglia della vittima e l’altra quella del carnefice. Siamo in Spagna, nel periodo del terrorismo dell’ETA (Euskadi Ta Askatasuna, l’organizzazione armata terroristica basco-nazionalista separatista d’ispirazione marxista-leninista).
Imprenditore nel campo dei trasporti, il Txato viene preso di mira e, dopo una serie di minacce, viene ammazzato nel paesino alle porte di San Sebastian, teatro della vicenda narrata da Fernando Aramburu nel suo romanzo intitolato Patria, libro vincitore del Premio Strega Europeo.
Più di cento capitoli brevi vanno a costruire un lungo racconto che si dipana tra Passato e Presente e che avvolge la quotidianità dei sopravvissuti all’attentato così come quella di chi ha assistito alla formazione degli assassini. Bittori e Miren, madri e mogli, erose dalla rabbia: l’una per la morte del marito, l’altra per il figlio in carcere; Nerea e Arantxa, le sorelle; Xabier e Gorka, i fratelli; tutti dalle parti opposte della barricata, ognuno con un tormento interiore, conseguenza di una guerra poco compresa e quindi subìta.
Erano amici, un tempo, sia gli adulti, sia i giovani: cresciuti in un ambiente rurale, semplice i primi, emancipati grazie allo studio, i secondi: il dolore strisciante porta all’autodistruzione di chi è libero, ma chiuso nella prigione dei sensi di colpa, dei rimorsi per non aver intuito prima, per non essere intervenuto in tempo, per non aver fermato la violenza dilagante: ecco, allora, che Arantxa viene colpita da un ictus che la destina alla sedia a rotelle e a comunicare con un ipad; Xavier e Gorka destinati alla solitudine; Joxian all’alcolismo.
Josè Mari, l’unico accusato e arrestato per l’uccisione del Taxto, finisce col logarsi all’interno del carcere: tenta, all’inizio, di mantenere salda la sua convinzione politica, ma col passare del tempo, l’ideologia si assottiglia così come il suo corpo. A cosa è valso tutto quello spargimento di sangue, se poi la lotta è stata portata avanti dai giovani che, in realtà, sono stati abbandonati a loro stessi, anche dai vertici dell’organizzazione?
C’è una dura critica, nel libro di Aranburu, a ogni forma di lotta armata, ma anche a una qualsiasi forma di ideologia vuota di senso, ma resta nelle sue pagine un profondo amore per i baschi e per il loro diritto all’autodeterminazione, tanto che molti sono i termini (e i nomi) nella lingua dell’area separatista. Una soluzione che Aranburu suggerisce per la prevenzione o la soluzione dei conflitti è quella della comunicazione: lui scrittore, crede fermamente (e noi con lui) a ogni forma di dialogo, parlata o scritta, che metta in comunicazione le persone, tramite i cuori.
Il romanzo, uscito nel 2017 in Italia per Guanda, ha avuto un grande successo, meritato per la capacità dell’autore di costruire una corrispondenza fitta e simmetrica tra i protagonisti, lasciando spesso loro la voce, e grazie alla sua capacità di entrare negli animi, mettendosi di volta in volta nei panni di ciascuno, regalando, così, a chi si addentra nella lettura, un affresco storico-politico, molto, molto umano.