In Italia meno famiglie rom in emergenza abitativa; aumentano i processi di superamento da parte di Amministrazioni virtuose
Presentato il Rapporto annuale di Associazione 21 luglio – In Italia meno famiglie rom in emergenza abitativa; aumentano i processi di superamento da parte di Amministrazioni virtuose
Roma, 12 ottobre – L’approccio etnico, in Italia più che in Europa, ha consentito – e poi consolidato – la costruzione di un sistema abitativo per soli rom parallelo a quello proprio della società maggioritaria. Denominata non a caso il ‘Paese dei campi’, l’Italia ha assistito negli ultimi 40 anni a una presenza progressiva di baraccopoli monoetniche sull’intero territorio nazionale anche se nell’ultimo biennio si sottolienano importanti elementi di discontinuità già evidenziati negli anni precedenti.
Il Rapporto di Associazione 21 luglio, giunto ormai alla sua sesta edizione, intitolato quest’anno ‘L’esclusione nel tempo del Covid’ offre uno spaccato della situazione in Italia e nella città di Roma in un arco temporale compreso tra il primo gennaio 2020 e il 30 giugno 2021 e fortemente segnato dalla pandemia da Covid-19. Il lavoro di Associazione 21 luglio mette in rileivo luci e ombre: il consolidarsi del fenomeno di fuoriuscita dagli insediamenti; l’avvio di processi virtuosi di superamento degli stessi da parte di sempre più Amministrazioni locali; l’organizzazione di sgomberi forzati anche dopo il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 che prevedeva «una moratoria delle esecuzioni degli sgomberi a causa dell’emergenza pandemica».
Dati e numeri in Italia: un calo di presenze che in 5 anni raggiunge il 36%. In Italia solo 1 rom su 10 vive nei “campi”
In Italia sono 109 gli insediamenti formali – ovvero progettati, costruiti e gestiti dalle Amministrazioni locali – distribuiti in 63 comuni e 13 regioni. In totale sono circa 17.800 i rom e sinti che vivono nelle baraccopoli formali e informali, pari allo 0,03% della popolazione italiana. Di questi 11.300 sono presenti nelle baraccopoli formali e 6.500 nelle baraccopoli informali e microinsediamenti. Dei rom e sinti presenti nelle baraccopoli istituzionali si stima che circa il 49% abbia la cittadinanza italiana, il 41% sia in possesso della nazionalità dei Paesi dell’ex Jugoslava, il 10% la cittadinanza rumena, con meno di 1.000 cittadini a rischio apolidia. Il numero delle persone residenti negli insediamenti monoetnici italiani è sceso, tra il 2016 e il 2021 di ben 10.000 unità, con un decremento pari al 36,5% (del 37% negli insediamenti formali e del 35% negli insediamenti informali),
Le cause vanno ricercate nel desiderio delle nuove generazioni residenti nei “campi” di intraprendere un percorso di fuorisucita autonomo; le azioni di sgombero forzato che hanno spinto molte famiglie alla dispersione sul territorio; il ritorno nel Paese di origine per i cittadini comunitari; il processo virtuoso di alcune Amministrazioni locali verso il superamento dei “campi rom”.
Alla luce di questi numeri, se fosse confermata la stima del Consiglio d’Europa di una presenza di persone rom in Italia pari a 180.000 unità, si potrebbe affermare che allo stato attuale, nel nostro Paese, meno di 1 cittadino rom su 10, può essere identificato come un abitante del “campo”. Una verità – secondo Associazione 21 luglio – destinata da sola a smontare un caleidoscopio di “leggende urbane” ancorate a stereotipi e pregiudizi.
La politica dei campi: la strada verso il loro superamento
Risale al 2018 l’ultima realizzazione, nel Comune di Afragola, di un insediamento per soli rom. Nello stesso anno si è andata rafforzando una politica locale del loro superamento attraverso processi inclusivi a partire dai Comuni di Moncalieri e Sesto Fiorentino. Su questa scia sempre più Amministrazioni hanno dimostrato consapevolezza sull’importanza di porre fine a tali spazi di segregazione etnica da Ferrara a Palermo, da Olbia a Siracusa.
Nel periodo compreso dal Rapporto, malgrado le difficoltà dettate dal periodo pandemico, risultano essere stati superati 4 insediamenti nei Comuni di Firenze, Cerea, Porto Torres e Roma. Sono invece ben 15 i “campi rom” le cui azioni di superamento dovrebbero concludersi nei prossimi 18 mesi.
Tali esperienze, con i loro successi e fallimenti, aprono nuove strade verso la chiusura definitiva della triste stagione dei “campi rom” e andrebbero supportate da una nuova “Strategia Nazionale per l’Inclusione dei rom” che dovrà risultare più incisiva e vincolante.
Diminuiscono, ma non si arrestano, le azioni di sgombero forzato
Malgrado il Decreto Legge n.18 del 17 marzo 2020 prevedesse «una moratoria delle esecuzioni degli sgomberi a causa dell’emergenza pandemica» non si sono arrestate in Italia le azioni di sgombero forzato nei confronti delle comunità rom presenti negli insediamenti informali. Tra il gennaio del 2020 e il giugno del 2021 sono state ben 70 (35 nel Nord Italia, 24 nel Centro e 11 nel Sud Italia) in calo del 52% rispetto al 2019. Si segnala il forte peso specifico riconosciuto alle azioni organizzate dal Comune di Roma, con ben 17 sgomberi effettuati, un quarto di quelli registrati su scala nazionale.
Nel periodo segnato dallla pandemia da Covid-19 sono state due le azioni di sgombero più violente: quella realizzate a Roma (insediamento del Foro Italico sgomberato l’11 agosto 2020) e a Torino (insediamento di Germagnano esterno sgomberato il 20 agosto 2020). Non è un caso che le due città siano le uniche nelle quali sia prevalente l’approccio etnico con un “Ufficio Speciale” dedicato alla “questione rom” in seno all’Amministrazione e un “Piano rom” espressamente rivolto alle comunità riconosciute come tali.
Associazione 21 luglio: ora occorre l’impulso del Governo centrale
Secondo Associazione 21 luglio nel periodo dell’emergenza da Covid-19 si è assistito a un’accellerazione del processo di riflessione sulla necessità di superare gli insediamenti monoetnici, riconosciuti ormai da tutti come troppo impegnativi economicamente e lesivi dei diritti fondamentali.
«Mai come in questo momento risulta fondamentale – sostiene Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio – dare impulso a processi virtuosi, chiudere “Uffici Speciali”, sostenere le famiglie che da questi ghetti vogliono uscire, facilitare l’accesso a servizi ordinari. La battaglia, anzitutto culturale, che da più di un decennio Associazione 21 luglio sta conducendo per la fine di questa “vergogna nazionale” denominata “sistema campi” – conclude Stasolla – sta andando nella giusta direzione e nei prossimi anni risulterà decisivo l’intervento del Governo centrale al fine di sostenere Amministrazioni locali, troppo spesso isolate nell’affrontare questa sfida che, se vinta, consentirà al Paese di chiudere finalmente una buia parentesi storica che parla il linguaggio dalla discriminazione e l’esclusione sociale».